Sono rimasti in cinque. Ed è una brutta notizia, perché vuol dire che Masterchef 13 sta per finire. Pagelle buoniste, per questa nostalgia anticipata e perché ormai (quasi) nessuno sbaglia più un colpo, neanche chi perde l’esterna o viene eliminato.
Chi è arrivato sin qua non sarà ancora Masterchef ma è un cuoco di valore. E dopo settimane insieme, anche i più urticanti diventano di famiglia.
Assaf Granit 10
Sulla sua tavola c’è la pace. Dei sensi, delle culture e delle nazioni che si uniscono in più piatti, i suoi 13 ristoranti in tutto il mondo sono testimonianza della genialità di un popolo che ultimamente è schiacciato dagli stereotipi dell’ideologia. Lui li abbatte con il sorriso che cerca fin da quell’insalata fatta per caso, da cameriere mediocre che passa in cucina per necessità.
Quel sorriso che una cliente fa al primo assaggio del suo primo piatto e che lui non ha più smesso di cercare. Ora i suoi ristoranti sono tra le esperienze per cui vale la pena vivere (e senza nulla togliere allo stellato Shabour, il Machneyuda di Gerusalemme è commovente solo a ricordarlo).
Assaf Granit porta Israele e il Medio Oriente a Masterchef, ma in realtà porta il mondo, quello che arriva dalla Polonia di sua nonna che incontra una coetanea marocchina e con lei scambia esperienza e ricette. E al nipote insegna ad assaggiare tutto e tutti. Un insegnamento che una chef italiana straordinaria (e molto cinematografica, come questo giovedì di Masterchef che è finito pure al Museo Nazionale del Cinema), di nome Kaba Corapi, dà da diversi anni qui da noi.
Unire, mischiare, farsi ispirare da contrasti apparenti che diventano incontri meravigliosi. Senza paura, con grande curiosità. E conoscenza degli ingredienti.
Un uomo dal carisma straordinario, pure quando davanti a Niccolò capisce, semplicemente, che le chiacchiere dei colleghi e pure le sue lo stanno deconcentrando. I suoi suggerimenti non sono consigli, ma squarci di luce, intuizioni clamorose, buttate là con generosità. La stessa con cui è impietoso nei giudizi. Sì, perché una stroncatura da uno come lui è qualcosa che ti porti dietro tutta la vita. E il complimento che fa a Sara, ci fa piangere tutti.
Con Alex Atala, l’ospite più interessante ed entusiasmante di questa edizione di Masterchef.
Sara Bellinzona 9
Hai capito la bimba. Un diesel che prima ha cercato di rimanere nel gruppone, non sbagliando troppo e imparando da tutto e tutti. Poi quando sono cominciate le salite ha messo su un rapporto da passista e mentre faticava a testa bassa, dando il massimo, se n’è lasciata dietro tanti. E ora che in vista del traguardo è rimasta con i migliori, sale sui pedali e comincia a tentare strappi per staccarli.
Con Eleonora sfiora la vittoria dell’esterna “cinematografica”, al severo chef che vuole portare i sorrisi sulla sua cucina, Assaf Granit, ne strappa diversi, e riceve la recensione più bella quando le dice che il piatto è perfetto “e mi ha fatto pensare a mia nonna”.
Il limite della sua timidezza e della paura di mostrarsi in tutto il suo talento (e non solo) in lei è diventata opportunità. Di crescere piano, ma esponenzialmente. Di arrivare di slancio a ridosso della finale. Ora se la gioca, lo abbiamo capito da quando ha eliminato Deborah, la favorita. Vai Sara, non fermarti.
Il Croccancino 8,5
Antonio Mazzola vuole vincere e si vede. Sullo street food come suo solito non fa voli pindarici (unica sua debolezza, una creatività con la museruola), ma tecnicamente è il migliore, il secchione del gruppo. E si inventa, alla fine, il piatto dell’edizione, quello che non ci stupirebbe potesse diventare un brand.
Ce lo vediamo da Napoli all’Oktober Fest, i furgoncini pieni di Croccancini da vendere per strada.
Vota Antonio.
Eleonora Riso 8
Non c’è un favorito, in questa edizione. Però da amanti del rischio, una banconota di medio taglio su di lei la punteremmo. Perché questo pulcino bagnato che nei momenti giusti diventa una leonessa indomita, con le sue smorfie da fumetto e l’irriverenza di chi non si trattiene quando nel suo piccolo si incazza, chiunque abbia davanti, a ora è la più completa tra i cinque rimasti. Creativa e preparata, riflessiva (in una delle prove decisive passa 4 minuti a guardare gli ingredienti, e basta) e istintiva, umana ma spietata quando deve penalizzare i rivali. E sa pure mettersi in scena, con quella faccia da attrice francese e la colonna sonora di Profondo Rosso cantata con il coltello in mano.
