Si sente, sempre più spesso, nominare Blade Runner. E ciò non avviene invano: il film di culto diretto da Ridley Scott ha dato un volto all’estetica cyberpunk, alla distopia del futuro. Uno sguardo inquietante, intimo e allo stesso tempo affascinante. La scena di apertura sulla giungla urbana, completamente buia. La dolce colonna sonora di Vangelis che accompagna l’esplosione dei fuochi dalle ciminiere. E poi lo spettacolo di luci e cartelloni pubblicitari animati che illuminano il buio della Los Angeles del 2019 (secondo la previsione del 1982).
È in produzione un videogioco ad opera di Annapurna Interactive, Blade Runner 2033: Labyrinth. Uno dei pochi ad essere ispirati direttamente al franchise di Alcon Entertainment, e che arriva 25 anni dopo la prima avventura grafica sviluppata dalla software house Westwood Studios. Un’avventura di culto che ha lasciato il segno nella storia dei videogiochi per computer, e a cui è giusto volgere lo sguardo dopo l’inaspettato annuncio del 29 giugno.
L’opera di Annapurna è inoltre la prima ad essere sviluppata internamente dall’azienda di West Hollywood, e non ha ancora una data di uscita. Sarà disponibile su Pc e console.
Blade Runner e i creativi di oggi
Il futuro distopico di Ridley Scott per un po’ aveva smesso di essere raccontato, per poi tornare con prepotenza a ispirare film, videogiochi e animazione. Ed è una narrazione che non sta stancando, la cui estetica rapisce gli occhi degli spettatori e che suscita riflessioni filosofiche, politiche e sociali. L’eredità lasciata dal film con Harrison Ford (nei panni del poliziotto Rick Deckard) – a sua volta tratto dal racconto di Philip K. Dick, Do Androids Dream of Electric Sheep? – sta venendo raccolta dai creativi di oggi, che sentono di poter creare storie da profonde connotazioni politiche, antifasciste e anticapitaliste.
Oltre al sequel diretto da Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, sono usciti fumetti, anime e usciranno anche serie televisive ispirate al mondo di Blade Runner (prodotta da Prime Video). Un franchise che prima semplicemente non era tale, e che ora ricompare come quegli amici che non vedi da tantissimo tempo. Ma sembra che non sia passato nemmeno un giorno dall’ultima volta che vi siete lasciati.
Blade Runner è così. Ogni volta è sempre un piacere: risuona ancora negli animi del pubblico, è familiare ed esistenziale. E forse sul nostro mondo ha ancora qualcosa da dire, da criticare. Un compito che può ancora svolgere con vigore. “Come prima, più di prima” canterebbe Tony Dallara.
Il labirinto dopo il blackout
“Molte persone hanno perso troppe cose durante il blackout,” recita una voce fuoricampo, mentre da una vetrata si vedono fasci di luce che volteggiano e immensi grattacieli. E aggiunge: “Io sono stato fortunato, ho perso solo un lavoro. E ora mi vogliono di nuovo”. Ha fatto notizia l’ultimo annuncio di Blade Runner 2033: Labyrinth.
Dal breve trailer, la voce fuoricampo sembra introdurre un altro poliziotto come protagonista della storia, un altro Blade Runner: un cacciatore di replicanti. Si capisce poco di quanto sarà poi effettivamente giocabile, ma quei fotogrammi comunque riaccendono un po’ la nostalgia delle avventure sul “filo del rasoio”. Un momento storico – per l’universo narrativo – molto specifico: il black out. Si tratta di un evento che nel mondo di Blade Runner si è verificato nel 2022: la città di Los Angeles cade nel buio più totale dopo l’esplosione di una bomba atomica a poche centinaia di metri da terra. Una tragedia.
