Ci sono voluti tre anni di lavoro e di ricerca per realizzare l’Atlante della Treccani, la prima riflessione organica e concettuale sull’impresa culturale e creativa in Italia. È un viaggio alla scoperta di quelle realtà, alcune sconosciute, che producono arte, bellezza, ricchezza economica e che rappresentano l’identità culturale del paese.
“Sono realtà fortemente radicate nei diversi tessuti territoriali, con caratteristiche di trasversalità tra comparti, con un elevato tasso di creatività e innovazione e orientate, prevalentemente, al benessere della collettività”, ha spiegato Roberto Grossi, direttore scientifico della pubblicazione. Un volume che regala un suggestivo e approfondito racconto di realtà imprenditoriali, ma anche vicine al terzo settore, ricco di competenze, professionalità e di quelle energie creative che rendono il nostro paese attraente e competitivo.
Cultura Italiae promotrice dell’Atlante
Il volume è edito dalla Treccani e promosso da Cultura Italiae, AICI, Istat, Istituto Credito Sportivo, Unioncamere, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, il patrocinio dell’Anci, la collaborazione di Federculture e Fitzcarraldo. “Questo Atlante serve a dare due segnali importanti. Il primo è far riconoscere la specificità di un’impresa. Cioè quando un’impresa può essere definita creativa e culturale – interviene il presidente di Cultura Italiae, Angelo Argento – l’altro è la specificità come dato scientifico. Un esempio calzante è la professione del vetraio. Un conto è il vetraio che ripara la finestra di casa e l’altro è quello che interviene sui vetri del Duomo di Milano. Sono sempre due artigiani, due professionisti, ma con un’economia e una visione del lavoro completamente diversa”.
L’Atlante si suddivide in tre sezioni: il Contesto culturale, i Dati, le Esperienze, che analizzano gli ambiti produttivi su base nazionale, regionale e provinciale, soffermandosi sui casi più rilevanti in termini quantitativi e macroeconomici.
Perchè Treccani ha deciso di pubblicare l’Atlante
Sul perché dell’esigenza di questa prima edizione abbiamo interpellato il direttore generale della Treccani Massimo Bray, ex ministro dei beni e attività culturali del governo Letta.
Perché l’esigenza di produrre un volume che studiasse l’impresa culturale italiana?
Per portare alla luce il grande valore, non solo economico, che il mondo della cultura ha nel nostro paese. Se pensiamo a quel terribile avvenimento che tutti abbiamo vissuto, quale è stata la pandemia, il mondo della cultura e delle sue imprese, nelle differenti forme, ha dimostrato di essere il miglior collante possibile per una comunità, per stare insieme, per progettarsi nelle forme di cui abbiamo bisogno, per accogliere le sfide e l’innovazione, per tutelare le tradizioni, il paesaggio. Sono alcuni dei motivi per cui Treccani ha accolto, secondo me, questa bellissima possibilità di portare alla luce questo patrimonio che il paese conserva, ma che è capace anche di migliorare e cambiare continuamente.
Molte di queste imprese però lamentano poca attenzione da parte delle istituzioni…
Sicuramente è necessario investire di più, mettere al centro modalità di lavoro differenti, che stanno emergendo, che hanno bisogno di maggiori sostegni. C’è realmente una forma di start up collettiva che si sta sviluppando nel paese, e sarebbe molto utile trovare tutte le risorse per accompagnarne la crescita.
Quali criteri avete usato affinché una di queste imprese finisse nel vostro Atlante?
Sono stati considerati l’apporto creativo e culturale nato dal basso, la presenza sul territorio, la capacità di coniugare tradizione e innovazione. Ci sono luoghi culturali come i festival che – anche quando si svolgono in pochi giorni – producono un’attività in grado di sostenere chi ci lavora per un periodo più lungo. Queste sono state le valutazioni portate avanti dal comitato scientifico che ha dato, con questo Atlante, un primo segnale. Speriamo che si possa andare avanti.
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