C’è stato un periodo in cui Hollywood si era spostata sul Tevere. Erano gli anni del cinema “sword and sandals” spada e calzari, ma anche tuniche, sangue, dolore, lacrime, produzioni esagerate, dive capricciose. Erano gli anni di Liz Taylor che faceva Cleopatra, inseguita dai paparazzi per la sua turbolenta storia d’amore con Richard Burton. Un mondo che, per quanto oggi si sia tornati a girare a Cinecittà e il genere antica Roma tiri di nuovo – un titolo su tutti: la serie Those About to Die con protagonista il due volte premio Oscar Anthony Hopkins nel ruolo dell’imperatore Vespasiano – non esiste più, almeno non con quelle premesse.
Oggi ne esiste un altro, ed è un mondo in cui il cinema italiano viene celebrato, studiato, omaggiato, riverito e rappresentato all’estero. Non solo a Hollywood, ma a New York City, capitale culturale dell’America che ci piace. Tra scuole di cinema, corsi, rassegne, presentazioni, sono tantissime le iniziative che a Manhattan guardano al cinema italiano come si guarda ai classici imprescindibili, con il rispetto, l’amore e a volte anche l’innocente stupore che da questa parte dell’Oceano si ha per tutto quello che è italiano, a dimostrazione di come l’Italia sia ancora un brand vincente, a saperlo usare.
IL MOMA e l’impatto del cinema italiano
“I cinefili parlano spesso del cinema italiano con grande nostalgia delle epoche passate. Il fatto è che i cineasti contemporanei che lavorano in Italia stanno realizzando alcuni dei film più d’impatto, risonanti e premiati di questo nuovo secolo”, si leggeva nelle note introduttive di Italian Film, 21st Century Style: A Tribute to Rai Cinema, la rassegna tenutasi al MOMA Museum of Modern Art nel dicembre del 2015.
Il rapporto tra una delle istituzioni culturali più importanti del mondo e il nostro cinema ha origine lontanissime, quasi coincidenti con la sua apertura, avvenuta nel novembre 1929. Da Antonio Pietrangeli a Alba e Alice Rohrwacher, da Claudia Cardinale – l’ultima in ordine di tempo ad essere omaggiata: la retrospettiva su di lei è durata dal 3 al 21 febbraio scorso – a Dante Ferretti, da Federico Fellini a Dino Risi, passando per Ugo Tognazzi, Ettore Scola, Gianni Amelio, Roberto Rossellini, Pierpaolo Pasolini, Marco Bellocchio: citare tutti sarebbe impossibile. Curiosando negli archivi, si trovano però perle.
La prima rassegna del 1955
Come l’annuncio della prima rassegna sui 50 anni di cinema italiano, avvenuta nel marzo del 1955. Una retrospettiva, composta da una trentina di film, più di un terzo dei quali mai proiettati negli Stati Uniti. Commentando la retrospettiva, Richard Griffith, curatore del Museum of the Museum Modern Art Film Library, scriveva: “Due volte nel corso della storia del cinema, i film italiani hanno raggiunto fama e influenza in tutto il mondo. Prima della prima guerra mondiale, con Quo Vadis? e Cabiria hanno portato il crescente mezzo cinematografico a un nuovo livello artistico, hanno contribuito a stabilire il prestigio e hanno influenzato la sua produzione in tutto il mondo. Dopo la seconda guerra, Roma città aperta, Paisà, Ladri di biciclette, hanno sorpreso il mondo con la loro vitalità e sfidato i cineasti di tutte le nazioni sollevando tutte le questioni inerenti alla forma cinematografica”.
“La nostra” arte: il cinema secondo Griffith
All’aprile di due anni prima, invece, nel 1953 risale l’annuncio del galà in occasione della premiere newyorkese di Bellissima, in presenza di Anna Magnani. Il biglietto costava 6 dollari.
Sempre Griffith, del film di Luchino Visconti scriveva questo: “Ancora una volta i cineasti italiani hanno prodotto un’opera su un tema contemporaneo vitale, questa volta la loro arte. Il ruolo sociale dei film, la loro presa sulle emozioni di milioni di persone in tutto il mondo, le speranze e le aspettative che suscitano, a volte deluse, a volte ironicamente soddisfatte – tutti questi temi sono esaminati e definiti in questo film di ricerca. Sono definiti in termini umani, come ci aspettiamo dagli italiani (nessun film potrebbe essere più italiano di Bellissima, e nessuno più universale) e si concentrano sull’intensa umanità di Anna Magnani, la stella più luminosa del cinema italiano.
Mai questa grande esponente dell’arte e della vita ha avuto un ruolo così rappresentativo del suo talento, e come sempre dà tutta se stessa”. La nostra arte: il cinema, Griffith, lo chiamava proprio così.
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