Dal cielo, a guardarci dall’alto su una mappa, noi stasera siamo un punto sulla carta geografica. La spilla segna questo palazzo, Brancaccio, in questa strada, via Merulana, in un quartiere di Roma – ah, Roma… – il quartiere si chiama Esquilino, è uno dei sette leggendari colli.
Benvenuti al quartiere Esquilino, dunque. Vi avviso, è magico. Può cambiare il destino di ciascuno di voi, di noi. Per cominciare via Merulana collega l’obelisco di Piazza san Giovanni a quello di piazza di Spagna, è questo cammino uno dei percorsi più antichi di Roma. Non occorre che vi dica di cosa sia antenna e indice un obelisco, qualcosa dell’antico Egitto lavora ancora tra noi. Qui dietro, in piazza Vittorio, c’è la Porta Magica. Un portale di pietra da varcare, letteralmente. Dove conduca non sappiamo: ci sono simboli, storie, leggende.
È il luogo dove è custodita la pietra filosofale, dice una di queste leggende. La pietra che trasforma ogni cosa in oro e che forse, per chi insensatamente la desideri, garantisce l’immortalità. E’ un luogo alchemico pieno di maghi, artisti, poeti, visionari, bambini. Bambini di ogni etnia. È qui, all’Esquilino, che approda a Roma chi arriva con il treno e sovente si ferma. Un quartiere multietnico, dove si incontrano le origini e le lingue. Qui c’è la scuola per l’infanzia più bella, una delle più amate della città. È una scuola dove i bambini arrivati da ogni parte del mondo studiano arte, fanno cinema. Intanto, insegnano l’italiano ai loro genitori.
Anche le mie cugine hanno insegnato l’inglese ai loro genitori, in America. Mia zia Luciana faceva la sarta a Novara, a metà del secolo scorso. E’ arrivata con la nave a Ellis Island, ha cominciato a tagliare i modelli sulla carta per un giovanissimo aspirante stilista a New York, è diventata infine capo di tutte le sue maestranze. Negli ultimi anni – quando era già molto anziana – lui la mandava a prendere in limousine perché facesse la supervisione degli abiti della collezione, che non partiva senza l’ok di zia Luciana. Erano insieme in ufficio, la mattina dell’11 settembre. La zia ha guardato dalla finestra e ha detto mamma mia: così, in italiano. Si sono abbracciati, hanno pianto. Quel ragazzo era Calvin Klein. La zia Luciana diceva che lavorava “in quinto viale con cinquantacinque strade”, lo diceva in una lingua che non era inglese né italiano – ma la capivamo tutti. I bambini cinesi, indiani, africani di questo quartiere accompagnano i genitori ai colloqui con gli insegnanti e traducono per loro. Spero che dicano la verità sui compiti e sui voti, nella traduzione.
Qui abitano Paolo Sorrentino, le donne africane che fanno teatro sul tetto di un palazzo occupato a cui il Papa ha restituito la corrente elettrica, centinaia di attori, musicisti, registi e sceneggiatori, scrittori, studenti, artigiani, giovani che aprono nuovi commerci, immigrati in attesa dei fogli per restare. Qui presto ci sarà una grande Accademia della Moda – in un luogo che una volta era un magazzino frequentato dai soldati dell’ultima guerra. E’ qui che siamo noi. Qui è atterrata l’astronave THR e qui mette radici il nostro lavoro. E’ importante, dove siamo. La storia e il futuro attorno a noi, da costruire insieme.
Roma parla la lingua del cinema. Non ho da dirvi la storia del cinema e di questa città, la conoscete tutti. Quel che ho da dirvi è che non è solo gloria e memoria, questa storia: non è solo Sofia Loren, Fellini, Otto e Mezzo, Mastroianni (“Marcello, come here”) Vacanze romane, la Vespa, Via Veneto la Dolce Vita. No, non solo. Roma è il presente e il futuro. Conoscete certamente la Roma della Grande Bellezza, i papi e il potere di Paolo Sorrentino, conoscete forse la Roma violenta e criminale di Suburra, noi abbiamo però anche da mostrare al mondo la Roma apocalittica e profetica di Siccità di Paolo Virzì, sulle spalle di Pier Paolo Pasolini e delle sue periferie dell’anima abbiamo da raccontarvi quelle dei fratelli D’Innocenzo, giovani geniali, la Roma vorrei dire neo-romantica e sempre politica di Nanni Moretti che proprio oggi, stasera si presenta al mondo, pronto per il prossimo Festival di Cannes. A Cannes vedrete anche il nuovo film di Marco Bellocchio, maestro di racconti e incantamenti.
