Tra le ultime pellicole a tematica LGBTQI+, Bros. aveva sdoganato i “traumi” dell’essere omosessuale, mostrando che le storie legate a personaggi gay non devono essere necessariamente tragiche, potendo vivere esattamente come la controparte etero il sogno di essere gli eroi romantici di una vera e propria rom-com.
Una “normalizzazione” del genere della commedia romantica, che metteva finalmente sullo stesso piano i protagonisti dichiaratamente omosessuali con il resto dei Tom Hanks e delle Meg Ryan di tutto il mondo, coloro che avevano dominato negli ideali sentimentali del grande pubblico, condividendo lo stesso spazio.
Questa apertura, ovviamente, era cominciata già con altre pellicole precedenti a Bros., ma quella di Nick Stoller è stata esempio lampante del successo di questa attualità di scrittura per il cinema – diverso, infatti, è il discorso che bisognerebbe fare per le serie tv. E con Spoiler Alert prosegue nella semplice descrizione – come è giusto che sia – di un rapporto come un altro tra due persone che si amano, tratto dall’omonimo libro autobiografico di Michael Ausiello.
Vero che uno dei perni narrativi nel percorso di uno dei due personaggi è il non avere il coraggio di fare coming out con i propri genitori. Ma è l’unico effettivo aspetto riportabile alla loro preferenza sessuale, per il resto secondaria a quella che è, semplicemente, una storia d’amore. Una qualsiasi, banale, anche un po’ noiosa storia d’amore.
Spoiler Alert, una storia qualunque
Michael (Jim Parson) e Kit (Ben Aldridge) si conoscono in discoteca, hanno entrambi paura di intraprendere una relazione e finiscono per innamorarsi, separarsi e ritrovarsi proprio come accade a tantissime coppie. “Siete pieni di rancore, ma vi amate troppo per lasciarvi” li illumina il terapista da cui vanno versandosi rabbia e veleno addosso, decidendo dopo tredici anni di concedersi un po’ di spazio, riempito presto dalla presenza ingombrante di un cancro maligno.
Spoiler Alert è, sostanzialmente, questo. Senza dialoghi brillanti, senza protagonisti caratterizzati (non basta l’ossessione del giornalista televisivo Michael per I Puffi), senza che ci sia la benché minima voglia di realizzare altro se non la storia di due persone come tante, che si incontrano in un modo alquanto banale e che proseguono la loro vita come potrebbe fare chiunque, in qualsiasi luogo o in qualunque tempo.
Ed è anche da qui che potremmo affermare che l’uguaglianza, almeno cinematografica, la comunità l’ha raggiunta. Che purtroppo anche i suoi appartenenti, da adesso in poi, saranno costretti a dover subire pellicole scialbe e insipide, il cui racconto ci seccherebbe anche sentendolo solo riportare da un conoscente durante una sera a cena.
Se cercate un’alternativa sempre recente, anche lì poco stimolante, ma con cui poter momentaneamente piangere, il titolo che vi serve è Supernova, anno 2020 con protagonisti Stanley Tucci e Colin Firth. Il film è ridotto all’essenziale – storia di una coppia omosessuale che affronta non il cancro, bensì l’Alzheimer -, ma almeno vi risparmiereste la completa inconsistenza e la mancanza di carisma degli interpreti. E, soprattutto, i capelli tremendi di Jim Parson.
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