È sbarcato da pochi giorni su Netflix La favola mia, spettacolo teatrale di Giorgio Panariello che ha rapidamente scalato la classifica delle ‘serie’ più viste della piattaforma, arrivando addirittura sul podio, dietro solo a The Witcher. 90 minuti tra monologhi triti e ritriti e personaggi da 30 anni ripetuti, a voler quasi certificare l’allucinazione collettiva che tra la fine degli anni ’90 e i primi anni ‘2000 travolse il Bel Paese. Perché una ventina di anni fa Giorgio Panariello era ovunque, il principe di Rai1.
L’exploit con Renato
Negli anni ’80 un giovane Panariello, che si barcamena tra il mestiere del cameriere, il deejay e quello dell’elettricista navale, gira i locali della Versilia e della Toscana nei panni di Renato Zero, che imita magnificamente. Nel 1986, a Vibo Valentia, Carlo Conti assiste a questa imitazione e ne rimane impressionato. Nasce un sodalizio artistico che non si è mai interrotto. Nel 1994 Conti e Panariello sono i reucci di Vernice fresca, su Teleregione Toscana. Nel 1995 il programma si tramuta in Aria fresca, che plana su Telemontecarlo visti gli ottimi ascolti. I due mettono finalmente piede in Rai nel 1996, con Su le mani e Va ora in onda.
Nel 1999 Giorgio esordisce alla regia con il film Bagnomaria, in cui ripropone tutti i suoi personaggi.
Improvvisamente, è Rai1
Con l’arrivo del nuovo millennio il mondo non implode causa Millennium bug ma l’Italia viene attratta da un buco nero chiamato Giorgio Panariello. Sono gli anni in cui la comicità toscana la fa da padrona. Basta saper dire correttamente “una hoca-hola on la hannuccia horta horta” per incassare miliardi in sala e fare il 30% di share in tv. Pieraccioni colleziona record d’incassi insieme a Massimo Ceccherini, Roberto Benigni trionfa agli Oscar, Francesco Nuti torna a macinare lire al botteghino grazie a Il signor Quindicipalle, e a lui, “Giorgino”, viene affidato il sabato sera di Rai1. E attenzione perché all’epoca il sabato sera di Rai1 era il varietà per antonomasia, il punto d’incontro con la Lotteria Italia, il Sacro Graal della televisione italiana, la maglia gialla del piccolo schermo, l’autostrada che conduceva al Telegatto.
Il boom del Sabato e il Sanremo flop
Torno Sabato, al fianco di Tosca D’Aquino e Paolo Belli, fa il suo esordio con il 32% di share. La seconda stagione chiude con il 48,10% di share. La terza arriva addirittura al 48,61% di share. In pochi anni, e dal nulla, Panariello è diventato il frontman del servizio pubblico. Pur replicando i medesimi personaggi all’infinito, la solita imitazione di Renato Zero, i monologhi che puntano al deridere il presente per incensare il passato, perché è risaputo che “si stava meglio prima”. Tutto sembra stancamente ripetersi, ma il pubblico è al suo fianco. Fino al 2006, quando Panariello si ritrova improvvisamente conduttore e direttore artistico della 56esima edizione del Festival di Sanremo, coadiuvato da Ilary Blasi e Victoria Cabello. E il risultato è disastroso. Sotto tutti i punti di vista.
Vince una delle peggior canzoni della storia mai ascoltate all’Ariston e in tutto il globo terracqueo, ovvero Vorrei avere il Becco di Povia. L’Auditel è impietoso, con una media di 8.280.000 telespettatori e il 40,17% di share. La 3a serata affonda addirittura al 33,49% di share, con appena 6.234.000 telespettatori. L’anno prima Bonolis aveva fatto 11.792.000 telespettatori di media e il 52,79% di share. L’anno dopo Pippo Baudo risale ai 9.703.000 telespettatori, con il 47,71% di share. Con Sanremo Panariello vola troppo vicino al sole e si brucia, iniziando così il suo inevitabile declino.
