E adesso? Le cinque crisi della Hollywood post-sciopero (e come risolverle)

La crisi dei profitti, la fine del "picco" dei contratti, la sfida delle intelligenze artificiali, il flop delle sale cinematografiche, la fuga del pubblico giovane su TikTok: Hollywood è cambiata e dopo gli scioperi non tornerà come prima. Proviamo a indovinarne le conseguenze. L'inchiesta di THR

Per quanto il 2023 sia stato brutale per l’industria dello spettacolo, è possibile che un giorno Hollywood guardi a questo momento di crisi con nostalgia. E non solo per il senso di solidarietà vissuto durante i picchetti o per gli importanti incontri in sede di trattativa.

Gli scioperi hanno migliorato le condizioni economiche dei lavoratori di Hollywood in settori quali i diritti d’autore e IA, ma sono costati all’economia nazionale più di 5 miliardi di dollari. Hanno anche segnato la fine decisiva dell’era della prepotenza di Hollywood, condannata nel momento in cui gli sceneggiatori hanno fatto cadere le penne, il 2 maggio. Un’era in cui il denaro scorreva liberamente e le nascenti piattaforme di streaming si contendevano gli artisti con accordi globali, generosi e abbondanti. Un’era in cui 599 show sceneggiati all’anno tenevano occupati 599 elementi del cast e troupe diverse. Un’epoca in cui gli esseri umani, e non l’intelligenza artificiale, svolgevano il lavoro creativo per realizzare film e spettacoli televisivi.

Ma quel periodo di massimo splendore è ufficialmente terminato, e gli scioperi hanno dato agli studios la possibilità di abbandonare accordi ormai scomodi e di ridurre i loro budget. La nuova Hollywood post-sciopero sarà molto più sobria. “Il settore è passato attraverso una pandemia, un doppio sciopero e una recessione. Le aziende stanno smaltendo la sbornia”, dice un dirigente. “Il business sta diventando più duro. Gli sceneggiatori, i registi e i produttori economicamente meno solidi ne soffriranno”.

È probabile che la Hollywood post-sciopero archivi definitivamente un’epoca anomala nel settore dell’intrattenimento, quella in cui il successo non ha a che fare con il compenso: gli streaming che prevedono grandi pagamenti anticipati, e poi non danno ricompense basate sulle prestazioni – addirittura non danno informazioni sull’andamento di uno spettacolo o di un film su piattaforma. Secondo molte fonti del settore, è stato un sistema dannoso. “Dov’era l’incentivo a rispettare il budget, a fare qualcosa di straordinario?”, si chiede una fonte.

“Bisogna concentrarsi maggiormente sulla qualità”, dice il produttore di Avatar Jon Landau. “Che si tratti di un grande film o show televisivo o di uno piccolo, dobbiamo fare in modo che sia buono”.

Dopo lo sciopero, ci si aspetta che le aziende siano più selettive su ciò che producono e che artisti e finanziatori siano più allineati sulla responsabilità economica e sulla qualità. “La gente ha più voglia di fare, ora”, dice il produttore Todd Black. “Sceneggiatori, produttori e dirigenti degli studios. Credo che nei prossimi due anni assisteremo, si spera, a una maggiore produttività oltre che a una maggiore selettività. E, per certi versi, credo che sia una buona cosa”. 

Nel frattempo, però, l’industria deve ancora fare i conti con cinque crisi che gli scioperi hanno forse messo in ombra, ma che di certo non hanno risolto.

01

Lo streaming è un pessimo affare

Lo streaming è fantastico. I consumatori possono guardare ciò che vogliono quando vogliono. L’agguerrita concorrenza tra i servizi offre maggiore possibilità di scelta. E la spinta alla crescita fa sì che i servizi di streaming siano disponibili a prezzi sempre più stracciati, offrendo la possibilità di cancellare o sottoscrivere in qualsiasi momento un nuovo abbonamento.

C’è solo un problema: le battaglie per lo streaming hanno impoverito i grandi colossi dell’intrattenimento alla velocità della luce.

