Gli imperatori dei cuori toccano gli abissi dei nostri sentimenti, ovvio. Specie quando sanno accendere un corto circuito con il proprio vissuto, con i propri segreti, soprattutto quelli più nascosti. Ovvio. Ebbene, quale è il segreto di Now and Then, la “vera ultima canzone” dei Beatles? Sì, è una struggente canzone d’amore, ovvio (And, now and then / If we must start again / Well, we will know for sure / That I will love you, ossia “oggi e allora, se dobbiamo ripartire, beh sappiamo di certo, che io ti amerò”). Dedicata a Yoko Ono, come così tante canzoni di John Lennon, com’è stato sin dagli ultimi anni dei Fab Four fino al sospiro finale di Double Fantasy, pubblicato due settimane prima del suo assassinio?
Ovvio? E se, invece, il destinatario fosse qualcun altro? Se – colpo di scena – Now and Then fosse una lettera d’amore di John Lennon a Paul McCartney?
La straordinaria suggestione l’ha lanciata coma pietra nello stagno la rivista Forbes, ma il quadro indiziario appare tutto sommato solido. Seguite le tracce individuate dall’autorevole testata americana. Che riferisce di quell’ultima visita di Paul McCartney a casa Lennon, nel famigerato Dakota Building di New York (davanti all’ingresso del quale John fu ucciso quattro anni dopo da Mark Chapman e dove, inquietante cabala della storia, Roman Polanski aveva girato il diabolico Rosemary’s Baby): era il 23 aprile 1976, Paul stava per uscire, John gli dette un colpetto sulla spalla, sussurrando “think about me every now and then, old friend”. Pensa a me ogni tanto, every now and then. Now and Then. “Le ultime parole rivolte di persona da John a Paul”, riferisce Forbes.
Scritta da John Lennon nel 1977, affidata – voce e piano – ad un’audiocassetta, è oggi riportata in vita da Paul McCartney e Ringo Starr, che hanno completato la registrazione di oltre quarant’anni fa e le successive aggiunte del 1994 insieme a George Harrison, accantonate in un primo momento a causa della pessima qualità del suono della voce di John sul nastro originario. La canzone è un manifesto di estrema malinconia, di struggente rimpianto. L’idea che tratti di un messaggio di un amico di lunghissima data è nelle cose: I know it’s true / it’s all because of you / and if I make it through / it’s all because of you. Ossia: “è vero, è tutto a causa tua, e se riesco a superare tutto, è grazie a te”. Ma c’è di più: John canta Now and then / I miss you / Oh, now and then / I want you to be there for me. “Adesso e allora, mi manchi. Oh, adesso e allora. Voglio che tu ci sia per me”. Perché dirlo a Yoko, con la quale condivideva tutte le giornate, da mattina a sera? E se invece fosse un messaggio per Paul?
Facciamo un passo indietro. La storia della fine dei Beatles è una delle più raccontate del globo. La versione terra-terra è che fosse tutta colpo di Yoko Ono, la signora Lennon, che si era infiltrata tra i Fab Four, presentandosi finanche in studio di registrazione (fatto senza precedenti nel mondo dei quattro di Liverpool). La verità probabilmente è un’altra. La (traumatica) fine della band più famosa al mondo (“più di Gesù Cristo”, come ebbe a dire John) è forse semplicemente la storia di un processo necessario di emancipazione: amici intimi sin dall’adolescenza, attraversando insieme l’uragano dei sixties avevano condiviso tutto, due personalità straordinarie che si influenzavano l’un l’altro profondamente, si condizionavano, si ammiravano.
E forse, a modo loro, si amavano.
Dopo un decennio vissuto sull’onda più alta della tempesta perfetta di una rivoluzione dei cuori e delle menti, sull’orlo dei trent’anni i due più o meno consapevolmente capiscono che hanno bisogno di intraprendere ciascuno la propria via. La via dell’uno si chiamava Yoko Ono, la via dell’altro si chiamava Linda Eastman, ma dietro ci sono anche precise scelte di libertà (John si trasferirà negli Usa e ingaggerà una sfida eroica con l’Fbi, l’altro si ritira in campagna a leccarsi le ferite) e nettissime scelte creative (il primo sceglie di denudare l’anima, il secondo fonderà un nuovo gruppo alla guida del quale calcare i palchi di tutto il mondo, i Wings). Resta il fatto che la rottura tra loro lascia ferite profonde, rabbia, talvolta rancore: ma anche rimpianto.
Negli anni dei Beatles, oltre alla straordinaria complicità artistica (emblematica tra le tante la collaborazione in A Day in the Life, dove non solo ci sono due canzoni che confluiscono in una, ma ci sono due personalità che confluiscono in un capolavoro), le prove del loro sentimento stanno negli sguardi: sono immortalate nelle immagini, nei filmati, delle esibizioni della beatlemania prima maniera.
E leggendario è il racconto di Paul che narra di quando i due si perdono, nel sessantasette, negli occhi l’uno dell’altro, con lui che chiama l’amico “l’imperatore dell’universo”. E appaiono rivelatorie pure le immagini che ha restituito al mondo Peter Jackson in Get Back, specie nel concerto finale sul tetto di Savile Row: in faccia ad una Yoko Ono un po’ malmostosa, e nonostante le crescente consapevolezza che la loro avventura si stava avviando verso l’epilogo, John alla sua Epiphone e Paul al suo basso Hofner si lanciano languidi sguardi di felicità. Tanti lo hanno scritto: da innamorati.
Infine. C’è tutta una pubblicistica che si diletta ad indagare sulle canzoni che, sotto mentite spoglie, parlerebbero l’uno dell’altro. Prendete Two of Us, di Paul (sempre da Let it Be): stando alla versione ufficiale il pezzo parla di Linda, ma c’è chi giura che il destinatario sia John. You and I have memories / Longer than the road / That stretches out ahead, canta Paul. “Tu ed io condividiamo ricordi, più lunghi della via che si stende dinnanzi a noi”. E subito dopo We’re on our way home, We’re going home, “siamo sulla strada di casa, stiamo tornando a casa”. Sono versi che parlano di un rapporto che affondano le radici lontano ed evocano il desiderio di tornare alle cose com’erano prima. Prima non c’era Linda. C’era John.
C’è poi il caso di Here Today, scritta in memoria di John, dopo l’omicidio. Paul stesso ha più volte affermato che “almeno una volta a tour” quando la canta si commuove, e ricorda lui stesso che la prima volta che la portò in concerto iniziò a ripetere ossessivamente il verso I love you. Appunto. In questo gioco di multiversi temporali (la canzone postuma dove i vivi suonano con i morti a oltre quattro decadi di distanza), Now and Then sembra quasi un’epifania: And, now and then / If we must start again / Well, we will know for sure / That I will love you. Beh, sapremo con certezza che ti amo. A Paul. Firmato John.
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