“Non devi capire la storia, devi continuare a raccontarla”. Un frase pronunciata da Augie, uno dei personaggi di Asteroid City (qui la nostra recensione), il nuovo film di Wes Anderson presentato in concorso a Cannes 76. Una frase che sintetizza alla perfezione, sia per estimatori che detrattori, il cinema del regista texano. “Penso che questo sia ciò che il film ha significato per me” sottolinea Bryan Cranston, tra i protagonisti del film che ha regalato uno dei momenti più divertenti e degni di nota della conferenza stampa.
Un siparietto improvvisato dall’attore che nel film interpreta un conduttore televisivo dell’America degli anni Cinquanta immaginata dal regista. Cranston ha preso parola solo un paio di volte. Ma, in entrambe le occasioni, ha dato delle risposte particolarmente ispirate dopo le quali ha sentito l’esigenza di alzarsi e fingere di andare via mentre in sottofondo i presenti ridevano di gusto.
Per il resto, tutto si è svolto senza particolari picchi. Ma in fin dei conti forse è solo un’ossessione di noi giornalisti sperare che accada qualcosa di imprevisto che vivacizzi l’atmosfera e ci permetta di aggiungere particolari inattesi nei nostri articoli.
Il set di Asteroid City
Accolto da critiche contrastanti – la norma per ogni film di Anderson – Asteroid City – dal 14 settembre in sala – si svolge in un’immaginaria città americana nel deserto nel 1955. Qui l’itinerario di una convention di giovani scienziati, organizzata per riunire studenti e genitori di tutto il paese per una competizione accademica e di affiatamento, viene sconvolto da eventi che cambiano il mondo. Un casto corale – e per restare in tema – spaziale che comprende Scarlett Johansson, Jason Schwartzman, Tom Hanks, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Edward Norton, Maya Hawke, Steve Carell, Rupert Friend e molto altri.
È con un nutrito gruppo di loro che Wes Anderson si è prestato alle domande della stampa. “Lavorare con Wes non è il classico processo di essere su un set per poi andare alla tua roulotte e avere tutto quel tempo libero che divora lo slancio”, ha sottolineato Scarlett Johannson. “Questa è la mia prima esperienza con lui come attrice in carne e ossa (l’attrice era tra i doppiatori de L’isola dei cani, ndr). È stato molto vibrante, come lavorare in teatro”.
Wes Anderson direttore d’orchestra
“Wes è come un direttore d’orchestra”, continua Craston. “E tutti noi attori suoniamo il nostro particolare strumento senza sapere esattamente come ogni nota andrà a finire insieme. È il mondo di Wes Anderson. E noi, semplicemente, ci viviamo dentro”.
A due anni di distanza da The French Dispatch, altro film corale presentato a Cannes, il regista, dopo la redazione dell’immaginario giornale americano di stanza di Francia nel XX secolo, ha deciso di ambientare il suo film nel deserto. “Abbiamo girato durante il protocollo Covid. Ho amato creare gruppo. Il nostro set era enorme, nel deserto. Ma era un deserto chiuso” ricorda Anderson. “Non voglio dire che sia stato un bene per il film, ma lo abbiamo usato in modo che fosse un bene”.
Colori pastello, inquadrature pittoriche, dettagli curati nei minimi particolari e un sapore artigianale che contraddistingue ogni sua pellicola. Un modo di fare cinema molto diverso da quello adottato da numerosi colleghi che fanno largo uso di CGI e tecnologie avanzate. “L’atmosfera che voglio creare per il cast influenza tutto il modo in cui lavorerò”, sottolinea il regista.
“Sono attratto dalle vecchie tecniche. Il mio modo di fare cinema è più simile a come si facevano i film negli anni Trenta. Oggi c’è la possibilità di fare tanto con poco e ci sono tecniche che non esistevano quando ho iniziato io. Ma credo dipenda molto anche da che storia vuoi realizzare”. E Wes Anderson, nel bene o nel male, sa esattamente qual è il cinema che vuole fare.
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