Le cosiddette “guerre dello streaming” risalgono ad alcuni fatidici mesi tra il 2017 e il 2018. Certo, Netflix offriva contenuti originali già da un decennio, ma è nel 2017 che la sua attività di streaming ha ingranato la marcia giusta, con un utile netto annuale balzato da 186 milioni di dollari a 559 milioni di dollari (nel 2018 sarebbe raddoppiato di nuovo: 1,2 miliardi di dollari). Il prezzo delle sue azioni, che ha aperto il 2017 a circa 130 dollari per azione, si è impennato fino a superare i 360 dollari nel 2018, quando Wall Street ha iniziato a valutare l’azienda come una piattaforma tecnologica, attribuendole un differenziale pari a quello di Google e Facebook.

Il successo di Netflix ha gettato nel panico Disney, che nel 2017 ha annunciato che avrebbe ritirato tutti i suoi contenuti da Netflix e lanciato quello che sarebbe diventato Disney+. All’indomani di quel debutto, nel 2019, si sono aperte le cataratte, con NBCUniversal che ha introdotto Peacock e l’arrivo di Paramount+ e HBO Max (ora Max).

Il risultato è stato un flusso di decine di miliardi di dollari verso i contenuti in streaming e l’allontanamento dalla TV tradizionale.

Ma con questo, anche perdite massicce per le società di media tradizionali entrate inell’arena. Comcast, Disney, Warner Bros. Discovery e Paramount hanno perso complessivamente 10 miliardi di dollari con i loro servizi di streaming nel 2022, secondo un’analisi interna. Solo Netflix ha registrato un profitto: 6,5 miliardi di dollari. E alcuni, come Paramount+ e Peacock, non hanno ancora tccato il picco delle perdite.

Una situazione disastrosa, soprattutto perché Wall Street non valuta più le società di streaming come giganti tecnologici. E gli scioperi della WGA e della SAG-AFTRA, che hanno chiuso spettacoli televisivi e film, hanno aggravato la situazione.

Tutto ciò solleva una domanda interessante: Lo streaming può funzionare come modello di business? 

Parlando agli investitori e agli analisti il 19 settembre scorso al Walt Disney World, l’amministratore delegato della Walt Disney Bob Iger ha sostenuto che sì, può funzionare. Quando Iger ha definito le quattro priorità chiave per la sua azienda, il profitto da streaming era in cima alla lista. 

“L’azienda produrrà meno contenuti e spenderà meno per ciò che produce, anche se il ritorno di franchise chiave come Star Wars nelle sale è una priorità”, ha scritto Phil Cusick, analista di JPMorgan, in una nota del 20 settembre, aggiungendo che si aspetta che Disney+ raggiunga il profitto entro la fine dell’anno fiscale 2024.

Un dirigente di spicco del settore streaming ha dichiarato a THR di ritenere che il profitto arriverà grazie alla pubblicità e al “giusto prezzo”. Molti servizi sono stati lanciati a prezzi stracciati per attirare il maggior numero possibile di abbonati in breve tempo. Ma la situazione sta cambiando: aumentano i prezzi e gli abbonati vengono spinti ad acquistare “piani pubblicitari” che permettano alle aziende di monetizzare ulteriormente.

C’è un motivo per cui Netflix e Disney+ hanno modificato i loro pacchetti per rendere più costosa la fruizione senzaì pubblicità e c’è un motivo per cui Amazon sta aggiungendo pubblicità a Prime Video. Vogliono che i consumatori si iscrivano al piano pubblicitario (o paghino caro il privilegio di non farlo). A quanto pare, la pubblicità resta un ottimo business.

Ci sono alcuni segnali incoraggianti che indicano che lo streaming può diventare redditizio, anche se non quanto il modello commerciale della TV via cavo che è andato a sostituire. 

I profitti di Netflix continuano a crescere e per la prima volta un servizio mainstream di una società di media tradizionale dovrebbe registrare un profitto. Max, il servizio di WBD, ha raggiunto il punto di pareggio nel secondo trimestre ed è sulla buona strada per avere un profitto quest’anno, ha dichiarato l’amministratore delegato David Zaslav agli investitori durante l’ultima conferenza stampa della società.

WBD, naturalmente, è stata particolarmente aggressiva nel ridurre i costi l’anno scorso, eliminando anche spettacoli televisivi e film dal servizio per evitare di pagare per spettacoli poco seguiti. 

