Lo “sciopero Netflix”: la protesta di Hollywood è anche una ribellione contro la “streaming revolution”

"La piattaforma ha ribaltato il modello di business, e lo ha eroso nelle sue fondamenta", dicono gli autori. Così nelle proteste di questi giorni, la società di Los Gatos viene indicata come uno dei grandi colpevoli della precarietà dei creativi

Netflix ha cambiato il mondo dell’intrattenimento, radicalmente. In un’inchiesta del Los Angeles Times, emerge che la grande protesta degli sceneggiatori che sta mettendo sottosopra l’industria hollywoodiana sta sempre di più assumendo i tratti di uno sciopero (simbolico e non) contro Netflix, e contro ciò che rappresenta. Perché la big tech di Los Gatos non ha inventato nulla, ma ha creato un servizio che si è replicato ovunque.

Negli ultimi dieci anni, tantissime major hanno lanciato la propria piattaforma di streaming e hanno tentato di replicare, più o meno bene, il modello Netflix, con prezzi decisamente più competitivi rispetto al classico abbonamento per la tv via cavo.

“Sciopero Netflix”, lo chiama non a caso il giornale californiano. Una ribellione degli sceneggiatori contro la streaming revolution. Un cambiamento che era già in atto, ma che negli ultimissimi anni ha fatto un grande sprint, diventando la normalità. E le consuetudini introdotte in questo processo ora sono al centro delle contestazioni degli sceneggiatori.

Il modello Netflix

“Pagateci o spoileriamo”, recitano gli slogan durante i picchetti. Netflix è diventato avatar di un modello di produzione e di business che secondo diversi sceneggiatori ha corroso le fondamenta del loro lavoro. “In diversi modi, Netflix ha ribaltato il modello di business, e lo ha eroso nelle sue fondamenta”, ha raccontato al Los Angeles Times Jaclyn Moore,  produttrice esecutiva e sceneggiatrice di Queer as Folk e Dear White People.

Anche Janet Lin, autrice che ha lavorato alla prima stagione di Bridgerton, afferma che il problema è lo streaming. Netflix ha dato alle persone ciò che volevano, subito. Non devono più aspettare di settimana in settimana il nuovo episodio. Idem Stephanie Hicks, membro della Writers Guild of America che ha lavorato alla serie ABC Castle: “Ci sono più contenuti disponibili,” afferma, “ma devi pagare chi crea questi contenuti”.

“Rispettiamo gli sceneggiatori e rispettiamo la WGA,” ha dichiarato un mese fa il vice amministrazione delegato di Netflix Ted Sarandos, nel corso di una presentazione sui guadagni della compagnia. “Non potremmo essere qui senza di loro”. Nell’occasione, Sarandos ha anche affermato che l’ archivio di contenuti Netflix reggerebbe i contraccolpi dello sciopero sul breve termine, ma è confermato che ora la produzione di alcune serie di punta è stata interrotta. Tra queste Stranger Things . E poi anche Cobra Kai e Unstable. Un contraccolpo non di poco conto.

Per di più, l’azienda di Los Gatos nel tempo ha messo mano al confezionamento delle stagioni. Meno episodi e pool ristretti di sceneggiatori, per un periodo di lavoro più breve. La tendenza a confezionare stagioni da sei o otto episodi, rispetto ai 22 episodi classici di serie come Lost o Fringe, non è certamente una scoperta di Netflix. I soprano e Sex and the City di HBO sono serie con stagioni molto brevi.

Cosa dice l’industria

La Alliance of motion pictures and television producers (AMPTP), che rappresenta le industrie del settore, sostiene che la crescita dei servizi in abbonamento ha creato più opportunità per scrittori di lavorare a serie tv, perché si stanno moltiplicando i prodotti.

