Chi traduce videogiochi potrebbe essere sostituito dall’intelligenza artificiale (IA). Molto presto. Il problema non consiste solo nell’abbassamento delle tariffe, ma anche in un utilizzo improprio dei testi tradotti dai professionisti per allenare strumenti di machine learning. Come accade con il doppiaggio, la localizzazione di un videogioco permette a un’opera di essere accessibile a più persone in un dato paese, di comprendere agevolmente comandi, storia e interfaccia, entrando rapidamente nel vivo dell’esperienza.
La localizzatrice Beatrice Ceruti spiega a THR Roma che ormai è prassi comune utilizzare i testi revisionati dai traduttori per allenare le IA. “Spesso danno in pasto la tua versione revisionata all’intelligenza artificiale per svilupparla,” afferma Ceruti. “E lì c’è un problema, perché contribuisci allo sviluppo di uno strumento senza ricavarne nulla”. Per fornire risposte più adeguate, le IA hanno bisogno di un vero e proprio allenamento, vengono “nutrite” con testo tradotto da un essere umano. Al fine di poter imparare e “performare” meglio: più veloci e precise.
Detto in altre parole: le agenzie che si occupano della localizzazione – ossia prendono in appalto l’adattamento e assumono professionisti freelance – in diverse occasioni inviano loro righe di testo già tradotte da un’intelligenza artificiale, chiedendo una revisione. Nel gergo questo processo è chiamato post-editing. Le tariffe che vengono applicate quindi non sono più quelle “da traduzione”, bensì “da revisione”. Ovviamente più basse.
Il traduttore e musicista Fabio Bortolotti, in arte Kenobit, afferma che “la tariffa del post editing è inferiore alle tariffe di traduzione tradizionale di 15 anni fa: ma nel frattempo il costo della vita è cresciuto esponenzialmente”. Inoltre il tempo impiegato per la revisione può essere, paradossalmente, maggiore rispetto a quello necessario per tradurre da zero. Una volta preso l’incarico, i traduttori sistemano problemi di registro, concordanza, tono o veri e propri fraintendimenti di significato.
Regolamentare le IA
“La machine translation è una tecnologia interessante e con del potenziale – continua Bortolotti – ma non funziona ancora, è pericolosa. Fa un sacco di errori, anche gravi. Quando si parla di traduzioni, anche il più piccolo dettaglio può creare incidenti. Gli errori fatti da una macchina che non ha le nostre conoscenze possono esporre a discriminazioni e denunce. Potrebbe essere usate come strumento per velocizzare alcune parti del lavoro, e altre no, invece viene utilizzata come metodo per pagare sempre meno i lavoratori. Non per ridurre il volume di lavoro, ma per pagarlo meno a fronte di più lavoro”. “Tutto questo solo nell’interesse del profitto” aggiunge. “Le aziende che si occupano di localizzazione sono molto poche, di fatto un oligopolio, possono cavarsela con pratiche poco etiche”.
A detta del traduttore francese Marc Eybert Guillon, fondatore del collettivo From The Void, l’utilizzo dell’IA “è usata come scusa per abbassare le tariffe, mentre il 99% dei traduttori lo trova più complicato rispetto a tradurre da zero per ottenere qualità. Nel caso di testi tradotti con l’intelligenza artificiale, il più delle volte è necessario tradurre il testo daccapo”.
Bortolotti avverte: “Se non verranno prese delle misure per regolamentare l’uso dell’IA, il mondo delle traduzioni morirà. E sta già morendo”. Bortolotti non vede futuro per la professione e adesso la sta abbandonando. “Ho tradotto giochi commerciali per quindici anni. Il valore del mio lavoro, invece che aumentare, sta calando. Il che porta inevitabilmente ad un abbassamento della qualità delle opere”.
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