Un sit-in davanti alla sede Rai di viale Mazzini, anzi due. All’ombra del cavallo scolpito da Francesco Messina, e da molti definito “morente”, parte delle opposizioni si sono riunite il 7 febbraio per protestare contro “TeleMeloni”, cioè contro l’ingerenza del governo di ultra destra sul giornalismo del servizio pubblico.
Gran parte delle opposizioni, non tutte (Giuseppe Conte grande assente). Presente la segretaria del Partito democratico Elly Schlein, nonché organizzatrice, ma anche Maria Elena Boschi, di Italia viva, Riccardo Magi, segretario di +Europa, e poi ancora membri della società civile, dall’associazione NoBavaglio, Articolo 21 e il giornalista di Report Sigfrido Ranucci, la cui trasmissione (in onda su Rai 3) è stata negli ultimi tempi oggetto di attacchi da parte della maggioranza al governo.
La piazzetta su viale Mazzini era stracolma di persone, di giornalisti. Alcuni in protesta, gli altri dietro le telecamere e i microfoni. E la politica stava parlando a loro, e di loro. Non sono mancati i contestatori, con tanto di megafono: l’atmosfera si è scaldata in fretta, ma lo scontro sul tema dell’informazione, ora palese e di primo piano, rappresenta il ritorno, e l’emergenza, dello scontro culturale e morale della tribuna politica.
Un sit-in contro TeleMeloni
Un tema da “prima pagina” anche alla luce delle manovre dell’Unione Europea, con il nuovo regolamento Media Freedom Act in arrivo. E poi per l’allerta del sindacato europeo dei giornalisti, che sottolinea lo stato precario della libertà di stampa in Italia.
“Siamo qui per l’indipendenza del servizio pubblico, al diritto di italiani e italiane di accesso a una corretta informazione, e di un principio costituzionale fondamentale, ovvero la libertà di stampa”, ha affermato la segretaria del Pd Elly Schlein. “Abbiamo lanciato questo presidio perché pensiamo che la misura sia colma, hanno esagerato, superato ogni soglia, con gli attacchi del governo al giornalismo di inchiesta”.
Sono volati tanti esempi: gli attacchi a Roberto Saviano, a Repubblica, Domani, ma anche i titoli stessi del Tg1, nonché il controverso servizio sulle manifestazioni di gioventù nazionale (sezione giovanile di Fratelli d’Italia) elevate ad “evento patriottico culturale”. Ma anche la Legge Bavaglio sulle intercettazioni, che da molti è stata definita lesiva della libertà di stampa. Sono tanti piccoli pezzi di un puzzle che preoccupano la leader del Nazareno.
“Basta con questa TeleMeloni, ne va dell’integrità dei giornalisti e di chi in Rai lavora – aggiunge la segretaria dem – Non meritano di vedere la loro professionalità messa al servizio di una macchina di propaganda del governo”.
Una questione di democrazia
La posta in gioco? “La qualità della nostra democrazia”. Schlein continua: “Promuoviamo una riforma che renda indipendente la Rai dall’influenza dei partiti e della politica. Non ogni male nasce con questo governo. Ma appena arrivato, questo ha dimostrato atteggiamento proprietario con occupazione militare”.
“Bisogna cambiare lo sguardo, rifare le nomine che riguardano l’amministrazione del servizio pubblico, tenendo conto che l’unico editore possibile è il pubblico che paga il canone,” interviene Sigfrido Ranucci. “Ho la fortuna di avere alle spalle la Rai e un grande ufficio legale, ma penso a tutti i colleghi che lavorano nelle piccole realtà, nei piccoli giornali, e che hanno pressioni del politico o dell’imprenditore magari colluso con la criminalità”.
Riguardo gli attacchi subiti da Report, Ranucci aggiunge: “Cerco di difendermi dal centro-destra in commissione di vigilanza Rai, e il sindacato deve fare questo: difendere il lavoro dei giornalisti, a prescindere dal colore di appartenenza”.
Duplice sit-in
Sul colore politico, la piazzetta davanti alla Rai ha ospitato, prima dell’arrivo dei leader di opposizione, anche il sit-in del sindacato Unirai, spesso descritto come “destrorso”, e che ha rivendicato il pluralismo nel servizio pubblico, anche a livello sindacale, affermando – con tanto di Inno di Mameli a chiudere la manifestazione – che è “finito il sindacato unico, espressione del pensiero unico”.
“La nostra manifestazione nasce per difendere la categoria dei giornalisti,” spiega a The Hollywood Reporter Roma Francesco Palese, segretario di Unirai. “La loro autonomia è sotto attacco da parte di chi per fare la sua campagna elettorale mette di mezzo anche il nostro lavoro”.
