Suburræterna, la recensione: l’immobilismo di Roma e di una serie troppo simile a se stessa

Al centro del racconto c'è sempre il potere. Desiderato, conquistato, perso. Ma manca il carisma di un personaggio come Aureliano così come mancano picchi narrativi originali tali da appassionare fino in fondo. Su Netflix

“Questa città non cambia mai”. La città in questione è Roma che torna a fare da sfondo alle storie di potere ed equilibri stravolti di Suburræterna, sequel targato Netflix della serie liberamente ispirata all’opera letteraria di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini – che curano anche lo story editing – e al film del 2015 diretto da Stefano Sollima. Ma a non cambiare mai è anche un’altra cosa. Il bisogno di prendere un titolo di successo e spremerlo fino all’osso. Se già la terza stagione di Suburra aveva mostrato delle crepe narrative e registiche, con Suburræterna il quadro generale non cambia. E dimostra che non sempre è un bene riprendere in mano storie e personaggi popolari.

Dopo la morte di Aureliano (Alessandro Borghi) e aver perso la bambina che aspettava con Angelica (Carlotta Antonelli), Spadino (Giacomo Ferrara) lascia la città. Lo ritroviamo a Berlino. Una nuova vita, un nuovo look, un nuovo amore. Ma una telefonata nel cuore della notte squarcia l’idillio. Bisogna tornare indietro, in quella casa che si era lasciato alle spalle, per evitare che la sua famiglia venga messa in pericolo dalla scesa in campo di nuovi personaggi che, neanche a dirlo, mirano a sedersi sul trono di Roma. Come Cinaglia (Filippo Nigro) che, dietro una facciata rispettabile, continua a muoversi nel mondo di mezzo per gestire gli affari criminali della città. Il tutto mentre il governo rischia di cadere, il Vaticano è in crisi e le piazze della città sono date alle fiamme.

Suburræterna, tra potere e cambiamenti necessari

Scritta da Ezio Abbate e Fabrizio Bettelli nel ruolo di head writers insieme ad Andrea Nobile, Camilla Buizza, Marco Sani, Giulia Forgione, Suburræterna è prodotta da Cattleya e vede dietro la macchina da presa Ciro D’Emilio ed Alessandro Tonda. Otto episodi – di cui THR Roma ha visto i primi sei dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma e al Lucca Comics – in cui ci si ritrova in un mondo familiare. Nel bene e nel male. Perché al centro del racconto c’è sempre il potere. Desiderato, conquistato, perso. Una guerra continua che dalle stanze del Vaticano s’irradia fino alle periferie e si traduce in solitudine e isolamento.

L’aspetto più interessate di questa nuova produzione è lo sguardo al passato, grazie a una serie di flashback, che fanno luce sull’infanzia di Spadino e dei nuovi personaggi. Un evento violento che ha deviato prepotentemente il percorso delle loro vite fino agli eventi raccontati in Suburræterna. Perché per il resto il sequel Netflix presenta elementi già ampiamente approfonditi nei capitoli precedenti. Manca il carisma di un personaggio come Aureliano così come mancano picchi narrativi originali tali da appassionare fino in fondo.

Si parla tanto dell’immobilismo di Roma. Anche nella serie stessa in cui si dibatte sulla costruzione di un nuovo stadio per la città quando tutto intorno sembra sul punto di crollare. Ma quella stessa situazione di stallo non cambierà mai se non siamo noi a cambiare. Spadino ci ha provato. Per ritrovarsi di nuovo nelle sabbie mobili di una Roma sì eterna ma anche immutabile. Quello stesso sforzo dovrebbero farlo anche cinema e serie tv. Provare a cambiare, sperimentare, osare. Anche rischiando di fallire. Mentre sono già stati annunciati i prequel delle serie di Romanzo criminale e Gomorra