Il nome di John Wick è nei titoli e il suo volto sui poster. Ma qualsiasi fan di John Wick sarebbe d’accordo nel dire che il fascino di John Wick non è solo merito del suo protagonista. Altrettanto responsabile della sua (duratura) popolarità è l’universo in cui si muove, costruito nel corso di quattro film: un mondo popolato da assassini professionisti e regolato da arcani misteri, appena visibili sotto la superficie della nostra realtà.
Se questa ambientazione sia di per sé sufficiente a sostenere nuovi antieroi e protagonisti è la domanda al centro di The Continental: From the World of John Wick, sequel di Peacock (in Italia su Prime Video, ndt) senza John Wick e ambientato decenni prima che Keanu Reeves dicesse: “Penso di essere tornato”. Sebbene sembri più un esercizio di stile che un capitolo compiuto, l’operazione è in parte riuscita. Ma compie un passo falso talmente grave che potrebbe rovinare, per molti fan, l’intera saga.
Sviluppato da Greg Coolidge, Kirk Ward e Shawn Simmons, lo spinoff The Continental prova ad essere accessibile per tutti. Espande la storia nota, ma sposta l’ambientazione negli anni Settanta, sviluppando una narrazione che non richiede conoscenze pregresse della saga. Il film gira intorno a Winston Scott, il gentile albergatore interpretato sul grande schermo da Ian McShane, ma concede a Colin Woodell, che lo interpreta in una versione più giovane, abbastanza spazio per fare suo quel personaggio dal cuore d’oro (Woodell fa un ottimo lavoro nel riprodurre i manierismi e la voce roca di McShane). Il film lo inserisce in una rosa di personaggi per lo più nuovi, che meritano di essere apprezzati a prescindere dai legami con quelli che già conosciamo.
Come per John Wick, la sanguinosa ricerca di Winston sottende un passato oscuro che pensava di essersi lasciato alle spalle; è un truffatore londinese di New York richiamato al mondo criminale dopola morte di suo fratello maggiore, Frankie (Ben Robson), per mano del gangster che li ha cresciuti, Cormac (Mel Gibson, di cui si dirà più avanti). Naturalmente l’unica strada possibile per Winston è quella di farsi strada a suon di pugni, fendenti e sparatorie nella malavita dominata da Cormac, tentando di occupare l’hotel per soli assassini che funge da sede del gruppo. Sebbene l’azione di The Continental non sia paragonabile a quella dei film, è comunque superiore alla media televisiva con coreografie intricate, acrobazie atletiche e riprese fluide. Gli spruzzi di sangue e le ferite esibite esplicitamente sono la ciliegina su una torta gloriosamente violenta.
Allo stesso modo, sebbene New York sembri un po’ più piccola del solito – l’onnipresente smog non può fare molto per nascondere il fatto che interi quartieri in The Continental non sembrino più grandi del backlot di uno studio cinematografico – è una città piena di carisma, lugubre, ricoperta di rifiuti e punteggiata di strutture in rovina che custodiscono intriganti segreti.
All’interno del Continental regna un’opulenza d’altri tempi, nella quale spiccano le stranezze degli avventori: tra gli altri un’arbitro (Katie McGrath) che nasconde la metà inferiore del suo volto con una maschera di porcellana, o una coppia di gemelli sadici (Marina Mazepa e Mark Musashi) con tagli di capelli tra Lord Farquaad in Shrek e Claire nella seconda stagione di Fleabag. È tutto molto grottesco, tanto più divertente quanto meno ha senso.
Ma in The Continental ci sono anche dei problemi. Il meno fastidioso è il formato. La serie si articola in tre episodi da circa 90 minuti ciascuno, che la posizionano in una frustrante via di mezzo tra un film troppo lungo e una stagione televisiva troppo breve. Ci vuole l’intero primo episodio per arrivare alla premessa centrale, ovvero il tentativo di Winston di rovesciare il dominio di Cormac. E la maggior parte dell’episodio finale serve ad arrivare a un climax pieno di proiettili. Nel mezzo non c’è abbastanza tempo per dare ala storia la cura che meriterebbe.
La chimica c’è. Ho apprezzato l’accenno di flirt tra Winston e uno dei suoi nuovi alleati, la proprietaria della palestra di karate Lou (Jessica Allain), e la timida amicizia tra Winston e Charon (Ayomide Adegun, che interpreta una versione più giovane e con gli occhi grandi del concierge di Lance Reddick dei film). Anche i retroscena dei personaggi sono interessanti. Probabilmente la serie avrebbe potuto impiegare ore solo per spiegare le complicate dinamiche familiari tra Lou, suo fratello Miles (Hubert Point-Du Jour) e il loro padre, o la storia d’amore incrociata tra il veterano del Vietnam Frankie e l’ex moglie dei khmer rossi Yen (una Nhang Kate da urlo). Il fatto che non lo faccia potrebbe suggerire la volontà di incuriosire il pubblico, nella speranza che pretenda nuovi episodi. Ma The Continental è stato definito una “serie evento in tre parti”, non una prima stagione. Il che dà l’idea che il network abbia paura di impegnarsi.
Ma il più grande “cartellino rosso” di The Continental riguarda la star di punta. Se non ci fossero state altre alternative al mondo, Gibson poteva anche essere una scelta ragionevole: un nome noto per interpretare un cattivo la cui intensità scenica supera di gran lunga il tempo effettivo sullo schermo. Ma The Continental di alternative ne aveva parecchie. E la serie viene distribuita in paesi in cui le uscite di Gibson su razzismo, misoginia, antisemitismo e abusi sono ben noti. Vedere Gibson che insulta crudelmente qualcuno, o mostra un temperamento violento, non ha il sapore del gioco o della fantasia. La sua presenza dà alla serie una nota acida, che per molti sarà insopportabile, vanificando l’idea di sfruttare un volto familiare per un ruolo importante. Per il resto, The Continental è un inizio accettabile per l’espansione futura di John Wick. Nella speranza che la prossima volta si scelga con più attenzione chi far entrare da quelle storiche porte.
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