Il via libera alla produzione di una serie anni fa avveniva tramite l’episodio pilota, mentre ora la “luce verde” viene data alla sceneggiatura. È la metodologia utilizzata proprio da Netflix. Prima gli scrittori lavoravano anche per dieci mesi all’anno, mentre ora è normale lavorare per settimane, forse mesi, scrivendo sei puntate di una serie che poi non viene accettata. La durata media di questi lavori, a detta della WGA, va dalle 20 alle 24 settimane, mentre Netflix ha dichiarato che i suoi team di sceneggiatori lavorano 20 settimane.

Gli sceneggiatori perdono anche il polso della situazione durante il processo di produzione. Si sta sgretolando il ruolo di showrunner che per anni ha caratterizzato l’industria televisiva statunitense. Nel 2010, Geetika Lizardi ha lavorato per nove mesi di quell’anno sulla sua prima serie Outsourced di NBC, passando da produzione a post produzione e imparando il processo di editing.

Lo scenario italiano

In un’intervista di THR Roma, la showrunner Barbara Petronio, ha spiegato che questa impostazione non è mai arrivata in Italia.

“Da noi c’è una deresponsabilizzazione collettiva”, spiega Petronio. “La fase risolutiva dei problemi avviene sul set, e si vede. Spesso il regista, non avendo seguito lo sviluppo narrativo del racconto, si perde i pezzi e fa scelte non coerenti. La qualità dei prodotti ne risente”. E aggiunge: “Culturalmente abbiamo un’impostazione infantile”. “Le rivendicazioni degli italiani sono anni luce indietro: mentre noi dobbiamo ancora vedere riconosciuto il nostro ruolo nella creazione di un prodotto, gli americani fanno una battaglia per riavere indietro un diritto già acquisito, e disconosciuto negli ultimi anni dalle piattaforme”.

Barbara Petronio è showrunner della serie in uscita Uonderbois per Disney+, nonché autrice di Romanzo CriminaleSuburra e Diavoli.

Costo della vita

Ma torniamo in America. La vita di uno scrittore di cinema e serie non è affatto così semplice come si potrebbe pensare. La compagnia di Los Gatos ha cambiato la modalità con cui sono compensati gli scrittori e come gli show vengono fatti. Crescere una famiglia a Los Angeles e scrivere sceneggiature ora è difficile, stando ai minimi sindacali. Complice anche l’aumento del costo della vita nell’intero stato californiano, dove questo problema è molto forte. Un’inchiesta del Guardian rivela che per molti lavoratori ricevere un aumento potrebbe essere, paradossalmente, un disagio. Questi potrebbero perdere sussidi per l’abitazione, e con l’aumento percepito potrebbero comunque non raggiungere la cifra utile per mantenersi.

Geetika Lizardi spiega al Los Angeles Times che con i nuovi tempi di impiego, minori rispetto al 2010, una persona “non può mantenersi”. “È già difficile ottenere un lavoro. E hai bisogno di almeno due o tre lavori per sopravvivere.”

Poche informazioni

In questo scontro frontale tra quadri e sceneggiatori c’è però un’asimmetria nelle informazioni. È sempre Jaclyn Moore a spiegare all’LATimes che le compagnie non diffondo dati sulle visualizzazioni, e ciò rende difficile per gli sceneggiatori capire se stanno venendo pagati adeguatamente. Si riduce quindi la capacità di negoziato nel caso la serie sia premiata dagli ascolti.

“L’industria tech è arrivata e ha chiuso a chiave quell’informazione”, afferma Moore, spiegando che una volta quei dati erano informazioni pubbliche.

La Writers Guild of America ha provato a far introdurre pagamenti residuali basati sulle visualizzazioni, ma l’AMPTP ha rifiutato. Netflix, rispetto a servizi concorrenti come Prime Video, condivide qualche informazione in più. Ma i sindacati stanno chiedendo più trasparenza su questi dati da parte di tutta l’industria.

Moore racconta infine che le compagnie tech chiedono fiducia. Ma è un affidamento cieco che comporta una grande difficoltà, conclude la sceneggiatrice, nel “negoziare il valore del prodotto che crei, se non hai informazioni su quando sia o non sia di successo”.