Sesso, droga ed Euphoria, il mondo estremo raccontato da Sam Levinson (The Idol compresa)

Il regista e sceneggiatore presenta la sua nuova serie tv con The Weeknd e Lily-Rose Depp in anteprima al festival di Cannes. L'ultimo lavoro, in ordine di tempo, che l'ha visto al centro di svariate polemiche e accuse

Se volessimo sintetizzare in una frase il sentire comune a molti nei confronti di Sam Levinson, ci basterebbe citare il titolo di un articolo del 2022 del New York Times.They Are Fans of Euphoria, but Not of Its Creator”.

La serie in questione è, insieme a Il trono di spade, il più grande successo recente della Hbo, lui il suo sceneggiatore e regista. Ispirata alla serie israeliana Oforia di Ron Leshmen, Euphoria segue un gruppo di liceali problematici tra relazioni complicate, dipendenze di ogni tipo e sesso. Tanto, tantissimo sesso.

Sam Levinson al centro di mille diatribe

Levinson ha apertamente dichiarato che molto di quello che accade nella serie è una rivisitazione della sua vita. E che la protagonista Rue, interpretata da Zendaya – vincitrice per il ruolo di due Emmy, nel 2020 e nel 2022 – altro non è che il suo alter ego. Figlio della produttrice Diana Rhodes e del regista Barry Levinson, non ha mai fatto mistero di aver fatto uso di droghe quando era un’adolescente. Quell’esperienza è diventata nella sua visione artistica una delle serie tv più acclamate del decennio. Non senza portarsi dietro una scia di polemiche che ciclicamente lo rendono bersaglio di articoli o post social al vetriolo.

Quello che è accaduto anche con The Idol. La sua ultima fatica seriale presentata fuori concorso a Cannes 76 che negli ultimi mesi ha dato vita a un tornado mediatico fatto di dichiarazioni anonime, smentite, comunicati e la curiosità di scoprire, una volta lette le prime reazioni post proiezione francese in Sala Agnes Varda, se tutto questo clamore abbia avuto davvero un senso.

Hunter Schafer, Sam Levinson, Angus Cloud, e Zendaya al photocall di Euphoria 2. Courtesy of Jeff Kravitz/FilmMagic for Hbo

Hunter Schafer, Sam Levinson, Angus Cloud, e Zendaya al photocall di Euphoria 2. Courtesy of Jeff Kravitz/FilmMagic for Hbo

The Idol: da Cannes con polemiche

La serie, che arriverà su Sky e Now dal 5 giugno, vede protagonisti Abel “The Weeknd” Tesfaye e Lily-Rose Depp. Lui interpreta Tedros, un impresario di night club con un passato sordido e a capo di una setta, lei Jocelyn, pop star messa ko da un esaurimento nervoso che ha fatto fallire il suo ultimo tour. Quando i due si incontrato, in lei scatta la voglia di riconquistare il titolo di reginetta sexy del pop americano. Ma la loro relazione potrebbe gettarla in una spirale di distruzione.

Stando alle immagini del primo trailer, The Idol non si discosta molto dall’estetica patinata e ipersessualizzata di Euphoria. Vassoi di cocaina, mini abiti che lasciamo molto poco spazio all’immaginazione, luci al neon e situazioni al limite. Ma la serie ha fatto molto parlare di sé per la sua gestazione travagliata e alcune sequenze mai girate o arrivate al montaggio considerate da molti estreme ed eticamente discutibili.

Le accuse a The Idol

In un articolo apparso su Rolling Stone, in cui venivano incluse le dichiarazioni di tredici membri della troupe che avevano lavorato sul set di The Idol, la serie veniva etichettata come “ai limiti del rape porn”. Levinson ha preso il posto della regista Amy Seimetz che, nel 2022, ha lasciato il set della serie già in avanzata fase produttiva.

Il risultato è che lui e The Weeknd hanno riscritto buona parte del materiale costringendo la produzione ha rigirare molte sequenze e a superare vertiginosamente il budget prestabilito. Secondo le accuse questo ha portato a un’esagerazione di contenuti sessuali che hanno depotenziato il messaggio iniziale del progetto – una denuncia dell’industria musicale attuale – finendolo per farlo diventare esattamente un’esaltazione di ciò che avrebbe dovuto aspramente criticare. La risposta di The Weeknd alle polemiche? “Ridicole”.

Il caso Malcolm & Marie

Primo film ad essere completato dopo il Covid che aveva fermato il mondo e Hollywood, Malcolm & Marie è un altro tassello dal percorso artistico di Sam Levinson. E, neanche a dirlo, altro tassello che si aggiunge alla lunga lista di opinioni non proprio lusinghiere di cui è stato bersaglio il regista.

Protagonisti – e produttori – del film John David Washington e Zendaya nei panni di una coppia. Totalmente filmato all’interno di una casa, il film si apre con i due in cucina, di ritorno dall’anteprima dell’ultimo film di Malcolm. C’è aria di maretta. Il regista, nei ringraziamenti di rito, ha dimenticato di menzionare Marie. Potete immaginare il seguito.

Oltre un’ora e mezza di litigi in cui la coppia si dice di tutto, tra momenti di tregua, scenate e silenzi rancorosi intervallati da svariate grida. Ma, a prescindere dal gusto personale, dov’è il problema? Secondo alcuni la differenza d’età tra i due personaggi sarebbe eccessiva – 36 anni lui, 24 lei – ma, sopratutto, Levinson, bianco, non avrebbe dovuto raccontare la storia di due personaggi afroamericani.