Il pubblico tv gli volta le spalle
Dopo sei anni di nulla nel 2012 torna in tv su Canale 5 con Panariello non esiste, per poi concedersi due speciali natalizi Rai nel 2015 e nel 2017 e reinventarsi giurato grazie all’amico Carlo Conti con Tale e Quale Show. Nel 2021, su Rai3, affianca Marco Giallini in Lui è peggio di me, programma che in due stagioni supera a stento il 4% di share medio. In pochi anni Giorgio passa dal boom del sabato sera su Rai1 all’indifferenza più o meno generale della terza rete. Il pubblico che fino al 2004 lo guardava in massa, apparentemente divertendosi al suo cospetto, si stufa e gli volta le spalle. Come Thanos negli Avengers, con uno schiocco di dita milioni di telespettatori si disinteressano improvvisamente a lui. Almeno in tv.
Perché a teatro Giorgio continua a macinare biglietti. Il trio Pieraccioni, Conti e Panariello fa grandi numeri per 4 anni, fino all’arrivo della pandemia, con Giorgio che prosegue poi in solitaria grazie a Il Panariello che verrà, Panariello Story e per l’appunto La Favola Mia, spettacolo in cui il 62enne comico ritrova i suoi storici personaggi, da abbinare a considerazioni sulla sua vita privata e sulla società odierna. Con i più ovvi risultati.
La Favola Mia su Netflix
Lo show Netflix, registrato in un teatro fiorentino stracolmo, punta all’avanguardia comica facendo ironia spicciola sugli influencer, sui tiktoker e sulle nuove professioni dei nostri tempi come i gamer; sui reality e sui personaggi da reality, sulla bassa qualità delle canzoni di oggi rispetto a quelle eccelse del passato, su alcuni termini in inglese che parrebbero aver sostituito l’italiano medio al grido “io l’inglese non lo so, come tutti gli italiani. Non è nel nostro DNA”.
La comicità di Panariello inciampa poi su un maschilismo d’annata che risulta essere abbondantemente fuori tempo massimo. Quando parla di banane fa subito il nome di Cristiano Malgioglio. Quando introduce l’imitazione di Renato Zero sobbalza nel momento in cui poggia il proprio didietro sullo spigolo di un cubo di legno, guardandolo con timore.
Panariello prende I Migliori Anni dell’amico Carlo Conti e per l’ennesima volta lo tramuta in show apparentemente ironico, guardando con malinconia ad un passato puntualmente nostalgico, senza dimenticare le sue maschere più famose. Merigo l’ubriacone, Mario il bagnino, il PR della discoteca Chiticaca di Orbetello, Lello Splendor, Silvano il Vaia. Personaggi visti e rivisti che ad ogni occasione Giorgio è quasi costretto a far resuscitare, senza dimenticare quel Re dei Sorcini che è più vero dell’originale, da 40 anni cavallo di battaglia che tramuta Panariello in un imitatore qualsiasi, come il Luciano Pavarotti e la Liz Taylor che ancora oggi ad ogni Festival di Sanremo si danno appuntamento fuori dall’Ariston per strappare due foto a chi crede che gli originali siano ancora in vita.
In 20 anni Panariello non ha saputo evolvere, reinventarsi, scrollarsi di dosso quella favola abbracciata a inizio anni ‘2000, pur avendone le capacità. Perché dietro quella maschera comica ferma agli anni ’90 si nasconde un’anima drammatica che meriterebbe maggiore presenza, come dimostrato nel 2015 in Uno per tutti, film di Mimmo Calopresti con protagonista un Panariello mai visto prima ed effettivamente mai più visto, essendo quella la sua ultima pellicola al cinema. Non a caso il meglio di sé nello show Netflix Giorgio lo dà quando parla di sé, del proprio passato, a cuore aperto, del padre mai conosciuto, della mamma che abbandonò lui e suo fratello dalla notte alla mattina, della morte di quest’ultimo a soli 50 anni. E il rimorso, ancora oggi, è enorme e al tempo stesso pubblicamente esplicitato.
Pur avendo ritrovato stabilità televisiva grazie all’amico Carlo Conti e a Tale e Quale Show, in cui il ruolo secondario di giurato a briglie sciolte gli calza a pennello, Panariello dovrebbe provare a cambiare registro, cominciare a guardare il presente voltando definitivamente pagina da un passato abbondantemente archiviato, indossando finalmente una sola maschera. La sua.
Il programma della settimana è stato Chi l’ha Visto?, su Rai3.
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