La cinematografia LGBTQIA+ italiana è molto indietro rispetto alle Americhe a molti Stati europei. I nostri film soffrono di un vuoto autoriale, narrativo, che viene colmato in parte dall’introduzione nel nostro Paese da film stranieri distribuiti, per la maggior parte, dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti.
Eppure in passato abbiamo avuto produzione importanti che trattavano tematiche queer, basti ricordare le rappresentazioni cinematografiche di Pier Paolo Pasolini che ha portato nelle sale personaggi orgogliosi della loro sessualità non conforme. In Morte a Venezia (1972) di Luchino Visconti un uomo di mezza età in crisi spirituale si invaghisce di un giovanotto. Si frequentano, ma la vicenda si consuma in tragedia.
La storia di Renato (Ugo Tognazzi) e Albin (Michael Serrault), una coppia omosessuale alle prese con i problemi familiari del figlio di Renato – prossimo al matrimonio con una donna di una famiglia ultraconservatrice – è la trama de Il vizietto (1978) di Eduard Molinaro, tratto dal libro La cage aux folles, commedia di Jean Poiret del 1973 . Giuliano Montaldo ha trasposto invece Gli occhiali d’oro (1987) di Giorgio Bassani con la rappresentazione di un personaggio omosessuale interpretato da Philippe Noiret che alla fine si suicida.
E oggi? L’unico riferimento nel bene e nel male rimane Ferzan Ozpetek, che ha trattato sempre l’argomento in ogni suo film e recentemente Luca Guadagnino che con Call me by Your Name si è guadagnato l’olimpo della cinematografia LGBTQIA+.
A che punto siamo e dove andremo rispetto alle numerose produzioni che parlano di gay e lesbiche nell’industria cinematografica mondiale? Lo abbiamo chiesto in questa video intervista ad Andrea Occhipinti, fondatore della casa di distribuzione e produzione Lucky Red, una delle poche che sul mercato porta avanti la causa rainbow.
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