Abbiamo sospettato inizialmente fosse un bluff, per il suo essere graziosa e buffa, per quelle mosse e faccette che sembravano tanto una corazza, una maschera utile a creare un personaggio. E invece rischia di essere penalizzante, perché è figlia di una sottovalutazione di sé, un eccessivo understatement che può essere il suo tallone d’Achille.
Di sicuro da lei andresti a cena. Per mangiare ciò che cucina, ma anche per mangiare con lei.
Museo Nazionale del Cinema di Torino 7,5
Ovviamente, dopo anni di onorate (anche se impietose) pagelle e di lavoro come critico cinematografico, sono offesissimo per non essere stati invitato al desco dedicato Al Bar dello Sport, a Cabiria e Profondo Rosso, ma è proprio il caso di dire “ubi major, minor cessat”.
Già, perché i critici cinematografici che affiancano quelli gastronomici dentro la Mole Antonelliana sono il Professor Gianni Canova, il critico, il divulgatore cinematografico per eccellenza degli ultimi decenni, da Duel a Sky, l’unico che è a suo agio parlando di Checco Zalone e Bernardo Bertolucci nella stessa vita; sua Maestà Steve Della Casa, che ha il pregio raro in un esegeta della Settima Arte, una simpatia irresistibile unita a una competenza nello scrivere, dirigere film (Uomini forti uno dei miei preferiti, da vedere l’ultimo La nostra Monument Valley con l’altro maestro Alberto Crespi) e festival unica nel panorama italiano.
E infine victorlaszlo88, alias Mattia Ferrari (no, non è un errore, ormai un’identità digitale come la sua va considerata quella principale), influencer e critico, probabilmente l’unico ad aver unito con equilibrio due anime apparentemente inconciliabili. Si è inventato un linguaggio e una visione, ha conoscenza e dialettica ed è un’ottima forchetta, abbiamo scoperto.
L’esterna al MNC è deliziosa, dalla visita di Locatelli alla struttura fino alla sfida, arrivando al modo in cui comunicano il vincitore. Il Museo ne esce alla grande, in tutta la sua bellezza, accoglienza e capacità di contaminarsi quando in troppi, nel cinema e nella cultura italiana, si chiudono in torri d’avorio. La Mole Antonelliana invece si apre al pop raffinato di Masterchef 13. E fa bene: bravo Domenico De Gaetano, il direttore, che di sicuro avrà incontrato qualche sopracciglio alzato. Ma ci ha abituato a queste intuizioni e non a caso viene da un anno, il 2023 (allora lo hanno girato), che ha collezionato molti dei record della sua gestione.
Niccolò Califano 7
Cresciuto tanto, capace di fare i conti con i suoi limiti, la strana coppia con Michela in esterna funziona anche perché lui capisce che deve star là a far meno danni possibili. E in fondo è il ruolo di ogni uomo in una coppia. Il neolaureato in medicina che sembrava sempre combattuto tra errori evitabili e una bassa autostima e un autolesionismo nell’autorappresentazione, è cresciuto. Sa quando pigiare sull’acceleratore, quando far da spalla, quando prendersi la scena.
È cresciuto come uomo, trovando coscienza di sé e del suo talento. E come cuoco, perché da tempo ti mangeresti tutto ciò che cucina. E pure lui non puoi non amarlo quando sorride o mette il broncetto, magari con quell’ironia stralunata e compassata che puntata dopo puntata è diventata irresistibile.
Michela Morelli 6
Michela è di quelle che nelle comitive d’amici attira strali. Si beve un po’ e si parla male di lei, dei suoi modi, della sua presunzione, della sua capacità di offenderti perché ha la pessima abitudine di capirti al volo e radiografare i tuoi difetti, ignorando i suoi. Però ci sarà sempre la sua migliore amica, che la conosce davvero, che la difenderà. Perché quelle come lei sono stronze – con rispetto parlando, si intende – per difesa, perché nessuno ha regalato loro nulla, perché le devi ascoltare tra le righe, quella mezza volta che si lasciano scappare che “non ho avuto l’adolescenza, sono rimasta incinta presto”, di quella figlia che adora, anche se l’ha detto una volta sola, ma è bastata (come Massari con la figlia). Lo vedi nella stima a denti stretti, per chi lo merita.
