Si fatica a credere che Through the Night sia un esordio al lungometraggio. Forse perché il film diretto da Delphine Girard – prodotto tra i tanti da Lukas Dhont – in concorso alle Giornate degli Autori, nasce da una piccola opera, A sister, candidata agli Oscar nel 2020 per il miglior cortometraggio di finzione. Questo dà la misura del talento della regista belga, alle prese con la storia di una donna, Aly (Selma Alaoui ), che una sera, sentendosi in pericolo, chiama la polizia.
Dall’altra parte della cornetta, a rispondere a quella richiesta d’aiuto, c’è Anna (Veerle Baetens). Un uomo, Dary (Guillaume Duhesme), verrà arrestato. Passano le settimane, i tribunali cercano le prove. I tre affrontano le conseguenze di una notte che non possono lasciarsi alle spalle.
Il suo film inizia con una sequenza carica di tensione. Come nasce?
I primi quindici minuti sono, in pratica, il corto che avevo girato in precedenza. Qualche anno fa mi sono imbattuta in una chiamata al 911 di una donna che fingeva di chiamare la sorella, ma in realtà era in linea con la polizia perché era insieme a un uomo e si trovava in pericolo. Non pensavo di farne un lungometraggio, ma quando ho iniziato a presentare il corto mi sono resa conto che non avevo ancora finto con quel materiale. Volevo esplorare anche tutto quello che viene dopo.
Si è fatta un’idea di cosa accada nella mente di uno stupratore?
Desiderio di dominazione e frustrazione. Nel mio film ho deciso che avrebbe avuto più rilievo la frustrazione. Perché penso che ci siano tante storie di stupro quante sono gli stupri. Non è la stessa cosa ogni volta. Ma per quello che volevo raccontare, ritenevo fondamentale comunicare l’assenza di desiderio. Non è quello, che è in gioco. C’è un ragazzo che sta attraversando un momento difficile – lo spettatore lo percepisce – e si sente screditato da una donna. Così comincia a desiderare che anche lei soffra, anzi che si senta peggio di lui. Una dinamica che può scattare anche nelle relazioni non tossiche, in forma minore ovviamente. È una questione di potere. Dary fatica a rendersi conto di ciò che ha fatto, a riconoscere che fa parte del problema. Che è il problema.
La madre di Dary si rifiuta di conoscere la verità. Anche le madri sono parte del problema?
Volevo che il mio film restituisse la complessità di questi casi, e che non riguardasse solo i tre personaggi direttamente coinvolti. Per quanto riguarda le madri, siamo tutti convinti di avere una posizione chiara su vicende come queste, ma se c’è di mezzo qualcuno che ami è difficile accettarlo. C’è un abisso tra come “vedi” una persona e ciò che quella persona ha fatto. Gli stupratori li consideriamo mostri che abitano un mondo diverso dal nostro. Ma a commettere lo stupro può essere anche un bravo ragazzo, nostro figlio, qualcuno che non ha mai avuto relazioni problematiche. Andando in tribunale e assistendo ai processi, ho capito che il sistema di giustizia ha una forte difficoltà a comprendere la complessità di casi come questo, in cui improvvisamente lo stupratore è anche una “brava persona”, e forse non è colpevole. Per la madre di Dary è impossibile accettare che suo figlio abbia fatto certe cose.
Ad eccezione della prima parte, ha girato le scene in ordine cronologico?
Sì e non sono sicura che lo rifarei, perché è stato davvero sfiancante (ride, ndr). Abbiamo fatto riprese giorno e notte. Ma è stato utile, volevo sentirmi libera di cambiare il corso della narrazione. E penso che sia stato comodo per gli attori. Abbiamo girato in tre parti. Ognuna con un protagonista, come se fossero stati tre cortometraggi. E alla fine, tutto si è unito.
Tra i produttori del film c’è Lukas Dhont (Girl, Close, ndr). Il suo contributo è stato importante?
L’ho incontrato attraverso suo fratello Michiel, anche lui produttore del film. Ha sostenuto il mio lavoro e mi ha dato alcune note davvero interessanti. Ho sentito la sua solidarietà: fa anche la comparsa nel film.
Chi vorrebbe che vedesse questo film?
Gli uomini. Mi piacerebbe che lo vedessero e ne parlassero. Sono molto curiosa delle loro reazioni. Vorrei sapere se si identificano anche con Dary, o no. Vorrei che gli spettatori trovassero nella storia lo spunto per una riflessione, che si sentissero visti e capiti.
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