Tarak Ben Ammar arriva al Marateale con il suo yacht privato per ritirare il Premio Internazionale Basilicata, anche se il proprietario della Eagle Pictures ha affermato candidamente, durante la cerimonia di premiazione, che neanche sapeva dell’esistenza di un Festival a Maratea.
Durante l’incontro il produttore cinematografico, in giacca e pantaloni blu di differente tonalità, camicia bianca d’ordinanza sbottonata e sneakers nere, ha parlato del suo legame con il nostro Paese: “Devo tutto all’Italia perché essendo nato in Tunisia, parlo naturalmente l’arabo e il francese, ma la prima lingua che ho imparato quando avevo 9 anni è stato l’italiano. Grazie al maestro Manzi e al suo programma in Rai Non è mai troppo tardi. Dopo la seconda guerra c’erano molti italiani analfabeti e la Rai con i suoi programmi ha avuto un ruolo fondamentale sul piano culturale ed educativo”.
Nel frattempo l’imprenditore tunisino ha di nuovo fatto shopping in Italia acquisendo il controllo di Blu Yazmine, società di produzione indipendente fondata da Ilaria Dallatana e Francesca Canetta che allarga ulteriormente il business di Eagle Pictures nel segmento unscripted in un mercato dell’audiovisivo in continua evoluzione.
Ma il suo grande amore rimane il cinema arrivato a soli 22 anni dopo l’università negli Stati Uniti: “Ho sempre voluto fare cinema, ma non avevo studiato per fare questo. Vivevamo in un piccolo paese come la Tunisia, non avevo esperienza né soldi. Inoltre avevo un nome arabo che non era molto attraente per quel mondo”. La storia professionale di Tarak Ben Ammar è costellata di aneddoti o situazioni particolari, alcuni inediti, che gli hanno letteralmente cambiato la vita. A cominciare dall’incontro, del tutto casuale, con Roberto Rossellini.
“Lo incontro in aeroporto, vado diretto verso di lui dicendogli: ‘Maestro, vorrei fare del cinema. E lui con una generosità unica mi fa: ‘Ah sì? E di dove sei?’. Io gli dico che vengo dalla Tunisia. E lui: “Ma io ho un film da girare lì”. Così il mio primo lavoro da produttore fu il suo Il Messia, interamente girato nel mio Paese. Poi fu lui a presentarmi Franco Zeffirelli, col quale ho fatto in seguito Gesù di Nazareth, La traviata e Il giovane Toscanini. E sempre lui mi fece conoscere Francesco Rosi, con il quale feci Il caso Mattei“.
Cinecittà in Tunisia
La carriera di Tarak Ben Ammar esplose quando decise di costruire degli studi cinematografici in Tunisia. L’idea era di ricreare il successo di Cinecittà nel suo Paese. “Non ho reinventato niente. Negli anni ’50 e ’60, l’Italia e la Spagna erano i posti dove gli americani andavano a girare i loro film. Fuggivano dalla California per arrivare in terre nuove. Ho pensato che la Tunisia potesse seguire l’esempio italiano e, anche grazie ai registi e alle maestranze italiane, ho creato un’industria cinematografica nella mia terra, dando lavoro a un milione di persone”.
Sessantotto i film realizzati in 40 anni di carriera, ma con un senso di gratitudine verso l’Italia immutato negli anni. “Devo tutto all’Italia. Perché Rossellini in quell’aeroporto avrebbe potuto firmarmi solo un autografo e invece divenne il mio padrino. Grazie a questa sua generosità ho avuto tutto”.
Una carriera che ha attraversato prima il Mediterraneo e poi l’Atlantico fino ad arrivare in America. “Nonostante abbia girato film con George Lucas, con Steven Spielberg e con tutti gli altri grandi registi, ho sempre scelto l’Italia come ponte sull’America anche con la società Eagle Pictures, che oggi è leader nella produzione e nella distribuzione. Con l’ultimo Mission: Impossible ho portato Tom Cruise a Roma ad incontrare la premier Giorgia Meloni”.
Un incontro avvenuto a luglio, in occasione della première di Mission Impossible – Dead Reckoning Part One nella capitale. “L’appuntamento è stato molto interessante. La premier ne sa parecchio di cinema, Tom era molto curioso”.
