L’ex primo ministro britannico Boris Johnson è uno di quegli individui in grado di suscitare una vasta gamma di opinioni, molte delle quali – forse e comprensibilmente – negative, considerando tutto quello che ha detto e fatto, o non fatto (un elenco troppo lungo per questo articolo).
Detto questo, un film intitolato Killing Boris Johnson probabilmente farà alzare qualche sopracciglio.
Il cortometraggio è opera del regista Musa Alderson-Clarke e del produttore Solomon Golding, neolaureati della britannica National Film and Television School. Il film fa parte della selezione La Cinef di Cannes e ha la particolarità di essere l’unico film studentesco britannico a partecipare al festival di quest’anno (selezionato tra più di 2.000 candidature).
Ed è forse anche l’unico film che, come suggerisce il titolo, ha come argomento centrale la morte di un capo di Stato e di un politico in carica che è ancora decisamente vivo.
Ispirato al “Partygate”
Alderson-Clarke afferma che il film “è ispirato alla mia vita”. E poi chiarisce – anche se forse non era necessario – che il film non è basato sulla sua vita. Concepito al culmine della pandemia di Covid, Killing Boris Johnson segue il tumulto interiore di Kaz (Shadrach Agozino), il cui stato emotivo viene sconvolto dalle azioni del governo di Johnson durante le severe restrizioni dovute al Covid.
Sulla scia del noto scandalo “Partygate”, dalle cui indagini è emerso che Johnson aveva partecipato a feste illegali a Downing Street mentre ad altri era stato detto che non potevano nemmeno partecipare ai funerali dei propri cari, Kaz decide che Johnson deve essere considerato responsabile ed elabora un piano per ucciderlo.
Alderson-Clarke ha perso la madre durante la pandemia, e dichiara: “In quel periodo stavo facendo i conti con il mio lutto”. “Ero arrabbiato con Boris Johnson, arrabbiato per tutta quell’arroganza – continua il regista – e volevo fare un film che catturasse quella sensazione”.
Come rappresentante della classe operaia, Alderson-Clarke afferma che le azioni di Johnson, apparentemente al di sopra della legge, hanno portato a un “sentimento di impotenza”. E le rivelazioni del Partygate “sono state il chiodo nella bara… mostrando come quest’uomo si sentisse in grado di farla franca su qualsiasi cosa volesse e che gli fosse tutto dovuto”.
Killing Boris Johnson vuole scatenare dibattito
Sebbene il titolo sia tra quelli che attirano maggiormente l’attenzione tra i film di Cannes, Killing Boris Johnson non si concentra tanto sull’atto omicida in sé, quanto piuttosto su una stimolante esplorazione del lutto, della rabbia e della responsabilità, visti attraverso gli occhi dell’aspirante assassino.
“Il film parla del viaggio emotivo di questo ragazzo” aggiunge il regista. “Penso che le persone entrino a vederlo aspettandosi qualcosa, e vorrei che uscissero avendo sperimentato qualcos’altro. Questo è l’obiettivo”.
Come era prevedibile, Killing Boris Johnson ha suscitato reazioni rabbiose da parte di persone che non hanno ancora visto il film, alcune delle quali hanno addirittura chiesto di intraprendere azioni legali contro i suoi creatori. Ed è una cosa che Alderson-Clarke accoglie con piacere.
Il regista britannico afferma che è “importante che la gente ne parli”. E aggiunge che è “aperto ad ascoltare diverse prospettive e punti di vista sul significato del film”. Lui spera che il cortometraggio aiuti le persone a uscire dalle loro bolle, compresa la sua.
“La sinistra frequenta solo la sinistra e vuole sentire i punti di vista della sinistra – afferma – e questo è in qualche modo sostenuto dagli algoritmi e dai social media”. “Ma se questo film mi porta a discutere con qualcuno che magari ha una posizione politica diversa dalla mia, penso che sia una buona cosa” conclude Alderson-Clarke. “Perché, in fin dei conti, quello che è successo con Boris Johnson non ha riguardato solo la sinistra, ha riguardato tutto il Paese”.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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