Le altre società di media tradizionali sono in ritardo di circa un anno rispetto a WBD. Peacock e Paramount+ puntano a raggiungere il pareggio entro la fine del prossimo anno, così come Disney+, anche se resta da considerare l’impatto degli scioperi.

E poi c’è il jolly Charter Spectrum: Se il gigante della TV via cavo riuscirà a raggruppare tutti i servizi di intrattenimento in streaming, come sta facendo con Disney+, le società tradizionali potrebbero essere in grado di trovare la strada per il profitto alla vecchia maniera: una società via cavo che venda tutto insieme.

Alcuni degli spettacoli più popolari in streaming risalgono, del resto, proprio alla fine degli anni ’90 e all’inizio del 2000 (Friends, Grey’s Anatomy, The Office). Perché non riportare in auge quel modello di business?

02

Il picco televisivo (e dei contratti) è finito. 

Per quasi un decennio, John Landgraf è salito sui palchi per dire a chiunque volesse ascoltarlo che si faceva troppa televisione.

Il presidente di FX ha coniato il termine “Peak TV” nel 2015, anno in cui 420 serie sono arrivate sui nostri schermi. Naturalmente ha sbagliato i calcoli. A parte il 2020, colpito dalla pandemia, il totale è aumentato ogni anno da allora, con il 2022 che ha portato agli spettatori 599 serie. Poi sono arrivati il risveglio di Wall Street, la consapevolezza collettiva che bisogna fare soldi e, infine, gli scioperi. Nessuno sa se alla fine il settore subirà una contrazione del 10% o del 50%, ma ciò su cui tutti sono d’accordo è che si produrrà meno. Ovunque. 

Il mercato degli accordi, un tempo florido, si è già raffreddato. Gli studios hanno usato lo sciopero per ridurre alcuni contratti di diversi mesi e lasciarne scadere altri. In futuro, fonti degli studios suggeriscono che nessuno firmerà nulla così velocemente, di certo non i produttori co-esecutivi di medio livello. Gli accordi saranno sempre più legati a “Wow, il tuo pilot è davvero fantastico” o “Lo show è stato presentato in anteprima ed è grandioso, prendiamo questa persona”, dice un distributore. Ma le fonti sono concordi nel sostenere che i grandi accordi avranno sempre più spesso dei bonus legati alla produttività e al successo.

A detta di tutti, i produttori di alto livello continueranno a guadagnare cifre a otto o nove zeri, a patto che generino successi. Gli altri invece si troveranno di fronte a un brusco risveglio. “Se il nuovo show di Benioff e Weiss [Il problema dei 3 corpi di Netflix] non funziona, nessuno darà loro 25 milioni di dollari all’anno per il prossimo contratto”, dice un agente di alto livello, riferendosi al duo di Games of Thrones che non ha ancora realizzato un’altra serie all’altezza. “O se Fallout non funziona [su Amazon], Jonah Nolan e Lisa Joy avranno un problema”. 

Negli ultimi tempi, produttori come la HBO hanno rifiutato decine di sceneggiature o ne hanno interrotto lo sviluppo. Ma mentre sceneggiatori e produttori preparano la prima ondata di proposte dopo lo sciopero, gli acquirenti e i venditori parlano di programmi “continuativi”, “propulsivi” e “popolari”, che possano essere più convenienti e di ampio richiamo. Alcuni vogliono soap, altri thriller d’azione o procedural in costume. 

Il prossimo Lincoln Lawyer, o The Diplomat o Hijack o Reacher. Alcuni lo chiamano “premium light”. Altri preferiscono “mid-TV” o semplicemente “elevated broadcast”. Non molto tempo fa, Bela Bajaria ha descritto lo show ideale di Netflix come un “cheeseburger gourmet”, “di qualità superiore e commerciale allo stesso tempo”. Per quanto riguarda le commedie, i dirigenti dicono di essere al lavoro su progetti “molto divertenti”, “con narrazioni incentrate sui personaggi”. Viene citato spesso Only Murders in the Building, come esempio di buon prodotto che conta anche su una certa dose di star power.

