Genova, quartiere Oregina, 10 dicembre 1847. Più di 30 mila persone marciano, camuffate da processione religiosa, verso il santuario del Loreto, intonando per la prima volta le quattro strofe del Canto degli italiani di Goffredo Mameli. L’unità d’Italia è distante ancora 14 anni, ma esiste già un moto rivoluzionario che agisce in segreto per realizzarla. Tra loro, anche il giovanissimo autore di quello che oggi è l’inno nazionale, insieme ai suoi compagni patrioti della società segreta Entelema.
“Fu quello che oggi definiremmo un flashmob”, afferma Luca Lucini descrivendo una scena chiave di Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia, miniserie di Rai Fiction che dirige insieme ad Ago Panini. “Una bellissima canzone diventata virale” e in breve tempo conosciuta da tutti. “L’impatto che ha avuto Mameli insieme ai suoi compagni è equivalente a quello di una rockstar o un rapper in grado di trascinare le folle. L’abbiamo voluto raccontare così, perché per capire è necessario parlare al tempo in cui viviamo”.
“Ci piace pensare che i patrioti, quei ragazzi, siano coloro che hanno voglia di costruire, non di difendere o spaccare. Crediamo che Mameli abbia la potenza e l’onestà per farlo proprio perché la storia che abbiamo raccontato è una storia di unione. Questo è quello che ci interessa. Ci dispiacerebbe molto se fosse strumentalizzata dalla politica”, aggiunge Ago Panini.
Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia, in onda il 12 e il 13 febbraio, arriva in televisione in un momento delicato e teso nelle istituzioni culturali italiane, dalla cosiddetta Telemeloni ai tentativi di controllo capillare del partito al governo nell’Accademia dei David e nella Fondazione Teatro di Roma. Arriva però (nel 175° anniversario della Repubblica romana) per ribadire l’esistenza di episodi e personaggi nella storia italiana “troppo complessi per essere chiusi in una scatola, per essere rivendicati dalla destra o dalla sinistra”.
Garibaldi, Mazzini, l’inno nazionale stesso: “L’inno è di tutti. Semplice, musicalmente banale, lo si è scelto per tutto ciò che ha rappresentato. Per quell’onda di incredibili ragazzi, una meglio gioventù stupenda, che ha versato il sangue per l’ideale di un’Italia che ancora non esisteva”, prosegue Panini.
Tra Salgari, Corto Maltese e Risorgimento
Sono due anni cruciali della storia italiana, tra il 1847 e il 1849, quelli raccontati dalla miniserie. Anzi un film, come vi si riferiscono i registi, anche per la continuità estetica con cui è stato pensato e girato. Erano gli anni delle rivolte europee, della primavera dei popoli e dei primi Stati liberali, dello statuto albertino nel regno sabaudo e dell’utopica repubblica mazziniana a Roma.
L’obiettivo, afferma Lucini, era quello di dare forma a un progetto di lunga data del produttore Agostino Saccà “trascinando un periodo importantissimo della storia via dai monumenti, dalle piazze, dai nomi delle vie e dalle sottolineature dei libri, rendendolo vivo e vero. E con quell’energia che probabilmente è stata reale, cioè di questo gruppo di giovanissimi che ha deciso di provare a cambiare il mondo e in qualche modo ci è riuscito. Qualcosa che solo a quell’età si riesce a fare veramente”.
“Ci piaceva l’idea di raccontarlo svecchiandolo”, aggiunge Panini. “Studiando ci siamo accorti che questa storia era un clamoroso romanzo di Salgari. Quei ragazzi erano dei pazzi senza paura, un gruppo di volontari, ventenni, che sfidava l’esercito più potente del tempo, quello di Napoleone III”.
Dalle ricerche anche estetiche portate avanti, afferma Panini, “non si capisce perché l’Ottocento e il Risorgimento siano diventati così marroni, noiosi, nell’immaginario collettivo. Si pensi ai quadri di Gerolamo Induno, che abbiamo osservato per prepararci: sono pieni di colore. E i ragazzi a quel tempo erano ribelli, portavano i capelli lunghi, si facevano crescere barba e basettoni e non solo i portuali indossavano orecchini. Ci siamo divertiti persino a rendere Nino Bixio (Amedeo Gullà) un po’ un Corto Maltese. Perché il Bixio dei libri di storia arriverà dopo. Noi lo raccontiamo fino alla perdita dell’innocenza. Non abbiamo inventato molto, abbiamo però scelto di guardare con gli occhi di oggi e con la voglia di raccontare le avventure incredibili del Risorgimento”.
Mameli, Bixio e gli altri
“I ragazzi che raccontiamo non sono fatti e finiti” prosegue Panini. “Noi li vediamo nel momento in cui nell’incontrarsi, nel farsi gruppo, si preparano a diventare le persone che saranno. Di Goffredo Mameli non lo sappiamo in realtà, perché muore troppo presto. Avrebbe continuato a fare il poeta? Probabilmente no. Senza paura di essere smentiti, non era Leopardi né Carducci. Ebbe il merito però di riuscire a intercettare il bisogno di determinate parole. Le dice con tutta la retorica dell’Ottocento romantico ma le dice anche come Ghali quando canta Cara Italia, cioè con la semplicità che fa scattare qualcosa nelle coscienze”.