Ma c’è di più, le critiche più pungenti arrivano da chi accusa il regista di aver sfruttato i suoi protagonisti per mettere in scena, attraverso i loro dialoghi, il suo malcontento nei confronti di Hollywood e della critica attraverso i dialoghi messi in bocca a Malcolm. Tutte accuse rimandate al mittente da Zendaya che ha sottolineato come sia lei che Washington, in veste di produttori, abbiano avuto un peso nella direzione della storia.

Zendaya e John David Washington in Malcolm & Marie. Courtesy of Dominic Miller/Netflix

Zendaya e John David Washington in Malcolm & Marie. Courtesy of Dominic Miller/Netflix

I dolori del giovane Sam Levinson

Criticato aspramente su più fronti, di Sam Levinson non si può però dire che non abbia una visione. O dei temi ricorrenti che sviscera fin dal suo esordio alla regia con Another Happy Day nel 2011. La famiglia e l’adolescenza sono i punti centrali dai quali si irradia lo spettro narrativo che in Euphoria ha, finora, trovato il suo punto di massima realizzazione.

Se Another Happy Day era la storia di una famiglia allargata americana alle prese con dolori mai affrontati e confessioni mai fatte, con Assassination Nation, Levinson si concentra su quattro ragazze finite al centro dell’attenzione mediatica dopo che un hacker rende note le loro foto e video privati distruggendo le loro vite. Per chi è anche solo vagamente avvezzo al mondo messo in scena da Sam Levinson in Euphoria, è chiaro come questi due film non siano stati altri che una grande prova generale per la serie Hbo.

Sesso, droga ed Euphoria

L’adolescenza raccontata da Sam Levinson è estrema. È come se Skins, la controversa serie tv inglese su un gruppo di liceali fosse stata amplificata e imbottita di Fentanyl. L’analgesico, usato come droga, preferito della protagonista Rue.

Due stagioni, con una terza di ritorno nel 2024, in cui Sam Levinson ha dato vita a un racconto in cui l’attitudine quasi pittorica per l’estetica va a braccetto con tematiche complesse e spinose. Tra le tante accuse che gli vengono rivolte c’è l’ossessione per la nudità – femminile e maschile -, l’oggettivazione delle donne – in questo i personaggi di Maddy (Alexa Demie), Cassie (Sydney Sweeney) sono un esempio perfetto – e la patina dark pop da videoclip con la quale il tutto viene infiocchettato.

Zendaya in una scena della prima stagione di Euphoria. Courtesy of HBO and Sky

Zendaya in una scena della prima stagione di Euphoria. Courtesy of HBO and Sky

L’adolescenza secondo Sam Levinson

Durante la messa in onda degli episodi, Twitter straripa di post che elogiano la serie ma criticano il suo creatore. Una sorta di bipolarismo evidente che rappresenta al meglio le reazioni contrastanti e contraddittori che il lavoro del regista e sceneggiatore suscita nel pubblico (ma anche nella critica). Quella di Euphoria è una narrazione fatta di eccessi, indubbiamente. Ma è anche vero che nella stereotipizzazione dei personaggi, Levinson mette in scena una moltitudine di tematiche e realtà che riguardano davvero gli adolescenti.

Famiglie assenti, modelli di riferimento che latitano, uso di droghe, assenza di cultura del consenso, revenge porn, violenza fisica, transizione di genere, solitudine, disturbi alimentari. E potremmo continuare. Il punto è che Euphoria non è e non vuole essere consolatoria e rassicurante. Lo scopo del suo creatore è quello di disturbare, mettere alla prova gli spettatori, turbare. E ci riesce benissimo.

La regia è una cassa di risonanza della sua scrittura. L’uso di dolly è ormai un tratto distintivo della serie che le conferisce un’atmosfera tra l’onirico e l’irreale. Essendo Rue la voce narrante ed essendo Rue molto spesso sotto l’effetto di sostanze che ne alterano le sensazioni, ecco che la regia è anche un prolungamento dello stato psicofisico della sua protagonista.

Un ritratto (anche) sull’America

Se volete una prova – tra le tante – del suo talento la trovate nel settimo episodio della seconda stagione di Euphoria, Il teatro e il suo doppio. Un vero gioiello di scrittura e messa in scena.

Un racconto metaforico e metanarrativo in cui uno dei personaggi, Lexi (Maude Apataw), mette in scena uno spettacolo teatrale, Our Life, davanti ai suoi compagni di classe, ai genitori e agli insegnati. Uno spettacolo basato sulle loro vite in cui la ragazza racconta la storia dal suo punto di vista spezzando più di un cuore. Compreso il nostro.

Non sappiamo se The Idol sarà un passo falso nella carriera di Sam Levinson. Sappiamo però che Euphoria è una delle serie più importanti sull’adolescenza e sull’America contemporanea. Perché quei ragazzi sono nati e cresciuti in un Paese in cui la dipendenza è una piaga sociale, la violenza (in ogni sua forma) è parte integrante delle loro vite (fin dentro le loro classi) e il sesso è influenzato massicciamente dai porno sempre più estremi. Certo, quello di Euphoria non è un ritratto univoco sull’adolescenza. Ma non per questo significa che non racconti una verità.