Parole di stima del magnate cinematografico per il divo di Hollywood: “Sono stato molto impressionato da Tom Cruise, che è sempre generoso con l’autista, con la comparsa, con la segretaria: ha capito che tutto quello che ha lo deve al pubblico e a tutti quelli che lavorano per e con lui. Non fa mai la star ed è sempre disponibile”.
Continua, ricordando la première romana: “Quando abbiamo promosso il film abbiamo bloccato tutta Piazza di Spagna. Lui dalle 13 alle 20 ha salutato tutto il suo pubblico, si è concesso a centinaia di selfie. Tutti come se fosse il primo e unico della sua carriera. C’erano 150 televisioni, ha parlato con tutti, ha ringraziato chi faceva le luci, le guardie del corpo. Quando siamo andati a Palazzo Chigi, ovviamente tutti – dai poliziotti agli uscieri, dai segretari agli impiegati – volevano un autografo, un selfie. Ne ha fatti per un’ora e mezza, tanto da arrivare in ritardo alla prima”.
E dopo il film campione di incassi con Tom Cruise girato a Roma, a fine agosto arriverà nelle sale un altro blockbuster della Eagle Pictures, questa volta girato in Campania. “Abbiamo girato nella Costiera Amalfitana The Equalizer 3 – Senza tregua, che farà vedere sul grande schermo quanto è bella la vostra terra. Abbiamo girato tutto tra Minori, Maggiori, Amalfi e ovviamente Napoli. Gli italiani sono un popolo generoso, aperto, senza pregiudizi e siccome sono uno che viaggia, paragono spesso i diversi popoli. Tra la Francia e l’Inghilterra, non ho scelto l’Italia per caso, ma per amore, passione e rispetto, poi per la cultura e ovviamente per il paesaggio”.
L’idea di una Cinecittà 2
Ben Ammar conserva la volontà annunciata nei giorni scorsi di voler costruire dei nuovi Studios cinematografici alle porte di Roma, una sorta di Cinecittà 2. “Oggi l’Italia è talmente sexy e desiderata che lo vedo ogni volta che dico ai registi: ‘Facciamo il film in Italia!’. Per esempio The Equalizer lo volevano girare in un altro Paese. Io non ho fatto i primi due film, ma ho detto subito al regista Antoine Fuqua e a Denzel Washington: ‘Giriamolo in Italia, in Costiera Amalfitana, facciamolo a Napoli”. Ovviamente non è stato difficile convincerli”.
Ma come in tutte le storie, c’è un problema: “Ho notato che Cinecittà è troppo piccola. Cinecittà che è un esempio per tutti noi. Parlando con i produttori ho capito che c’è una enorme richiesta di teatri di posa, eppure non ce ne sono abbastanza. E visto che è una regola economica andare laddove la domanda è più forte, abbiamo messo in piedi un progetto per costruire un studio cinematografico”, spiega Ben Ammar.
E prosegue: “Abbiamo parlato con il governo e con la Regione Lazio a cui ho ribadito: ‘Attenzione, perché oggi le maestranze nel Paese bastano per fare solo tre grandi film italiani o americani. Dunque bisogna investire nella formazione dei giovani’. E allora ho chiesto alla Regione di fare una scuola del cinema, come ho fatto io a Tunisi, e di imporre ad ogni produzione, ad ogni reparto, un giovane studente. In questo modo vedremo se sono veramente fatti per il cinema, per quel mestiere, perché se non formiamo la futura generazione di artisti, il cinema e la televisione scompariranno. Noi adulti abbiamo potuto avere la carriera che amiamo, dobbiamo perciò aiutare i giovani e aprire le porte a tutti”.
Da Fellini a Polanski
L’amarcord di Ben Ammar non finisce qui. “Quando giravamo La traviata a Cinecittà con Franco Zeffirelli, Federico Fellini girava contemporaneamente un film in altro studio perché noi avevamo preso il suo Teatro 5, rinomato per essere proprio il “Teatro di Fellini”. Ero in imbarazzo per questo, perché lui non aveva il suo spazio abituale, ma un teatro più piccolo. Avevo 33 anni e stavo producendo un film di un grande regista e durante la pausa pranzo, alla mensa, per sei settimane ho avuto di fronte Federico Fellini. Ricordo che Zeffirelli e Marcello Mastroianni venivano spesso a salutare”.