In quanti, finita la scuola, conoscono la storia di Goffredo Mameli? Le idee che ebbe in vita o le ragioni della sua morte, avvenuta a soli 21 anni? Non esistono nemmeno ritratti in grado di restituirne l’aspetto in modo univoco. “È una cosa che ha giocato a nostro favore. Abbiamo avuto la fortuna di rappresentarlo bello come Riccardo De Rinaldis”, scherza Panini. Ma l’intento è proprio quello di rendere il cast attraente agli occhi del pubblico più giovane, portandolo a scoprire la storia raccontata attraverso i volti nuovi del cast (da Gianluca Zaccaria e Giovanni Crozza Signoris a Riccardo Maria Manera e Domenico Pinelli) accanto ai ben più noti Neri Marcorè, Luca Ward, Lucia Mascino, Sebastiano Somma, Maurizio Lastrico e Ricky Memphis.
E non solo. In Mameli hanno un ruolo essenziale anche i costumi, le scenografie, i colori. “È stata una nostra esigenza di partenza, quella di curare ogni aspetto”, afferma Luca Lucini. “Abbiamo coinvolto Roberto Chiocchi, costumista eccezionale con cui lavoriamo spesso, e lo scenografo Silvio Di Monaco con l’obiettivo di fare qualcosa di molto diverso da tutto ciò che si è visto fino a oggi del Risorgimento”.
“Abbiamo lavorato su una palette di colori molto spinta”, aggiunge Panini. “Molto accesa proprio per ricreare le pennellate dell’epoca, scegliendo di passare dai toni più freddi della prima parte, genovese, a quelli più caldi della parte finale a Roma, per raccontare come il sangue, l’energia e l’amore si mischino. Abbiamo lavorato anche molto sui colori della nostra bandiera, rosso e verde soprattutto”.
“Per assumere il punto di vista di questi ragazzi”, prosegue Lucini, “abbiamo scelto di girare sempre vicino a loro, vicino alla loro emotività. Ago (Panini, ndr) ha trascorso tre mesi con la macchina da presa sulle spalle proprio per essere dentro l’azione. Cosa che, nello sguardo globale, ha fatto una grande differenza, ha dato una diversa energia”. Derivata anche dalla lunga esperienza di regia di video musicali, che ha contribuito a dare “un ritmo nuovo”.
“Abbiamo lasciato a casa tutti gli aggettivi e i sostantivi che si usano nel linguaggio cinematografico per i film d’epoca”, prosegue Panini. “Per fare un po’ come ha fatto Romain Gavras in Athena, per stare dentro gli eventi insieme ai ragazzi. Concettualmente abbiamo preso spunto anche da Peaky Blinders, dove niente è coerente ma tutto è perfetto. Quell’estetica lì è assolutamente credibile, aiuta a trasmettere una storia. Noi abbiamo cercato di crearne una con la stessa funzione, per dare corpo e anima a vicende che, al contrario, sono al 99% vere”.
Un inno nato da sangue, amore e fratellanza
Una storia vera sì, che però spesso non viene raccontata così sui libri, a partire già dal ruolo che ebbero le donne. “Un nostro obiettivo è stato anche raccontare le donne importanti nella vita di Goffredo Mameli, dalla madre (Isabella Briganti) che l’ha educato secondo gli ideali mazziniani a Geronima Ferretti (Barbara Venturato) e Adele Baroffio (Chiara Celotto), i due grandi amori che lo spingono in avanti, a pensare oltre, anche nei suoi ideali rivoluzionari. Fino al suffragio universale”.
Al servizio del racconto di Luca Lucini e Ago Panini c’è la volontà di uscire fuori dalla retorica, fuori dalla rappresentazione “superomistica” del patriota Mameli, che “è tutto tranne che un superuomo”, afferma Panini.
“Ci piacerebbe che Mameli aiutasse i più giovani a capire cosa c’è nel cuore del nostro paese, parole come unione e amore, nel testo stesso del nostro inno, nelle strofe che non cantiamo di solito. Sembrano parole di un fricchettone in un inno nazionale. Eppure ci sono. Sono alla base del pensiero di Mameli e dei suoi compagni patrioti e alla base di questo paese, lontano dall’idea di un ‘noi contro loro’. Vorremmo fosse questo il messaggio da trasmettere, questi valori non etichettabili, insieme all’istintività con cui l’inno nazionale stesso nasce”. “Vorremmo che dopo Mameli, ascoltare l’inno non sia più la stessa cosa”, conclude Lucini, “E che il film possa servire a riscoprire le emozioni da cui nasce”.
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