Una rivendicazione che sembra andare a braccetto – ma anche in cortocircuito – con il sit-in del Partito democratico: così vicini ma così lontani. “Non è una manifestazione contro nessuno, ma la difesa della nostra dignità e autonomia professionale”, afferma Palese. “Noi abbiamo quasi cinquecento iscritti, e non so per chi votano”, aggiunge riguardo all’inclinazione politica del sindacato, nato a novembre 2023 in contrapposizione all’altra organizzazione sindacale Usigrai, spesso collocata a sinistra.
In una nota stampa, anche Usigrai e Fnsi fanno sapere la loro posizione sul tema TeleMeloni: “È il momento che la politica si assuma le proprie responsabilità e risolva in Parlamento la questione della legge di nomina dei vertici Rai, rendendo il servizio pubblico veramente libero e indipendente”.
Terreno comune. E di scontro
Tra il sit-in Unirai e quello del Pd, sotto sotto, un terreno comune c’è. Ma anche un cortocircuito. “La Rai è TeleMeloni così come è stata TeleRenzi e TeleDraghi. La Rai è vicina al governo per definizione, la legge sulla governance è chiara”, conclude il segretario Palese.
“Questa è una protesta del Pd contro una destra che dentro la Rai fa le stesse robe del Pd. Non c’è pensiero critico dentro la Rai, non c’è pluralismo. Tutti quelli che manifestano, destra e sinistra, sono qui a manifestare solo per le poltrone, al popolo italiano interessa l’informazione, il pluralismo, e oggi il pluralismo non esiste nella Rai”, attacca invece il segretario del partito comunista e coordinatore di Democrazia sovrana e popolare Marco Rizzo.
“La libertà d’informazione e la libertà dei giornalisti di lavorare e di fare informazione è strettamente collegata al diritto dei cittadini di essere informati”, dice il segretario di +Europa Riccardo Magi a THR Roma. “La questione è delicatissima, perché poi bisogna fare una valutazione del prodotto finale, parliamo del servizio pubblico, dal quale mi aspetto che i cittadini possano ricevere un’informazione completa sulle opzioni politiche che hanno davanti”.
“Non è solo un fatto di cancellazione di alcune forze politiche”, aggiunge Magi, riferendosi al fatto che il suo partito – nel prime time di un’intera stagione televisiva – ha avuto zero presenze e inviti. “Ciò non è normale, ma non solo per nostro interesse, non è normale per la democrazia”.
Attacchi all’informazione e alla cultura
Dal suo insediamento, il governo di ultra destra presieduto da Giorgia Meloni ha dimostrato un certo interesse per i luoghi dell’informazione e della cultura. La scorsa estate è esploso il caso della lottizzazione del Centro Sperimentale di Cinematografia, e poi più recentemente il tentativo di presa dei premi al cinema David di Donatello e il Teatro di Roma.
Una spartizione politica che – su ammissione anche dei leader di opposizione – c’è sempre stata, anche se in diverse forme. Ora la percezione della situazione è decisamente diversa.
“Il governo Meloni sta utilizzando il proprio potere politico in maniera autoritaria. E lo può fare perché negli anni passati queste cose sono già avvenute, seppur in modo più lieve, più soft, e più attento al pluralismo”, continua Magi. “Questo ha fatto sì che si indebolissero le resistenze e la sensibilità democratica dei cittadini, dei giornalisti e nei sindacati”.
“Nella storia avviene sempre così – conclude il segretario di +Europa – Magari per anni o per decenni gradualmente si erodono queste resistenze, questi argini, e poi arriva qualcuno che ha campo libero per dilagare”.
Rampante o morente?
Il sit-in di Unirai, poco prima del presidio dem, in qualche modo ha sottolineato un certo velo di critica nei confronti delle opposizioni, accusando – sostanzialmente – di pluralismo “a giorni alterni”. “Non hanno bisogno di dirlo a me, lo dico io in premessa”, risponde Schlein. “Le forze politiche che sono state al governo in questi anni hanno perso l’occasione di fare una riforma che rendesse indipendente il servizio pubblico”.
Il cavallo di fronte alla Rai era stato definito “morente” durante gli anni Settanta anche per descrivere un momento di forte crisi del servizio pubblico. La statua, forse, vuole rappresentare un cavallo rampante, che si sta riprendendo dalle ferite, come da intenzioni dell’artista Messina. Morente o rampante che sia, il servizio pubblico è al centro della battaglia. Ora, si può dire, è un cavallo di Schrödinger.
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