Ad aggiungersi, anche il ricordo di Polanski: “Contemporaneamente stavo preparando con Roman Polanski il film Pirati con protagonista Walter Matthau, che a sua volta fece venire negli studi Jack Lemmon, perché erano molto amici. Mi sono quindi ritrovato a pranzo con tutti questi grandi a dover tradurre per quelli che non parlavano inglese. È stato un momento unico per un giovane come me. Peccato che all’epoca non ci fossero ancora gli smartphone (stiamo parlando del 1986, ndr)”.
L’imprenditore si rivolge spesso al pubblico del Marateale, pieno di giovani accorsi ad ascoltare uno degli uomini più potenti dello showbiz. Ed è alle nuove generazioni, a cui dice di tenere molto, che dispensa consigli: “Ad un giovane che vuole fare il cinema oggi serve curiosità, pazienza e passione. A livello tecnologico oggi si possono fare film anche con un iPhone, quello che conta però è l’idea, l’emozione per arrivare al cervello, divertire la gente ma anche educarla, oltre a lasciare un messaggio sociale di speranza in un mondo difficile”.
L’esempio di Kennedy
Visto il luogo in cui si trova, il produttore dedica un pensiero anche alle stragi del Mare Nostrum, la tragedia umana che ormai da anni tocca le nostre coste e quelle del suo Paese, specie dopo gli accordi sui migranti tra la Tunisia e l’Unione europea.
“Negli ultimi sei mesi, 289 bambini sono morti nel Mediterraneo, è un problema che noi privilegiati dobbiamo considerare. John F. Kennedy diceva sempre ‘Non chiedete sempre quello che il paese può fare per voi, ma quello che voi potete fare per il vostro paese’. Ho cercato di applicare sempre questo concetto alla mia vita creando un’industria, creando una televisione e tanti posti di lavoro. Ho sempre puntato sulle nuove generazioni”.
Prosegue Tarak Ben Ammar: “L’ho fatto anche perché questi grandi registi sono stati generosi, con Gesù di Nazareth, ma anche su tutti gli altri film, imponevo sempre un giovane studente in ogni reparto, dal costumista al truccatore, perché credo nel progetto di una scuola/lavoro. Sia che facessimo Guerre stellari o Indiana Jones, in ogni reparto ho chiesto a Lucas o a Spielberg di prendere un giovane e una giovane tunisina. Erano generosi perché il linguaggio del cinema è universale, perché gli uomini sono tutti uguali, i sentimenti, le paure, i desideri, basta tradurli e arrivare alla testa attraverso il cuore”.
Un linguaggio quello del cinema universale che abbatte le barriere linguistiche e culturali dei singoli popoli. “Oggi con internet ci sono i sottotitoli automatici, non c’è più un problema di lingua, c’è un problema di saper raccontare delle storie e commuovere la gente, oppure distrarre o far paura. Adesso per esempio l’horror va molto bene, abbiamo fatto Scream, che ovviamente non è il genere di film che prediligo: però ho capito che il cinema è un mezzo tra l’industria e l’arte, e il loro reciproco equilibrio”.
Chiarisce il produttore: “L’uno aiuta l’altro, non puoi fare soltanto film per l’industria, devi anche far salire il desiderio nel pubblico di uscire da un film e dire: ‘mi sento più intelligente, ho capito, ho imparato’. Chi va al cinema merita rispetto perché sono dovuti uscire da casa, hanno cercato parcheggio, hanno scelto il film da vedere, poi magari vanno a cena più tardi. Alla fine l’uscita è costata 70 euro e non puoi fargli vedere un film che potrebbe annoiarli”.
Una chiacchierata in cui Ben Ammar ha parlato generosamente della sua vita professionale e dei suoi tanti incontri fortunati tra cui quello con Silvio Berlusconi a cui ha dedicato un sentito ricordo: “Un grande uomo, un amico di 40 anni, è stato un gigante in tanti settori e ovviamente nella TV”.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma