La HBO non aveva avuto grandi soddisfazioni da The Nevers, la serie di fantascienza di Joss Whedon uscita nel 2021: i critici erano tiepidi, il pubblico altrettanto, e gli Studios avevano deciso di cancellare la serie dopo la prima stagione. Gli unici commenti entusiasti erano firmati da Kelly Sheperd, erborista e aromaterapeuta texana, che su Twitter difendeva l’opera a spada tratta. Quando il critico televisivo Alan Sepinwall aveva criticato The Nevers, Sheperd aveva commentato: “Come al solito le opinioni di Alan sono caute e piene di timore”. Nemmeno al Times e al New York Times la serie era piaciuta. Sheperd aveva twittato: “Scioccante che a due maschi bianchi di mezz’età faccia schifo una serie che parla di donne”.
Per gli standard di livore a cui i social network ci hanno abituati, i tweet di Sheperd sono quasi pacifici. Il problema è che dietro il profilo di un’aromaterapeuta texana si nascondevano il capo della programmazione originale di HBO e la sua vice. A scoprire tutto è stata Rolling Stone: secondo la rivista gli executive Casey Bloys e Kathleen McCaffrey avrebbero fatto scrivere al proprio staff commenti con account finti o anonimi per contestare la critica o addirittura per ribattere ai commenti negativi degli spettatori.
Il membro del personale che gestiva l’account finto è ora in causa con HBO per licenziamento senza giusta causa, e i commenti che ha dovuto scrivere sono tra le prove portate al processo. Kathryn VanArendonk, una dei giornalisti presi di mira dai commenti della sedicente Sheperd, ha detto alla newsletter The Ankler: “Quello che mi diverte di questa storia è l’idea che un singolo commento, tra tutti quelli che riceviamo, possa rimanere in qualche modo impresso. Mi fa un po’ ridere che l’executive di HBO crei un account finto per urlare contro il critico televisivo”.
Il caso, insomma, ha lasciato perplessi gli stessi critici, che di solito sono i primi a stupirsi della propria influenza. Le azioni di Bloys e McCaffrey raccontano della limitatezza culturale, forse dello squallore, di una certa leadership dell’industria audiovisiva. “Un’idea stupida”, ha ammesso Bloys, che oggi è CEO di HBO. Ma alla fine è una buona notizia: il dibattito critico continua ad essere rilevante anche per i produttori, tanto che alcuni arrivano a sentire l’urgenza di manipolarlo.
Non è la prima volta che Rolling Stone indaga sul rapporto perverso tra HBO e critica online. Un’inchiesta di luglio raccontava che nei primi quattro giorni dall’uscita di The Idol, la serie aveva ricevuto sull’aggregatore Rotten Tomatoes 500 giudizi a cinque stelle. Ma sul totale degli utenti, solo 9 avevano già un account con altre recensioni sulla piattaforma. Per gli altri 491 era la prima volta. Su IMDb, la serie HBO aveva ricevuto il massimo dei voti da 31.000 utenti, di cui quasi la metà era proveniente dall’India.
È un problema che riguarda anche i filmmaker. L’anno scorso, due report di WarnerMedia avevano dichiarato che il 13% degli account dietro l’hashtag #ReleaseTheSnyderCut era falso. L’hashtag aveva convinto la dirigenza di Warner a far uscire una versione del film Justice League rivista da Zack Snyder, che secondo Rolling Stone sarebbe potuto essere dietro il successo della campagna.
L’ultima inchiesta arriva due mesi dopo quella di Vulture, che raccontava delle strategie illecite dell’agenzia pubblicitaria Bunker 15 per alzare il punteggio del film Ophelia su Rotten Tomatoes, pagando i critici o facendo pressioni affinché modificassero le proprie valutazioni negative. Partendo da un 46% di recensioni positive, Bunker 15 era riuscito a farlo alzare a 62%, ottenendo la dicitura fresh, il marchio di qualità del sito.
Gli aggregatori hanno democratizzato il dibattito culturale, rendendo influente ogni opinione, ma lo hanno reso anche più caotico e manipolabile. Quando ogni individualità è tanto semplificata, ridotta a uno username e a un pollice verso, le opinioni non sono più distinguibili tra di loro, uno scenario incontrollato e aperto ad usi illegittimi. Ne approfittano spettatori arrabbiati – che si danno al cosiddetto review bombing, bombardamento di recensioni negative, volte a boicottare un film – così come i produttori, i pubblicitari e gli stessi registi. È una forma degenerata di espressione: l’oclocrazia di Rotten Tomatoes.
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