Piacerà. In prima serata, piacerà. Perché La Storia di Elsa Morante – romanzo prima, film di Luigi Comencini poi, adesso serie di Francesca Archibugi in otto episodi in arrivo nella prima metà del 2024 – è un gioiello di narrativa, emozioni, memorie, eventi che è difficile da disinnescare.
Pensato fin dalla pagina scritta per il pubblico più largo possibile (Morante volle pubblicarlo in edizione tascabile, la più economica), arriverà in quattro serate sui canali Rai, prodotta da Picomedia con Rai Fiction e Thalie Images, con la confezione del grande evento, la regia cinematografica di Archibugi e un cast di grandi nomi (Jasmine Trinca, protagonista assoluta dei primi due episodi con Valerio Mastandrea, poi Elio Germano, Asia Argento e Lorenzo Zurzolo) e scommesse indovinate (l’esordiente Francesco Zenga, una sorpresa).
L’andamento è lento, perché il racconto di Morante ha un gran respiro – si va dal 1940 al 1948 – e perché Archibugi, alla narrazione what a fuck da piattaforma, preferisce l’approccio classico, un po’ agè e a suo modo rassicurante, da grande fiction del primo canale.
Il solido copione – la sceneggiatura è di Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo – accompagna per mano lo spettatore nella Roma seppiata di fine anni Trenta, con la vedova Ida (Trinca), nata da madre ebrea, che cresce il figlio Nino (Zenga) nonostante le difficoltà economiche e la paura che monta nel ghetto. Nino è un adolescente, si sente l’uomo di casa ma soprattutto si pensa “moschettiere di Mussolini”: crede nel fascismo, bullizza il professore ebreo, lascia la scuola, vuole andare in guerra. Ida rimarrà sola a Roma con il piccolo Useppe, figlio di una violenza subita da un ufficiale tedesco, diventato la quota “ariana” della famiglia che le eviterà – spera la donna – la deportazione.
Le prime due puntate, mostrate in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, sono il biglietto da visita di un compito ben fatto, didascalico quanto basta per riunire davanti alla tv almeno un pezzo di Famiglia Italiana: c’è l’Italia della solidarietà, quella di borgata e quella antifascista, c’è la scuola come istituzione rispettata (Ida è una maestra, che ricorda a Nino di essere “figlio di maestri”), c’è la povertà del popolo e la generosità della gente di buon cuore (Sor Remo, il personaggio di Mastandrea). C’è il fascismo e c’è la guerra, ci saranno i partigiani e la Resistenza: un piccolo bignami che sarebbe utilissimo per le generazioni più giovani, ammesso che nelle prossime puntate il ritmo cresca abbastanza da strapparli ai reel sul cellulare.
Del resto è proprio nel racconto dell’adolescenza inquieta di quegli anni che emerge la cifra migliore di Archibugi, di fronte all’impazzimento adolescenziale per il fascismo, al branco di ragazzi ubriacati dal superomismo, alla tossicità del maschio che trova conferma nella presunta virilità mussoliniana: le scene più vive – e più appetibili per i nipoti davanti alla tv – sono gli scambi tra Ida e il figlio Nino, dove l’incomprensione fra generazioni esplode in tutta la sua generale universalità. Centrale in questo senso il personaggio di Ida, interpretato da una dolente (a volte anche troppo) Jasmine Trinca, che porta egregiamente il peso della serie sulle sue spalle.
Il racconto procede orizzontale, senza incalzare il pubblico, dritto fino alla scena – anche questa, nei limiti del contesto, family friendly – del bombardamento di San Lorenzo con cui si chiude la seconda puntata. Piacerà.
La recensione è stata scritta dopo la visione delle prime due puntate della serie fornite alla stampa.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma