Nessuno avrebbe biasimato Peter Morgan se la sesta stagione di The Crown di Netflix avesse affrontato la morte di Diana e il suo impatto sulla famiglia reale solo in modo indiretto – ok, forse alcuni l’avrebbero fatto. Morgan non aveva nulla da guadagnare nel riproporre i momenti del lutto reale, oltre a riflettere sulle cause della lenta reazione iniziale di Elisabetta e le circostanze del suo discorso – alla fine ben accolto – alla nazione in lutto.
Di certo ci si sarebbe aspettato che prendesse almeno un’angolazione inaspettata. Qualsiasi cosa che non fosse un rifacimento televisivo di The Queen, che Morgan ha sceneggiato nel 2006, affidando alla povera Imelda Staunton la responsabilità di imitare non solo la vera regina Elisabetta, ma anche l’interpretazione del premio Oscar Helen Mirren.
I primi quattro episodi della sesta stagione di The Crown metteranno in moto i vari fact-checkers monarchici della stampa britannica, anche se è la famiglia Al-Fayed che dovrebbe offendersi e pianificare una rivolta, prima di vedere come Morgan deciderà di concludere il suo esperimento seriale che ha coperto vari decenni del regno di Elisabetta II.
Questa prima parte dello show si concentra soprattutto sull’ascesa e la straziante caduta della storia d’amore tra Diana e Dodi. Non c’è quasi spazio per nient’altro, soprattutto per l’Elisabetta di Staunton, che nei primi tre episodi ha solo cinque minuti di tempo totale sullo schermo e in cui non fa quasi nulla. Anche il Filippo di Jonathan Pryce è sprecato.
The Crown 6, amore e morte
I primi due episodi di The Crown 6, che gettano le basi per quanto accaduto a Diana e Dodi (Khalid Abdalla), sono comunque buoni. Il primo ha una leggerezza apprezzabile, soprattutto sapendo le sorti della vicenda, e mette piacevolmente in risalto William (Ed McVey) e Harry (Luther Ford), mentre offre comprensione verso l’accoppiata Carlo (Dominic West) e Camilla (Olivia Williams), trovando persino il modo di inserire alcune chicche musicali britanniche vintage di fine anni Novanta, dai Chumbawamba ai Kula Shaker.
Gran parte dell’interpretazione di Debicki, nominata agli Emmy nella scorsa stagione, si è concentrata sull’infelicità della dissoluzione del matrimonio tra Carlo e Diana, ed è stata davvero straziante. Ma è altrettanto piacevole vederla interpretare una versione del personaggio con un’identità individuale, virtuosamente eroica un momento e abilmente civettuola quello successivo. È fantastica nei panni di questa donna che si è resa conto dei confini della sua lussuosa cella solo quando era troppo tardi e, come ci ha insegnato l’episodio Coppia 31 della scorsa stagione, lei e Dominic West sono davvero bravi insieme.
Il secondo episodio della nuova stagione, Due fotografie, è un ottimo esempio della capacità di Morgan di prendere una storia familiare e affrontarla da angolazioni nuove e inaspettate. Questa capacità non emerge abbastanza nella seconda metà dell’arco narrativo della stagione. Soprattutto nel terzo episodio, che si trasforma in un brutale lavoro fatto con l’accetta su Dodi, presentato come un bambinone senza spina dorsale, e sul padre Mohamed Al-Fayed (Salim Daw), che diventa uno stereotipo machiavellico e intrigante che non ha alcuna somiglianza con la versione empatica e ricca di sfumature del personaggio che abbiamo conosciuto nella quinta stagione.
Sono passati vent’anni da quando qualcuno si è bevuto la narrazione “Questa è stata la seconda storia d’amore da fiaba di Diana!” che alcuni hanno proposto dopo la sua morte. Ma la decisione di Morgan di trattare la breve relazione come uno sfortunato catalizzatore nella vita di Diana – il momento in cui ha capito che doveva concentrarsi su se stessa e non sull’essere una moglie o una fidanzata – è poco interessante e utilitaristica.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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