Spietata, ai limiti della disumanità, ma anche inaspettatamente fragile: la Griselda Blanco di Sofia Vergara è una protagonista complessa, sia da interpretare sia con cui empatizzare. La sua crudeltà non la rende mai un elemento del tutto accessibile al pubblico, ma è anche l’unico mezzo attraverso cui il personaggio riesce a crescere, episodio dopo episodio, fino a conquistare tutto lo spazio necessario in una storia, vera, che ha anche dell’incredibile. Quella di una donna sola, al comando di uno dei più violenti cartelli della droga sudamericana.
Griselda è la Madrina della cocaina di Miami, nonché l’unica persona di cui Pablo Escobar abbia mai avuto paura. Citazione da cui, furbamente, la miniserie Netflix in sei puntate dirette da Andrés Baiz, decide proprio di partire.
Griselda Blanco, la storia vera
La parabola di Griselda, tra successo e rovinosa caduta resta fedele ai fatti realmente accaduti, o almeno a quelli di cui si è potuta tenere traccia negli anni, dalla fuga da Medellín in Florida ai primi omicidi, fino al completo controllo della città di Miami e all’arresto avvenuto nel 1985 in California.
A restare più oscura, ma invece fondamentale per capire il personaggio, è la sua giovinezza, quella in cui Blanco ha subito abusi e violenze, si è allontanata dalla famiglia d’origine e probabilmente, per un breve periodo, è stata costretta a prostituirsi.
La serie Netflix dà già tutto questo per scontato, senza provare a raccontarlo né a esplorarlo psicologicamente. È il trauma che Griselda Blanco porta con sé e che contribuisce a dare forma e senso una narrazione che, improvvisamente, esplode in tutta la sua violenza.
Sangue e morte, in crescendo
Più Griselda diventa potente più nel racconto risalgono in superficie le sue questioni irrisolte: la paranoia, l’insicurezza, l’ossessione, la mancanza di fiducia.
Sofia Vergara, trasformata anche fisicamente per questo primo ruolo drammatico che sta bene sulle sue corde (“È una storia che era già dentro di me, faceva parte della Colombia che ho vissuto”, afferma l’attrice), si mette alla prova con un personaggio che passa dalla mentalità razionale, metodica e calcolatrice degli episodi iniziali a quella caotica, imprevedibile, sanguinaria e cinica dei due conclusivi.
C’è un momento che segna il prima e il dopo di Griselda e ha a che fare con la morte di un bambino. Il sangue innocente di una vittima collaterale chiama il pubblico e i personaggi a una scelta morale e così anche la serie, da quel momento prende una piega diversa, mostrando la spirale autodistruttiva di Griselda.
Griselda, la “mala madre”
La Griselda Blanco di Vergara infatti, almeno nella finzione fa del suo essere madre e “madrina” anche il fulcro della sua identità come capo del cartello. Offre “uno scopo, rispetto e soprattutto cura” agli uomini e alle donne che lavorano per lei. Nel momento in cui si rende responsabile dell’omicidio di un bambino incarna la “mala” (cattiva) madre che fin dall’inizio rifiuta di essere. E da lì inizia la discesa nei suoi stessi inferi.
C’è un gesto che Griselda ripete spesso, fumando la sua sigaretta come se insieme al fumo lasciasse andare anche tutto il peso di una vita intera di lotta.
Traccia spesso i contorni delle cose che ha: i piani della villa, che aumentano insieme alla sua ricchezza, o il profilo dei suoi figli da lontano. È consapevole in ogni momento di tutto ciò che mette in gioco nel tipo di vita che fa e della determinazione feroce con cui lo fa. Perché tutto è anche in funzione dei suoi figli, che sono la sua forza e la sua debolezza.
La maternità è la chiave attraverso cui il regista Baiz e Sofia Vergara scelgono quindi di entrare dentro un vissuto altrimenti inavvicinabile. E la preferiscono anche a un’alternativa molto più semplice, lasciata però ben chiara sullo sfondo.
Griselda contro tutti
La stessa storia si sarebbe potuta raccontare infatti attraverso lo scontro fra Griselda Blanco e l’agente June Hawkins (Juliana Aidén Martinez). Due donne che a modo loro trionfano in un mondo di uomini, una dalla parte del male e l’altra del bene. Una è il crimine e l’altra la legge. In parte lo racconta, la serie Netflix, ma mette anche in chiaro che nell’intera vicenda è solo June contro Griselda, mentre Griselda è contro tutti.
E la lotta principale non è quella al sanguinario cartello di Medellín, ma al “mostro” che Griselda ha scoperto dentro se stessa.
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