Stonebreakers, quando le minoranze abbattono anche le nostre “star”

“È come il calcio. Se perdi una finale di Champions League mica ti danno la coppa. E allora perché tutte queste statue di gente che la guerra l’ha persa?”. La cancel culture (che ha colpito anche Cristoforo Colombo) spiegata bene da un'attivista, nel documentario di Valerio Ciriaci

Sulla copertina di Standing Soldiers, Kneeling Slaves dello storico Kirk Savage c’è l’Emancipation Memorial: Abraham Lincoln in piedi che rende libero uno schiavo inginocchiato, mezzo nudo, senza denti. Fu eretto nel 1876. Il Lincoln Memorial che conosciamo oggi – il tempio di ispirazione Greca e l’enorme statua del Presidente seduto – fu costruito negli Anni 20. Per quasi cinquanta anni quello è stato il principale monumento a Lincoln a Washington DC e anche l’unico con una persona di colore.

Ovviamente la narrativa qui è di celebrazione del leader bianco, una narrativa molto problematica.

Primo, perché è storicamente inesatta dal momento che i neri sono stati in gran parte agenti della propria liberazione. Secondo, perché distorce la storia per rafforzare l’idea del potere bianco che decide di liberare gli afroamericani attraverso un atto di carità.

Il movimento iconoclasta raccontato da un italiano

Il 29 dicembre 2020, la città di Boston ha rimosso la statua e l’ha collocata in un deposito temporaneo a South Boston. L’Emancipation Memorial è solo uno dei molti esempi del movimento iconoclasta che, soprattutto dopo l’estate del 2020 con la morte di George Floyd e le conseguenti proteste, sta percorrendo l’America, polemiche e contraddizioni comprese. Ed è proprio questo momento storico nella sua interezza, con la tensione tra le varie forze in atto – americani bianchi, trumpiani, nativi, afroamericani – che viene raccontato in Stonebreakers, documentario del regista italiano residente a New York Valerio Ciriaci e che, dopo un tour italiano, è stato presentato in anteprima americana a Boston e poi, il 3 settembre, a New York nell’ambito del Brooklyn Film Festival.

Nato come un documentario sul mito di Cristoforo Colombo e sulle controversie legate alla celebrazione del Columbus Day e alla relativa statua che si trova a Manhattan a Columbus Circus, Stonebreakers sembrava essere stato messo in pausa nel marzo 2020 dalla pandemia, per diventare, a maggio, di nuovo rilevante, anzi fondamentale.

“Il tema sembrava finito in secondo piano, ma ho dovuto ricredermi subito, quando la prima statua di Colombo è stata abbattuta nel mezzo delle proteste per l’uccisione di George Floyd”, scrive nelle sue note Ciriaci. “Nei mesi a seguire, le azioni dei manifestanti hanno colpito anche altri monumenti, collegando simbolicamente Colombo, confederati, padri fondatori e altri protagonisti del racconto storico nazionale”. L’ambizione di Stonebreakers è infatti di mettere tutto insieme, legando in modo coerente gli italoamericani nostalgicamente legati all’idea di Cristoforo Colombo come di un eroe ai nativi americani e agli afroamericani che da anni si battono per vedere riconosciuta la storia delle minoranze, loro sì a rischio cancellazione.

Il tema diventa quindi la memoria americana nella sua totalità e come questa memoria a volte ingombrante, spiacevole, imbarazzante possa e debba trovare spazio nell’oggi, senza che sia rimossa, come vorrebbero alcuni. I luoghi di memoria trasformatisi in luoghi di conflitto e per questo ancora più attuali.

“Mentre nel dibattito pubblico cresceva l’indignazione e la paura per una imminente “cancellazione della storia”, mi rendevo conto che era vero il contrario: stavamo assistendo a un’irruzione del passato nel presente, a un’opportunità senza precedenti di vagliare i miti nazionali e di confrontarsi con le pagine più oscure della storia americana”, scrive ancora Ciriaci. In questo senso Stonebreakers è sia la testimonianza di una stagione straordinaria che un contributo a un dibattito pubblico sul ruolo della memoria e dell’iconografia pubblica, su chi e come meriti di essere celebrato, sul cosa fare di monumenti eretti con scopo politico: molte della statue dei generali confederati che avevano perso la guerra civile sono state erette molto dopo la fine della guerra stessa, sotto l’America della segregazione, con intento politico di riaffermazione della supremazia bianca.

“Fare i conti con il passato non significa congelarlo dentro un monumento, ma affrontarlo, riaprirlo alla discussione e continuare ad attualizzarlo”, chiosa Ciriaci. Detto più semplicemente, con le parole di un attivista che compare nel documentario: “È come il calcio. Se perdi una finale di Champions League mica ti danno la coppa. E allora perché tutte queste statue di gente che la guerra l’ha persa?”.