Sono una ghost band: tutti riconoscono le loro sonorità, ma raramente si mostrano in pubblico. I Mokadelic, per tutti, sono “quelli delle musiche di Gomorra” (la serie), di Romulus di Matteo Rovere e di Django di Francesca Comencini. Sono gli autori della colonna sonora di Come Dio comanda di Gabriele Salvatores, tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, e di A.C.A.B. – All Cops Are Bastards di Stefano Sollima, de L’immortale di Marco D’Amore e Sulla mia pelle di Alessio Cremonini.
I Mokadelic sono un band composta da cinque elementi, tutti romani, di età compresa tra i 40 e 50 anni. Rigorosamente in ordine alfabetico: Alberto Broccatelli alla batteria, Cristian Marras al basso e synth, Maurizio Mazzenga alla chitarra e synth, Alessio Mecozzi alla chitarra e synth e Luca Novelli piano e chitarra.
Alla Festa del Cinema di Roma hanno presentato il cortometraggio che accompagna l’album appena uscito Who to Love, il progetto che li vede coinvolti insieme al fondatore degli Eurythmics Dave Stewart e l’attrice Greta Scarano , che formano il collettivo The Time Experience Project.
Com’è nato questo progetto?
Improvvisamente. Dave ci ha contattati via Instagram scrivendoci un messaggio in cui ci chiedeva di collaborare. All’inizio pensavamo fosse uno scherzo: ci pareva strano che una leggenda della musica stesse scrivendo proprio a noi. Poi abbiamo capito che si trattava veramente di lui.
Vi siete fatti mandare la carta di identità?
Esatto. Gli abbiamo chiesto i documenti con la foto. Poi ci ha mandato un’e-mail con la carta intestata, “Dave Stewart Entertainment”, la firma digitale, i telefoni. E insieme a quella, la proposta di fare un progetto insieme.
Perché ha scelto proprio voi?
Perché è un grande appassionato di Gomorra. Ha visto tutta la serie tv e ci ha detto che la nostra musica gli ricordava quello che faceva anche lui con i sintetizzatori, quel tipo di musica elettronica.
A quel punto avete coinvolto Greta Scarano.
Inizialmente con Dave ci siamo scambiati solo la musica, una pre-produzione dei brani. A un certo punto lui, che è un vulcano di idee, ha allargato il progetto. Non voleva più fare solo un album, ma realizzare anche qualcosa di cinematografico. Ci ha chiesto se conoscessimo un attore o un’attrice in grado di improvvisare di fronte alla telecamera, a partire da un canovaccio. Gli abbiamo proposto due o tre nomi tra cui quello di Greta, convinti che lei fosse l’artista più giusta.
Da attrice a cantante, come è avvenuto il passaggio?
Nel corso di tutte le conversazioni fatte negli ultimi mesi, a un certo punto Dave ha scoperto che Greta sapeva anche cantare. È successo proprio durante una call telefonica: Dave ha chiesto a Greta di cantargli qualcosa e gli è piaciuta molto.
Il fondatore degli Eurythmics vi ha definito i nuovi Pink Floyd. Vi ci ritrovate in questa definizione?
Beh, forse è un tantino troppo. Ma senza dubbio il nostro background è quello. Dave è un grande osservatore ed è riuscito a tirare fuori una parte di noi molto forte e funzionale al progetto. Ha colto in pieno la nostra anima.
Nel disco, in effetti, c’è tanto di voi. E poco di Dave Stewart.
Dave è una persona estremamente generosa. Ci ha lasciato carta bianca. Ha rispettato al cento per cento la nostra creatività, come solo i grandi fanno. È vero che la parte musicale ci appartiene quasi completamente, tranne qualche piccola cosa. Dave si è inserito con la sua voce e la sua melodia: il suo colpo di genio è stato accettare le nostre proposte musicali senza giudicarle, ma costruendoci sopra con la sua voce. Non ci ha mai detto: “Cambiamo questo” o “Questa roba non mi piace”.
Come è riuscito a inserirsi nel vostro mondo?
Faccio un esempio. L’ultimo brano del disco Surrender è un pezzo che gli abbiamo mandato pensando che fosse impossibile un ulteriore intervento, addirittura cantarci sopra. Invece lui lo ha fatto. Perfettamente. Là ti rendi conto della grandezza dell’artista. Ti fa sentire in connessione con lui.
Electrified invece è l’unica traccia con un sound che si avvicina a quello degli Eurythmics.
Quel brano ha una storia strana. Ci siamo incontrati allo studio di registrazione Forum, qui a Roma, per la prima volta dopo tante chiacchierate a distanza. Dave aveva una chitarra in mano e ha iniziato a suonare qualcosa, ed è nata Electrified. Come si usava una volta, quando ci si chiudeva con la band in uno studio e le canzoni venivano fuori così.
Il vostro approccio con lui è stato reverenziale?
No. Per lui è stato come rigenerarsi, scoprire nuove cose. Ha un forte bisogno di creatività. Vuole conoscere, fare. Quando fai qualcosa insieme a lui, ti fa sentire al suo livello. È come se fosse entrato a far parte della nostra band, senza mai prevaricarci. Con Greta è stato ancora più forte: a livello psicologico il paragone inevitabile con Annie Lennox non è proprio una passeggiata di salute. Invece Greta ha preso i testi, ha cantato, ha inviato tutto a Dave. Ed è stato perfetto così.
Siete stati voi a convincerlo a cantare anche in italiano?
No, è stata una sua idea. Si è tatuato la frase in italiano, “Il tempo è un capolavoro”, sul sopracciglio destro.
Questo disco vi ha fatto cambiare idea sull’approccio strumentale alla musica?
Lavorando principalmente per le colonne sonore di cinema e tv, la scelta strumentale è naturale. In passato abbiamo fatto altre collaborazioni, esperimenti, per esempio con Niccolò Fabi. Siamo aperti, come sempre. Questa collaborazione non è stata uno spartiacque. Di certo fare un intero album utilizzando anche la parte vocale ci ha fatto considerare la nostra musica sotto un’altra luce.
Lo ritenete un progetto più romano o inglese?
È molto romano. I momenti di convivialità a Roma sono stati tanti. Con Dave, con il suo entourage e il suo tecnico del suono abbiamo passato serate molto divertenti. Sono affascinati dalla romanità. Dave è un intrattenitore, parla molto, è una miniera di aneddoti. Per esempio ci ha raccontato di quella volta in cui aprì il concerto del Giubileo 2000: era molto divertito dal fatto di aver suonato prima del Papa.
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