Ma Roma è un set a cielo aperto ogni giorno dell’anno. Le più grandi produzioni internazionali passano da qui, gli studios di Cinecittà sono sold out, ambitissimi, ma ovunque, ovunque si gira. I genitori che portano i figli a scuola devono cambiare strada perché c’è Daniel Craig che guida un’Aston Martin sul Lungotevere, pazienza anche se anche oggi si entra in ritardo. Pazienza se mentre stai riposando il pomeriggio esplode una macchina sotto casa perché Tom Cruise sta salvando il mondo. Vuoi forse impedirglielo?
Il questa città, il più bel set naturale che esista, ogni pietra racconta una storia che il cinema non ha ancora raccontato. Noi siamo qui (anche) per questo. Per far parlare le pietre. E le persone che le lavorano le trasformano in scenografie senza pari, i maestri artigiani che hanno fatto la storia del cinema: scene, voci, rumori, scarpe, capelli, abiti, effetti speciali.
Noi, scusatemi se me ne vanto persino io che non c’entro, noi vi abbiamo dato ET.
Tutta l’Italia oggi è un set a cielo aperto. Conoscete Napoli, che la vedi e dopo puoi anche morire – si dice da noi – dall’Amica geniale, da Gomorra, dalla famiglia De Filippo – la nostra royal family di artisti – raccontata da Mario Martone. Aspettate e vedrete il prossimo film di Paolo Sorrentino, la leggenda di Partenope, una sirena e dunque una città.
Conoscete le isole della Sicilia da Emanuele Crialese, Respiro, da Nuovo cinema paradiso, Tornatore, ora più di recente da serie tv come White Lotus che tanta fortuna ha portato, giustamente, alle attrici italiane che la interpretano. Potrei continuare: la Calabria, la Puglia, la Toscana. L’Italia, insomma. Luca Guadagnino, che sta lavorando in queste settimane a Roma, vi ha mostrato le luci e le penombre di tutta questa storia, tutta questa bellezza, tutto questo ingegno. La lingua, i silenzi, i dialetti.
Ma c’è un altro aspetto che mi preme. Il cinema, soprattutto il cinema che vediamo da casa – cinema in salotto, lo streaming, le piattaforme – è oggi il più potente veicolo di conoscenza, soprattutto per le giovani generazioni. Che sanno quello che vedono, ormai sanno quasi esclusivamente quello (parlo della maggioranza, certo ci sono eccezioni) e si fidano di quel che raccontiamo loro. Le storie sullo schermo e la storia coincidono.
Cosa raccontare e come farlo, perciò, è la più grande nostra responsabilità. Stiamo costruendo la coscienza collettiva dei prossimi decenni. Non è solo impresa, fatturato, business. E’ visione strategica, eredità, costruzione del mondo che verrà. E’ in un senso molto ampio politica. E’ cultura. E’ questo il crocevia in cui bisogna essere, farsi trovare già lì quando sarà il momento di esserci, per tutti.
Il cinema politico italiano, citerò solo il premio Oscar Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, è l’archetipo di ogni racconto che abbia come oggetto il potere. E’ un film diverso da ogni altro che ci sia stato prima, ed è sempre così quando un’opera cambia la direzione di marcia per tutti, per sempre. I grandi autori hanno sempre scartato di lato rispetto alla strada principale, i geni arrivano inattesi, sono imprevedibili, si muovono veloci e non vengono a fuoco nelle foto. Non rispondono alla dittatura dell’algoritmo perché l’algoritmo asseconda e invita a replicare quel che già esiste. Insegue la domanda, non la suscita.
