“Parli, parli, parli, parli e prometti la luna”, sbraita un collega di Peggy (Patricia Arquette), confessando ciò che pensa di lei nel finale di stagione di High Desert di Apple TV+. “E poi non realizzi mai niente”, afferma stufo. E non ha tutti i torti: la donna sputa esagerazioni e bugie a iosa, e lo fa con la stessa facilità con cui tutti noi respiriamo aria.
Ma a quel punto, la sua capacità di parlare a vanvera diventa quasi affascinante. Perché se il modus operandi di Peggy è quello di promettere troppo e mantenere poco, la serie fa esattamente l’opposto. La storia di una sconosciuta nel bel mezzo del nulla si trasforma gradualmente (nel corso di otto episodi di mezz’ora) in un mistero bizzarro e avvincente, nella tradizione neo-noir di pellicole come Il grande Lebowski o Vizio di forma.
L’antefatto di High Desert
I creatori Nancy Fichman, Katie Ford e Jennifer Hoppe aprono la serie con quello che scopriremo essere un raro momento di gloria per la loro protagonista. È il 2013, giorno del Ringraziamento a Palm Springs. Peggy è perfettamente in grado di accogliere gli ospiti, controllare il tacchino e godersi i complimenti. Ma i bei tempi vanno in malora quando degli agenti della DEA armati circondano la casa. In quel momento, Peggy e la sua famiglia si affannano per gettare e nascondere le pile di droga e denaro nascoste in casa.
Dieci anni dopo, Peggy non si è ancora ripresa. È una tossicodipendente in via di guarigione che riesce a malapena a sbarcare il lunario, facendo la finta barista in un’attrazione turistica. E ora che sua madre (Bernadette Peters) è morta, i fratelli di Peggy (Keir O’Donnell e Christine Taylor) si stanno preparando a vendere la casa in cui lei e Peggy vivevano, lasciandola senza un tetto sopra la testa.
L’energia di Arquette manda avanti la serie
High Desert ha una forte personalità. E quello di Arquette è un ruolo che difficilmente potrebbe essere più lontano dall’algida e autocontrollata Harmony di Severance. Peggy è una pasticciona che non può fare a meno di spargere la sua personalità dappertutto. Anche quando non sappiamo cosa farcene di lei, l’energia di Arquette è troppo vivace e specifica per essere ignorata. E il difetto iniziale della serie è un’opacità emotiva che rende difficile capire cosa possiamo sperare per lei, quanto dobbiamo fidarci di lei o, francamente, perché dovrebbe importarci di tutto questo.
Il mondo che la circonda è altrettanto vivido. Mentre il regista Jay Roach ha fatto sembrare la casa di Peggy a Palm Springs un sogno diventato realtà, con i suoi larghi corridoi e la piscina a forma di gioiello, Yucca Valley è apparentemente il luogo in cui i sogni vanno a morire. Non tanto perché nel degrado, ma perché popolata da persone che sembrano aver terminato la loro strada. L’attrazione principale della zona è la finta frontiera, che consiste in un’unica strada polverosa supervisionata da un uomo stressato (Eric Petersen) e con problemi con la figura materna.
La più grande celebrità di questa Frontiera è Guru Bob (Rupert Friend, che per una volta riesce a mostrare le sue capacità comiche), un giornalista locale diventato leader di una setta di tossicodipendenti il cui mantra è “tutto è stupido”. L’investigatore privato di spicco è Bruce (Brad Garrett), la cui attività è talmente in crisi che è ricorso alla vendita di vecchie stampanti e macchine CPAP usate (macchine per la respirazione per le apnee notturne, ndr) su eBay.
In High Desert tutto a posto e niente in ordine
È proprio qui entra in gioco Peggy, che cerca di rimettere in sesto la sua vita. Decide quindi per capriccio di rilanciarsi come assistente di Bruce, mentre la sorella le fa notare, anche giustamente, che “sembra un’altra di quelle pazzie che stai provando tra una riabilitazione e l’altra”. Peggy dimostra subito di avere un dono naturale per l’investigazione. Come i truffatori della cultura pop, da Saul Goodman a Howard Ratner, ha una comprensione istintiva di ciò che qualcuno ha bisogno di sentire e la volontà di scavalcare qualsiasi limite o negazione per assicurarsi che la sentano dire.
Ha anche un occhio di riguardo per i piccoli dettagli e un’abilità nel giocarli a suo vantaggio. La prima volta che entra nell’ufficio di Bruce, si mette a suo agio e gli prepara una tazza di caffè, dopo aver capito esattamente come lo beve lui frugando nella sua spazzatura. Nel momento in cui finisce di bere, accetta frastornato di assumere questa perfetta sconosciuta come stagista.
L’intesa con Dillon
L’iniziale mancanza di scopo di High Desert si evolve a metà stagione in una simpatica arruffatezza, riscaldata da una sorprendente quantità di cuore. Pur evitando di immergersi troppo a fondo nel suo sottofondo di malinconia, lo show offre scorci del dolore di Peggy. Ci mostra anche l’amore sincero che la circonda. Arquette è ben affiancata da Matt Dillon, nei panni di Denny ( il suo ex criminale) che tende a portarla alla rovina ma che si preoccupa per lei al punto da rispondere a una sua telefonata nel bel mezzo di una rapina a mano armata. Ha anche una vera amica in Carol: Weruche Opia infonde il personaggio di malizia e mistero a sufficienza da tenerci sulle spine.
Allo stesso tempo, High Desert aumenta allegramente l’assurdità a ogni episodio che passa, arrivando a includere nel caso anche un’omicidio irrisolto, una serie di falsi d’arte, un risentimento mafioso intrafamiliare e una squadra di killer padre-figlia con la mania di tagliare i capezzoli. E questo è solo il lavoro. Fuori dall’orario di ufficio, Peggy è alle prese con l’apparizione dell’inquietante doppelgänger di sua madre (sempre Peters), che ingaggia per un progetto teatrale autobiografico nel tentativo di trovare una soluzione. Di tanto in tanto, la narrazione rischia di afflosciarsi sotto il peso di tutte queste cose; le domande sul sosia della mamma sono un esempio. Ma, proprio come la sua protagonista, High Desert è in grado di far sembrare il troppo, giusto.
Traduzione di Pietro Cecioni
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