Irène non ha alcuna intenzione di rimanere al campo estivo dell’ospedale dove sta venendo trattata. Le gite al parco dei mostri di Bomarzo non soddisfano nemmeno i desideri profondi della compagna Clara, che vorrebbe andare al mare. Irène non se lo fa ripetere due volte e trascina la timorata amica alla stazione, in gran segreto, per prendere un treno alla volta della Sicilia. È un’estate degli anni Novanta Quell’estate con Irène. Il nuovo film di Carlo Sironi, presentato alla Berlinale nella sezione Generation 14plus, ha la pasta nostalgica delle vacanze di Luca Guadagnino e Charlotte Wells, senza la loro carica dirompente. Quando Clara trova un giardino segreto nella loro nuova casa, Irène è ancora assonnata e risponde alle esortazioni dell’amica con uno slogan memorabile: “No coffee, no poetry”. Le stesse vacanze di Irène e Clara forse avrebbero giovato di un po’ di caffeina.
Non è un fatto di montaggio né di toni, entrambi eleganti, quanto di processione narrativa. Il film si spiega senza il coraggio che Clara trova per provare un po’ di vita. Il suo soggiorno è comunque distensivo, anche per chi lo guarda – quanto sanno essere fotogenici, i fiori delle agavi – e per chi lo ascolta, tra il banjo delle grandi avventure e il pianoforte delle piccole scoperte.
In una scena tra le più astratte, Irène scansiona con una torcia i corpi dei suoi amici appisolati, illuminandoli uno per uno, prima di scappare tra le cave di Favignana. Quando Clara corre a cercarla, anche lei fa la stessa operazione sulle le rocce, con la stessa meticolosità. Il film di Sironi riassume queste due immagini: corpo e paesaggio sono gli obiettivi della sua macchina da presa.
Nelle pronunce e negli occhi grandi di Irène, nella posa algida e il viso modiglianesco di Clara, nei loro sguardi reciproci, si costruisce un’alchimia forte, romantica senza dover essere sessuale. Del paesaggio dell’isola il film colleziona le architetture: gli archetti, i giardini, le cave, le tonnare, le case bianche. Favignana non è mai stata così bella (con grande gioia della Sicilia Film Commission).
Passione di Irène sono i finti canini da vampiro che si mette in continuazione per mordere Clara al collo. “Poteva davvero essere un film di vampiri”, confessa Carlo Sironi, un’ipotesi che forse avrebbe giovato al film, che invece arriva a conclusione con l’aglio a portata di mano. Quell’estate con Irène non morde mai veramente e non lascia cicatrici dei suoi più bei momenti, alcuni meritevoli di rimanere impressi sul corpo: la pulizia delle seppie, la pioggia d’estate.
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