La critica, si sa, è ipocondriaca. Sempre pronto ad annunciare la propria morte, col termometro in bocca, il critico scrive con la certezza di essere l’ultimo rimasto della sua stirpe. André Bazin è morto, Roger Ebert è morto, e anche io eccetera. Solo quest’estate, la critica internazionale è morta due volte. La prima, quando il New York Times ha pubblicato un articolo sul cosiddetto MovieTok, ovvero la corrente dei TikTokers appassionati di cinema, colpevoli di essere stati paragonati ai giovani turchi dei Cahiers du Cinéma. L’edizione inglese di GQ ha reagito pacatamente, con un articolo dal titolo “Il MovieTok non è controcultura, è la morte della critica cinematografica”.
La seconda volta la critica è morta una settimana fa, con un articolo sul magazine Vulture, molto critico di Rotten Tomatoes, che definiva quello dell’aggregatore un sistema di valutazione “sopravvalutato, inaffidabile, riduttivo e facilmente manipolabile”.
Non è la prima volta che l’aggregatore di recensioni attira delle critiche, anche molto severe. Il maestro dei maestri Martin Scorsese ha definito quello degli aggregatori “uno spettacolo disgustoso”. In un editoriale del 2017, il magazine IndieWire scriveva che “Rotten Tomatoes ha rovinato la critica cinematografica”. Ma l’accusa di Vulture è sostanziale: il giornalista Lane Brown ha ricostruito le strategie che l’agenzia pubblicitaria Bunker 15 avrebbe utilizzato, nel 2018, per alzare la percentuale del “tomatometro” per il film Ophelia, con Daisy Ridley.
Come funziona Rotten Tomatoes: maggiore il numero dei critici che ha recensito un film positivamente, più alta sarà la percentuale del film. Se un film ha più recensioni positive, allora è fresh, fresco. Se ne ha soprattutto negative, è rotten, marcio. Il tomatometro, appunto. È il celebre paradosso del certified fresh, ovvero il bollino di qualità di Rotten Tomatoes: 100 critici su 100 potrebbero dare a un film una sufficienza stentata, e quel film sarebbe certified fresh al 100%. Non è una valutazione qualitativa, ma quantitativa.
Dopo alcune proiezioni stampa, il film Ophelia aveva ottenuto un povero 46% di recensioni positive. A quel punto, racconta Vulture, Bunker 15 avrebbe cominciato a pagare diversi recensori per scrivere positivamente del film, e avrebbe fatto pressione a chi lo aveva recensito negativamente perché cambiasse idea o pubblicasse la recensione su blog non tracciati da Rotten Tomatoes. Da quando è stato accusato di non rispecchiare abbastanza la diversità della critica americana, il sito è corso ai ripari allargando di molto il suo bacino di critici analizzati, includendo blog personali, canali Youtube, podcast: un pubblico più variegato, ma meno specializzato, più propenso a entusiasmi e meno rigoroso. Dopo il lavoro di Bunker 15, Ophelia aveva raggiunto un 62%: fresh.
Eppure, nella sua superficialità, Rotten Tomatoes guida sia chi guarda i film e chi i film li fa. Nato nel 1998, Rotten Tomatoes “era stato concepito nei primi giorni del web come un «Guardalo / Non lo guardare» per i film. Ora può deciderne le sorti, con implicazioni su come essi vengono percepiti, distribuiti, commercializzati e forse anche approvati”, racconta Vulture. Il secondo paradosso di Rotten Tomatoes: il sistema che ha ucciso la critica, appiattendola a un pollice verso, allo stesso tempo l’ha resa finalmente influente, capace di cambiare le cose. Perché la verità è che “nessun critico ha mai avuto il potere di cancellare un successo popolare, né viceversa di canonizzare, da solo, opere, correnti, autori”, scriveva nel 2012 lo storico della critica Claudio Bisoni.
Insomma, le notizie sulla morte della critica sono oltremodo esagerate. Rotten Tomatoes è uno strumento di valutazione pericoloso, ma nei suoi difetti riafferma quanto sia importante una guida alla visione. La metrica, semmai, ha portato alla luce lo scarto significativo che c’è tra due attività spesso diverse tra loro, che facciamo cadere sotto la parola “critica”. È uno scarto che porta a malintesi continui e a malumori per chi legge e chi scrive.
Da un lato c’è la critica come tradizionalmente la immaginiamo: le stellette, il voto, il giudizio. Dall’altro c’è la critica per quello che è: un discorso sul cinema. Che non sempre dice “bello/brutto”, non sempre vuole guidare, non sempre vuole influire. È la critica come semplice espressione di un’idea. Rotten Tomatoes non prevede questo secondo modo d’essere: quello critico è sempre solo un atto valutativo, dice. Forse così la critica non muore, ma sicuramente diventa un po’ più piccola.
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