X Corp., la società madre di Twitter (ora X), ha dato seguito alla minaccia di citare in giudizio un’organizzazione no-profit che si occupa di linguaggio d’odio su internet. Le indagini dell’ente ne hanno documentato un aumento sul social network di proprietà di Musk, ma l’azienda sostiene che l’organizzazione si è “impegnata in una campagna di allarmismo per allontanare gli inserzionisti”.
La causa presentata martedì 1 agosto in un tribunale federale della California, sostiene che il Center for Countering Digital Hate (Ccdh) ha violato i termini di servizio di X, ottenendo illegalmente i dati utilizzati per condurre la ricerca. Nella denuncia si legge che il Ccdh “ha convinto una terza parte sconosciuta, in violazione dei suoi obblighi contrattuali, a condividere indebitamente le credenziali di accesso a un database protetto a cui l’ente ha poi acceduto, e dal quale ha recuperato informazioni in più occasioni senza autorizzazione”.
X incolpa Ccdh del fatto che alcune aziende abbiano interrotto la loro attività pubblicitaria sulla piattaforma. La società chiede quindi un risarcimento per decine di milioni di dollari, valutati sui presunti mancati introiti pubblicitari. Il social di Musk chiede anche un’ordinanza del tribunale che blocchi l’organizzazione e i partner anonimi dall’accesso al materiale concesso in licenza dalla società per violazione del contratto, con violazione del Computer Fraud and Abuse Act e interferenza intenzionale con le relazioni contrattuali.
L’aumento dell’odio su Twitter
La causa ha preso il via il giorno dopo che il Ccdh ha pubblicato una lettera inviata il 20 luglio da Alex Spiro, avvocato che rappresenta X, in cui si minacciava un’azione legale per una relazione che l’organizzazione aveva pubblicato il mese scorso. Nel rapporto venivano esaminati i post con contenuti che violavano le politiche di Twitter.
Il documento ha rivelato che la piattaforma “non agisce sul 99% dei messaggi di odio pubblicati dagli abbonati a Twitter Blue”, sostenendo che l’azienda permette loro di infrangere le sue regole “impunemente e addirittura incrementa sistematicamente la diffusione dei loro tweet tossici”. Musk è stato quindi incolpato del presunto aumento dell’incitamento all’odio sulla piattaforma, insieme alle aziende che continuano a fare pubblicità su X.
In un comunicato, l’amministratore delegato della Ccdh Imran Ahmed ha affermato che Musk “sta dimostrando che non si fermerà davanti a nulla per mettere a tacere chiunque lo critichi per le proprie decisioni e azioni”. Le indagini condotte dall’organizzazione no-profit “dimostrano che l’odio e la disinformazione si stanno diffondendo a macchia d’olio sulla piattaforma in mano a Musk. Quest’azione legale è un tentativo diretto di mettere a tacere questi sforzi”, ha dichiarato Ahmed. E continua: “Le persone non vogliono assistere o essere associate all’odio, all’antisemitismo e ai contenuti pericolosi che tutti vediamo proliferare su X”.
“Hanno consultato i dati senza autorizzazione”
Il social non sta però prendendo di mira la presunta ricerca tendenziosa e difettosa, bensì sostiene che il Ccdh ha compiuto una serie di atti illegali per assicurarsi i dati su cui ha basato la propria indagine. Sostiene che il gruppo ha ottenuto un accesso non autorizzato a set di dati forniti dall’azienda a Brandwatch, che vende prodotti che consentono ai suoi clienti di monitorare i marchi sui social media.
“Tali dati erano e sono consultabili solo tramite credenziali di accesso sicure”, scrive l’avvocato di X Jonathan Hawk. “Gli imputati, ad eccezione della terza parte che è inclusa come imputato ignoto e che ha impropriamente condiviso le proprie credenziali di accesso con il Ccdh, non sono mai stati autorizzati ad avere”, si legge nella querela. E conclude: “Il Ccdh, a sua volta, e in almeno due occasioni dopo aver avuto accesso a quei dati senza autorizzazione, ha citato i dati illecitamente consultati in modo incompleto e fuori contesto per creare affermazioni infondate e scorrette sulla presenza di incitamento all’odio su X”.
Ccdh contro X
L’azione legale sostiene inoltre che il gruppo ha violato i termini di servizio di X, scaricando i dati dalla piattaforma, ricevendo finanziamenti anche dai concorrenti di X, da società di media tradizionali e da enti governativi. Non ci sono però prove a sostegno di questa affermazione.
In particolare, la querela non riporta una violazione del Lanham Act, una legge federale sui marchi che consente alle aziende di fare causa per false dichiarazioni. Nella lettera inviata alla Ccdh, Spiro aveva accusato l’organizzazione di aver violato questa legge facendo dichiarazioni false e fuorvianti.
Il Ccdh si occupa di incitamento all’odio, disinformazione e altri comportamenti scorretti sulle piattaforme dei social media. Ha pubblicato articoli critici nei confronti di TikTok che promuove contenuti che favoriscono i disordini alimentari, di Twitter che genera entrate pubblicitarie ripristinando gli account bannati e di YouTube che trae profitto dai video di negazione del cambiamento climatico. Il gruppo ha dichiarato di non aver accettato fondi da concorrenti di Twitter o da enti governativi.
Traduzione di Pietro Cecioni
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