“Ogni produttore guarda a ciò che pensa possa funzionare, il che significa che ci saranno molti meno rischi”, afferma un altro dirigente, che lamenta la banalità di alcune scelte, molte delle quali fatte in base alla presenza di grandi star o consolidate proprietà intellettuali. “Dal punto di vista finanziario, è dura per tutti. Ma è un ciclo. Arriverà un piccolo show, di cui nessuno avrà sentito parlare, con protagonisti sconosciuti, diventerà un successo gigantesco a cui tutti daranno la caccia”. 

La cosa che non va, o almeno è molto meno attraente di quanto non lo fosse in precedenza, sono le dramedy malinconiche, o “sad-com”, come le definisce un dirigente. Anche i drammi d’epoca sono caduti in disgrazia, insieme alle serie concentrate intorno a una star che, fino a poco tempo fa, sembravano dominare la scena. Negli ultimi anni, le miniserie erano diventate un modo infallibile per attirare in TV i talenti cinematografici di serie A: era un impegno a tempo determinato che poteva far guadagnare loro un’ottima cifra. Ma troppi dirigenti hanno imparato a loro spese che le miniserie spesso non hanno senso dal punto di vista finanziario, soprattutto quando il mercato ne è invaso. “HBO non accetta più le proposte limitate”, dice un altro importante distributore e, in generale, gli addetti ai lavori sono d’accordo.

“Non credo che vedrete un’altra serie limitata da 10-12 milioni di dollari”, dice un noto agente, citando come esempio la miniserie di Amazon Dead Ringers, con Rachel Weisz nel ruolo di due ostetriche gemelle. Un rivale concorda: “Le grandi star contano ancora, ma lo show deve essere commerciale o almeno avere questa aspirazione”. – Lesley Goldberg e Lacey Rose

03

Nemmeno Taylor Swift può salvare i cinema

Può essere difficile da credere, ma nel 2019, prima che COVID facesse precipitare i botteghini, le vendite di biglietti cinematografici in tutto il mondo hanno raggiunto il massimo storico di 42,3 miliardi di dollari, di cui 11,4 miliardi in Nord America. Sebbene le vendite dei biglietti in USA siano tornate a 7,5 miliardi di dollari nel 2022, e potrebbero avvicinarsi a 9 miliardi di dollari nel 2023, i dirigenti degli studios non si illudono che gli spettatori tornino ai livelli pre-pandemia. Il settore cinematografico sta ancora affrontando questa enorme crisi esistenziale.

“Molte ricerche dimostrano che la gente si è seduta altrove”, afferma David Herrin, fondatore della società di monitoraggio cinematografico The Quorum. “Potrebbe essere che si sono abituati a guardare i film a casa o che hanno paura di trovarsi in uno spazio chiuso e buio. Qualunque siano le ragioni, sono reali e significative. La sfida per le sale è: come possono gli studios recuperare queste perdite?”.

Un distributore esperto ha una risposta: “Cercare di tornare a 11 miliardi di dollari non dovrebbe essere l’obiettivo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di avere un’attività più agile, aggressiva e redditizia per gli studios”.

I film che si rivolgono agli adulti dai 35 anni in su, sia che si tratti di film indipendenti che di film finanziati dagli studios, come The Fabelmans, diretto da Steven Spielberg, sono particolarmente a rischio. Ha fatto eccezione Oppenheimer di Christopher Nolan, con un incasso di oltre 940 milioni di dollari a livello globale (il film è stato senza dubbio aiutato dal fenomeno Barbenheimer). Herrin ritiene che gli adulti tornerebbero in massa se l’esperienza fosse più soddisfacente. “Invece di investire nel popcorn o nell’estrazione dell’argento, AMC Theatres deve investire nei propri cinema”, afferma. 

Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone e Robert De Niro, costato 200 milioni di dollari, è il prossimo grande test per un titolo per adulti. I dati mostrano che la pellicola, che Apple distribuirà nelle sale attraverso la Paramount, aprirà con 24 milioni di dollari nel fine settimana tra il 20 e il 22 ottobre (Oppenheimer è arrivato a 40 milioni di dollari). Inoltre, con un colpo di scena inaspettato, il film di Scorsese dovrà vedersela con il film di Taylor Swift The Eras Tour, che debutta il 13 ottobre e spera di diventare un successo unico, come Barbie. Con una mossa insolita, la AMC Theatres distribuirà direttamente il film sul concerto di Swift. Se da un lato il progetto è ottimo per i cinema, che chiedono a gran voce contenuti di richiamo e ottengono il consueto incasso per ogni biglietto venduto (circa il 40% per un grande film), dall’altro non è altrettanto positivo per gli studios, che perdono l’occasione di ottenere un buon compenso per la distribuzione.

Oppenheimer e Barbie hanno dimostrato che i consumatori sono ancora disposti ad tornare al cinema per un evento. Tuttavia, le regole che rendono un film evento sono cambiate nell’era post-pandemia. Tutta Hollywood è rimasta perplessa quando Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One ha fatto cilecca. Anche i film di supereroi non sono più una certezza (The Flash di quest’estate è stato un grande fallimento). 

Robert Mitchell, della società di ricerca britannica Gower Street, è più ottimista di altri nel prevedere che gli incassi globali potrebbero superare i 40 miliardi di dollari nel 2024, se il tasso di crescita dovesse rimanere invariato. Ammette che il “se” è un grande punto interrogativo, considerando che il calendario delle uscite del prossimo anno potrebbe subire importanti cambiamenti a causa dei ritardi di produzione causati dagli scioperi. Deadpool 3 della Marvel, ad esempio, è stato costretto a una pausa. Al momento, il film è ancora ufficialmente previsto in uscita il 3 maggio.

“La sfida per le sale cinematografiche, dopo gli scioperi, sarà la stessa di prima e di sempre nell’era dello streaming, solo più grande: realizzare film che abbiano una forte spinta culturale e un’ottima resa”, afferma Tom Rothman, presidente e amministratore delegato di Sony Pictures Entertainment Motion Picture Group. “Superate questa barra alta e prospererete. Se vi abbassate di un centimetro, per dirla con le parole immortali del Mago di Oz, siete davvero, sinceramente, morti”. 

04

La battaglia contro l’intelligenza artificiale è appena iniziata

La necessità di mettere paletti all’uso dell’IA generativa ha accomunato gli artisti di Hollywood, diventando un importante punto di scontro nelle trattative tra la WGA e gli studios. Nell’accordo con l’AMPTP, la WGA ha ottenuto alcune protezioni per i membri, che garantiscono loro la retribuzione del lavoro indipendentemente dall’uso di IA nel processo di scrittura. Ma l’accordo non contiene alcun riferimento alla possibilità per gli studios di utilizzare il materiale degli sceneggiatori come dati per la “formazione” delle IA, un punto fortemente contestato durante la contrattazione. 

L’accordo WGA recentemente ratificato, che riconosce il panorama legale come “incerto e in rapido sviluppo”, sostiene che entrambe le parti si riservano il diritto di intraprendere azioni legali sulla questione. Sembra che le case di produzione sostengano di essere autorizzate a farlo e abbiano intenzione di procedere in tal senso. “Le aziende sentono di avere diritti di copyright sull’uso del nostro materiale”, ha dichiarato Chris Keyser, co-presidente del comitato di negoziazione, a THR il 27 settembre. 

Mentre gli studios lottano con gli sceneggiatori, che non vogliono fornire il materiale grezzo per permettergli di “allevare”  strumenti che un giorno potrebbero sostituirli, le aziende di intelligenza artificiale stanno setacciando Internet alla ricerca di opere protette da copyright, di proprietà di quegli stessi studios. Tutto ciò mentre artisti e autori fanno causa a società come OpenAI e Meta, sostenendo che la violazione del copyright su larga scala possa tentarli anche nel campo delle IA.

Gli scrittori si chiedono: perché gli studios non collaborano? Perché non si alleano con gli autori e contro le aziende di IA per opporsi a quello che potrebbe essere un grandissimo furto del loro materiale in violazione delle leggi sulla proprietà intellettuale? Gli studios possiedono la maggior parte dei diritti d’autore sulle loro opere, essendo i committenti degli scrittori. Potrebbero scegliere di mpartecipare alle battaglie legali che stabiliranno la legalità dell’uso di materiale protetto da copyright come dati per l'”istruzione” delle IA. 