Voglio precisare: massimo rispetto per chi lavora con successo a confezionare prodotti che siano fruibili e piacevoli secondo le esigenze del mercato, dunque redditizi. Ma se esistesse la formula perfetta del capolavoro avremmo solo capolavori, e purtroppo – o per fortuna – non è così. Nessuno ha mai cambiato la storia mettendosi in fila con un numero d’ordine. Tutti abbiamo in mano in tasca un telefono che non somiglia a nessuno di quelli che c’erano prima, non lo desideravamo prima che esistesse perché non c’era, appunto. Lo abbiamo desiderato quando, per sorpresa, fuori norma, è comparso ed è diventato la misura esatta dei desideri. Il racconto perfetto, il film perfetto del nuovo millennio è ancora da scrivere, forse lo farà uno dei ragazzi in questa sala, o un bambino della scuola qui dietro.
E’ ancora da scrivere, ma quel che è sicuro è che ha radici profonde in un tempo remoto di cui tutti noi siamo eredi. Le storie più eloquenti, quelle che illuminano il nostro presente, hanno sempre dentro di sé qualcosa di antico. Dappertutto nella storia del cinema, dunque nel racconto della storia, c’è un Amleto, una Antigone, un Ulisse: dappertutto – in principio – c’è Europa. Ovunque: anche nella fantascienza, anche nei cartoni animati, nei nuovi kolossal. Le radici profonde di Hollywood sono da qualche parte qui intorno a voi, qui dove siete seduti proprio qui in queste pietre. Le storie di tutti, le memorie condivise, l’eredità. Dunque – per forza, non si scappa da quel che siamo – l’avvenire, il tempo che verrà.
Noi di THR siamo qui anche per questo. Per dare voce ai più giovani, dare posto a chi non ha posto, una chance ai talenti, un’opportunità a chi ha qualcosa da dire di imprevedibile, inatteso. Le sale cinematografiche sono state un luogo di comunità nei quartieri e possono tornare ad esserlo, come dimostra il lavoro che hanno fatto i ragazzi del collettivo Cinema America che è stato capace di tornare a riempirle, di radunare migliaia di persone ogni estate nel centro e nelle periferie della città.
In ogni città d’Italia, in ogni quartiere di ogni città del mondo ci sono ragazzi che alzano un telo in cortile e proiettano un film. Un cineclub, un cineforum. Pensare il molto piccolo e il molto grande insieme, questa è la sfida. Che ogni scantinato, ogni periferia, ogni isolato di ogni luogo possa parlare con l’altro e, tutti insieme, col mondo. Esquilino, Roma, Italia, Los Angeles, Tokio. Un paese delle Alpi, un’isola del Mediterraneo, Parigi, Nuova Delhi, New York. E’ un mondo molto piccolo, quel che chiamiamo casa e insieme è molto grande.
I nostri figli sapranno cos’è un cinema? Sì, lo sapranno. Se andremo noi da loro e smetteremo di pretendere che vengano loro da noi. Se parleremo la loro lingua, la impareremo, quella dei videogiochi e dei fumetti, quella in cui chi sopravvive ha vinto. Non è il reduce di una sconfitta, il superstite, ma è chi ha resistito ad ogni ingiuria. Come l’eroina di Hunger Games, come ogni adolescente del mondo davanti al suo computer. Andremo nelle scuole e porteremo le scuole fuori dalle aule, sarebbe magnifico che le star dei red carpet finito il photocall passassero dall’Esquilino, e a partire da qui arrivassero in ogni periferia d’Italia e del mondo.
La pietra filosofale, quella che trasforma ogni cosa in oro, non è altro che questo: il futuro dei nostri figli. Attraversiamo quella porta, si trova qui a pochi passi.
Costruiamolo insieme, questo cinema specchio di mondo. Facciamo entrare chi bussa. Rinunciamo alle nostre certezze, quando il nuovo compare inatteso e fuori norma. Sarà fonte di lavoro, di ricchezza – sarà dunque utile – ma soprattutto sarà giusto: sarà la cultura diffusa e direzione di marcia del prossimo secolo. Il tempo nuovo. Avrà avuto un senso, il nostro stare nel tempo, se saremo stati capaci di sentir arrivare quello che arriva. Di dire a chi ha qualcosa da dire accomodati, questi sono i nostri ferri del mestiere, eccoli: magari non ti serviranno, forse invece sì. Comunque. Vengono da molto lontano, li abbiamo custoditi per te, fanne buon uso.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma