Il Torino Film Industry è stato un ottovolante di emozioni. L’appuntamento dell’industria del cinema indipendente, andato in scena al Circolo dei Lettori di Torino dal 23 novembre e che chiuderà i battenti il 29, ha mostrato un settore vivo (e vivace), che nonostante ottime notizie – soprattutto per il sistema cinema piemontese – ha trovato spazio anche per scossoni di un certo calibro.
Da una parte, la Torino Film Commission – nella figura della presidente Beatrice Borgia – ha mostrato in pompa magna il bilancio sociale della fondazione, con un prospetto pieno di speranza per il futuro della città e della regione.
Con riferimento all’anno 2022, secondo la Film Commission, l’impatto diretto degli investimenti sul territorio per la produzione cinematografica ha toccato i 47.182.690 euro. In sostanza, di 1 euro investito dalle istituzioni, l’impatto era di 20.
Un moltiplicatore x20, più di un miracolo. C’è chi si aspettava un moltiplicatore x3 o x7, ma la cifra comunicata dalla Film Commission arriva a 20. Mica per niente ora la fondazione presieduta da Borgia e diretta da Paolo Manera, che ha sostenuto nel 2022 circa 217 produzioni tra Ferrari di Michael Mann e La bella estate di Laura Luchetti, sta pensando a un sistema di Studios in pianta stabile in sinergia tra set tradizionali e innovativi, per allungare sì il tempo di permanenza delle produzioni sul territorio, ma anche per puntare sul settore della post-produzione.
“L’arrivo di nuovi player, e questo sta succedendo un po’ in tutte le industrie, ha creato una disruption e una fame di contenuti,” ha spiegato Borgia parlando con The Hollywood Reporter Roma. “Nuovi attori del mercato sono alla ricerca di contenuti originali e proprietari, e questo ha aumentato la quantità di contenuti, sono ulteriori produzioni che andiamo a sostenere”.
Torino Film e la fine della “bolla”
Le piattaforme come Netflix e PrimeVideo, secondo Borgia, hanno aiutato molto lo sviluppo del territorio. La legge di Lidia Poët, il cui successo sulla piattaforma di Reed Hastings ha portato – secondo quanto scritto sul Bilancio sociale della Fctp – “piazze e luoghi di Torino all’interesse di magazine e agenzie turistiche”, è un caso simile al cineturismo generato nel 2004 dalla fiction di Canale 5 Elisa di Rivombrosa, con Vittoria Puccini e Alessandro Preziosi, che nel 2004 ha visto il Castello di Aglié passare dai 10mila visitatori ai 90mila.
La Regione Piemonte sta supportando l’audiovisivo del territorio attraverso un fondo, come ha dichiarato l’assessore Andrea Tronzano (FI), di 20 milioni in tre anni. Un sostegno importante a fronte dei tagli al tax credit in previsione al ministero della cultura, come riportato nei mesi scorsi, ma soprattutto a fronte dello scoppio della “bolla” Covid, che dal periodo pandemico in poi aveva dato una grande accelerata alle produzioni cinematografiche in Italia, causando anche una sovrabbondanza di contenuti che poi faticavano a trovare una casa.
A far calare gli umori entusiastici è infatti l’amministratore delegato di RaiCinema Paolo Del Brocco, che solo il giorno dopo al bilancio della Fctp – mentre annunciava il listino del 2024 di 01 Distribuzioni – ha annunciato una riduzione delle produzioni per il prossimo anno.
Aumento dei costi, circa il 40%, ed “evidente” crisi degli incassi, “non sarà più possibile mantenere il livello produttivo di questi anni, torneremo quindi a una situazione di pre-pandemia”, ha detto Del Brocco.
I documentaristi all’attacco
Chiude l’edizione di TFI il panel, più simile ad un’assemblea, dei documentaristi italiani, che hanno discusso della difficoltà dei documentari ad arrivare nelle sale, allargando però il discorso anche al cinema indipendente, che fatica a trovare una visibilità in sala.
Nonostante la presenza di esponenti di case di produzione indipendenti, a rubare la scena è stato l’esercente Gaetano Renda, che a Torino è proprietario del Cinema Centrale, del Due Giardini e dei Fratelli Marx. La sua idea per portare in sala documentari e cinema indipendente è “semplice”, dice. “Un accordo, 70 schermi di tutta italia che confluiscono in una rete – con regole e sostegno statale – per garantire spazio al cinema del reale e indipendente, che avrebbe quindi una garanzia di visibilità”.
In pratica? Un “contro” – circuito, che però – secondo Renda – è la “rivendicazione di un ruolo”. “Un circuito non vuole avere una natura giuridica, non vuole diventare un collo di bottiglia”, afferma il proprietario del Cinema Centrale. “Siamo operatori sociali. Il nostro lavoro ci impone di trovare sempre nuove strade. E da parte nostra c’è un problema di emancipazione”. E conclude: “Nei miei cinema un titolo, anche sconosciuto, trova il suo pubblico”.
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