“Gli studios dovrebbero proteggere i diritti d’autore”, afferma un membro della WGA. “È anche il loro lavoro”. Del resto sarebbe anche nell’interesse degli studios, poiché “nemmeno loro saranno mai in grado di competere con Google o OpenAI o Meta”. Darren Trattner, un avvocato che rappresenta attori, registi e sceneggiatori, aggiunge: “Gli studios dovrebbero allinearsi con gli sceneggiatori, perché c’è un interesse comune”. 

In un futuro non troppo lontano, le aziende di IA potrebbero entrare in competizione con gli studios impiegando strumenti di IA generativa per scrivere e revisionare le sceneggiature (gli scrittori dovranno comunque partecipare al processo, dato che i diritti d’autore possono essere concessi solo agli esseri umani). Alcuni di loro, che sono considerati leader nel settore e che dispongono di ingenti risorse finanziarie per sviluppare la loro tecnologia, tra cui Apple e Amazon, possiedono già aziende che fanno parte dell’AMPTP. Gli studios tradizionali, se intendono allenare i propri sistemi di intelligenza artificiale sul materiale fornito dagli sceneggiatori, si trovano in una posizione di grande svantaggio. 

“Perché uno studio dovrebbe desiderare che tutti i film  prodotti in 100 anni di storia vengano assorbiti da programmi di IA di terzi?”. si chiede Trattner. “permettendo così a chiunque di creare materiale di bassa qualità a partire dalla loro proprietà intellettuale?”. 

05

I giovani sono su YouTube e TikTok

Tutte le misure di contenimento sopra citate non risolvono un problema più grande per le aziende mediatiche tradizionali e per quelle emergenti come Netflix e Amazon. La competizione per accaparrarsi il tempo dei potenziali spettatori non è mai stata così intensa e la TV – in tutte le sue forme, ma soprattutto le reti broadcast e via cavo – non sta vincendo la battaglia.

Il pubblico della TV lineare è vecchio ed è estremamente improbabile che diventi più giovane. Al di fuori di (alcuni) sport in diretta, un programma in onda o in TV via cavo è fortunato se riesce ad attirare anche solo il 2% degli adulti 18-49 – la fascia demografica per la quale gli inserzionisti di solito pagano un sovrapprezzo.

Per quanto riguarda gli adolescenti e i giovani adulti, hanno trovato altre cose da guardare. La maggior parte degli utenti di TikTok ha meno di 30 anni e trascorre molto tempo sull’app. Secondo un rapporto del 2022 della società di ricerche di mercato Sensor Tower, gli utenti di TikTok negli Stati Uniti passano in media più di 80 minuti al giorno a scorrere i video. Anche gli utenti di YouTube trascorrono più di un’ora al giorno sulla piattaforma, dove i canali più importanti – da MrBeast a Cocomelon – hanno più di 100 milioni di iscritti in tutto il mondo. Le uscite dei videogiochi più importanti superano i film di successo. 

Lo streaming si colloca a metà strada, con una base di utenti più giovane di quella della televisione tradizionale ma più vecchia di quella di TikTok e di altre piattaforme emergenti.

Secondo Nielsen, è anche il mezzo di fruizione televisiva predefinito per la maggior parte degli americani, con il 38,3% dell’utilizzo della TV in agosto, rispetto al 30,2% della TV via cavo e al 20,4% della TV via etere. Ciò significa che aziende come Disney, Warner Bros. Discovery, Paramount Global e NBCUniversal stanno investendo miliardi di dollari per accaparrarsi fette più grandi di quel 38% (di cui YouTube e Netflix rappresentano regolarmente quasi la metà). È un costo che ha senso – devono essere presenti dove sono gli spettatori – ma che agisce anche come un freno ai loro profitti. 

Le grandi aziende mediatiche che dominano Hollywood sono state costruite sull’idea di un pubblico disposto a pagare per essere presente. Quel pubblico si è liberato, disperdendosi in migliaia di angoli. La sfida da affrontare, che nessuna azienda sembra aver risolto, è quella di andarli a scovare negli angoli, per riportarli “a casa”.