Nelle ultime due puntate ha sbagliato poco, se non qualche bandierina per una non solidissima competenza geogastronomica e l’invention test dove cucina un piatto sorprendentemente sciatto, approssimativo (ma lo dice subito di essere a disagio con la cucina israeliana). Però con ingredienti penalizzanti alla Mystery fa un gran piatto, che mangeresti dalla tv.
Vince l’esterna da sola, con tutti gli svantaggi del caso – e la sua esultanza fa invidia a Carlitos Tevez – e alla fine, non guasta, dalla balconata si guarda il pressure test altrui con un vestito semplice e bellissimo. Si è scoperta umana (con quel piattaccio che le fa prendere “solo” 6 da noi e che le fa vivere il dolore dell’eliminazione e poi lo shock della resurrezione), l’abbiamo scoperta umana e ci piace di più così.
Però la vogliamo in finale perché sotto tensione potrebbe tirar fuori una cattiveria entusiasmante.
Davide Scabin 5
Scusi chef, non so quel che faccio. E scrivo. Mangiare al ristorante Carignano è uno di quei regali di compleanno che non ho mai osato suggerire ai miei cari, ma al Museo, con rispetto parlando, non la si sopportava. Vero è che la drammaturgia di Masterchef l’ha voluta come guastatore delle tre squadre, ma è arrivato a penalizzarne alcune con una versione lievemente macchiettistica di se stesso.
Non ci rimangiamo la proposta di averlo come quarto giudice, intendiamoci, ma la tv logora chi non la fa. Faccia attenzione chef, che io mi sento male a mettere delle insufficienze a un genio come lei.
Kassandra Galindo Rodriguez 4
Non ha mai davvero tirato fuori il talento che sosteneva di avere (sebbene il talent la onora di un montaggio dei suoi piatti migliori che ci stupisce: chissà che le sue intemperanze di carattere non ci abbiano nascosto che ha fatto anche cose buone) e per essere una top 6 uscire per uno street food condito da errori abbastanza banali non è il massimo.
Dobbiamo ancora capire se è andata avanti troppo perché il suo essere insopportabile e sempre sull’orlo di una crisi di nervi l’abbia resa televisivamente necessaria, o se invece questo carattere le abbia impedito di andare più avanti.
Vero è che i giudici salvano Niccolò e Michela perché era veramente assurdo che lei rimanesse e loro venissero eliminati (così come lo è il fatto che sia uscita dopo Deborah, così come Alberto, Alice, Filippo e Nicolò.
In ogni caso la sua cucina era come le sue risposte: sempre qualcosa di troppo e sbagliato. Che fosse un ingrediente, una preparazione o una parola detta male.
La pubblicità di Pechino Express 3
Sono un fan del format e di Costantino Della Gherardesca. E pure di Fru, peraltro, per cui provo un’attrazione importante come attore e pure come uomo. Ma ciò non toglie che lo spot che passa durante il talent voglia essere simpatico e brillante, ma è solo terribilmente cringe. E per questo forse svilupperemo una sindrome di Stoccolma nei suoi confronti. No, non credo (ma poi, hai Fabio Caressa, ma mettili su un campo e fai una telecronaca!).
Gli occhiali dei critici cinematografici 2
Simpatici, brillanti, capaci. Ma che Steve Della Casa sia il più furbo dei tre lo capisci dal fatto che rifugge ogni cliché del critico. Non si abbandona a disquisizioni troppo dotte, ha un look sobrio e regala un paio di battute esilaranti.
Gli altri due pure fanno una gran figura, ma cascano sugli occhiali. Quelli di Canova ci sconcertano, essendo il nostro un maestro di stile che ha tenuto in vita l’industria dell’abbigliamento con le vendite dei colli alti scuri. Quella montatura rossa e quella forma non gli donano, sembrano davvero il vezzo di chi ha studiato così tanto l’immagine da osare troppo e male. O di chi li ha rotti un attimo prima e li ha ricomprati allo shop del Museo.
Più sul classico quelli fumée di Ferrari, che però sembrano usciti da una caricatura. Di Alessandro Borghese.
Ma in verità, non avendo portato giacche con le toppe ed essendo troppo pettinati, dovevano lasciare all’immaginario collettivo qualche riferimento rassicurante. Si rischiava, altrimenti, di deludere i pregiudizi del mondo nei confronti della nostra categoria.
I ravioli cinesi ripieni di ossobuco 1
Passino i supplì alla coda alla vaccinara, ma se Bruno Barbieri non ha mentito, questo street food è blasfemo oltre che demenziale. Bruno, confessa, ci prendevi in giro, altrimenti è il caso di attivare il tribunale per i diritti umani. Ovviamente se esistono li mangerò fino a fare indigestione. Ma indignandomi.
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