Blade Runner e Cowboy Bebop
Tutto si spegne, gli archivi si danneggiano: c’è il caos. Si tratta di un reset di rare dimensioni e che viene raccontato magistralmente dall’evocativa animazione del sensei Shin’ichirō Watanabe, già regista di Cowboy Bebop (opera a cui lo stesso Villeneuve si è ispirato). Un’artista che il genere cyberpunk lo “mastica” dalla nascita, e che riesce a cogliere gli spigoli dei personaggi. Androidi con un profondo senso di solitudine. Quell’ognun per sé figlio di un individualismo senza controllo. Un individualismo che l’animazione giapponese di genere era stata già in grado di cogliere con Ghost in the Shell, rispettivamente dal maestro Masamune Shirow con i fumetti, e da Mamoru Oshii con il film.
Il breve trailer di Blade Runner 2033: Labyrinth dal black out riaccende la scintilla dell’interesse verso le trasposizioni videoludiche di questo franchise. Anche perché per trovare un videogioco ispirato al film di Ridley Scott, c’è da tornare indietro al 1997.
Blade Runner, un videogioco sul filo del rasoio
La prima “trasposizione” del capolavoro del 1982 in videogioco avviene qualche anno più tardi, nel 1985. CRL Group sviluppa un’avventura per Commodore 64, Amstrad Cpc e Sinclair Zx Spectrum. Ma lo fa senza avere una vera e propria licenza da parte di Alcon Entertainment. Nel 1997 – questa volta con il mandato ufficiale – esce invece l’avventura grafica per Pc di Blade Runner prodotta da Westwood Studios, azienda con sede a Las Vegas conosciuta nell’ambiente per aver realizzato la serie di videogiochi strategici Command & Conquer.
L’avventura – ispirata dal film di Ridley Scott, ma che prevede sei finali diversi in base alle scelte – diventa presto un cult tra gli appassionati di giochi per computer. Un’opera che sarà poi rimasterizzata nel 2022 da Night Dive Studios (ora al lavoro sul nuovo System Shock) in collaborazione con Westwood Studios, anche se con scarso successo.
Sulla rivista The Games Machine, nel 1997, si legge che l’avventura dello studio di Las Vegas sarebbe diventata “una pietra miliare delle avventure grafiche”. E in effetti è stato proprio così, ancora oggi Blade Runner e il suo protagonista Ray McCoy (e non Deckard) resistono alla prova del tempo (paradossalmente la versione rimasterizzata per Nintendo Switch è terribile). Graficamente è un’esperienza un po’ attempata (e si vede), ma in fondo il realismo grafico per i videogiochi è un po’ ossessione e condanna. E nell’equilibrio hanno un valore decisamente discutibile.
L’investigazione del giovane McCoy – che è un poliziotto alle prime armi – riesce però a coinvolgere nella narrazione in un modo che neanche il film è riuscito a raggiungere. Non per una mancanza della pellicola, ma per una particolarità del mezzo videogioco. Ed è un via che solo questo nuovo medium può percorrere (oltre l’interazione): il lingering, cioè il soffermarsi, il persistere.
“Persistere” nella distopia
Le ambientazioni, dall’appartamento alla stazione del LAPD fino a Chinatown, con il noodle bar White Dragon di Howie Lee ( che compare nei primi minuti del film), sono tutti luoghi “vivi”. I giocatori possono persistere in quei luoghi, in quelle inquadrature, possono ritornarvi e vederli cambiare. Il cane che scodinzola per casa di McCoy, gli agenti di polizia, il via vai di persone che si fermano per un piatto di noodle, tutto si muove. Porte che prima erano chiuse si aprono, personaggi che prima non c’erano compaiono, dialoghi e situazioni inaccessibili diventano “vivibili” e percorribili.
Il film è scandito dalle inquadrature, dal minutaggio della pellicola e da ritmi più serrati. Nel videogioco si “vivono” luoghi che nel film sono solo un contorno, che passano di sfuggita sotto gli occhi degli spettatori. E ora, dopo 25 anni dalla prima avventura grafica (con licenza) di Blade Runner, è possibile tornare a soffermarsi e a persistere sulla distopica Los Angeles. Coglierne gli anfratti e le dinamiche, la gente e le criticità. Un sguardo “nuovo”, tornato per raccontare il futuro, e magari criticarlo.
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