A volte è difficile capire dove, come, perché nasce un archetipo. Di sicuro è più facile comprendere quando si afferma, potente e prepotente, nell’immaginario collettivo.
Il mucchio selvaggio, film del 1969 e colonna e cardine del trionfale inizio dell’età dell’oro del cinema statunitense, la New Hollywood, è la consacrazione della violenza etica ed epica di Sam Peckinpah, il cineasta più estremo di quella generazione, un maestro dell’immagine che schiaffeggia lo spettatore, con l’eleganza feroce dei capolavori che non fanno sconti a nessuno, a partire dagli spettatori.
Il mucchio selvaggio, divenuto modo di dire
Sam Peckinpah sapeva che avrebbe cambiato, con quest’opera, la storia del cinema ma forse non si aspettava che sarebbe intervenuto anche nel vocabolario della gente comune. Dopo di lui “mucchio selvaggio” è divenuto un’espressione proverbiale, evocativa di situazioni e avvenimenti specifici, tale da divenire anche il nome di una delle società indipendenti di produzione cinematografica più famose del mondo (The Wild Bunch, appunto), così come la sequenza mostrata qui è stata replicata infinite volte, come citazione o imitazione, da tantissimi colleghi, per l’incredibile capacità di restituire il senso dell’ineluttabilità dell’eroismo e del senso della solidarietà reciproca dei protagonisti.
Da sempre stabilmente nei primi 100 film più belli di sempre per l’American Film Institute, nel 2015 la critica nordamericana ha annoverato Il mucchio selvaggio tra i migliori 10 western di sempre. Gli Oscar gli tributarono “solo” due statuette: miglior sceneggiatura originale e miglior colonna sonora
Pochissimi sanno che William Holden, straordinario protagonista, fu la decima scelta del cineasta: dopo colleghi anche diversissimi tra loro e soprattutto da lui, come Robert Mitchum, Gregory Peck, James Stewart o Burt Lancaster, a sua volta terza scelta in un altro capolavoro, Il Gattopardo.
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