Matilde Gioli condurrà, insieme al veterano Carlo Conti, la 68° edizione dei David di Donatello, in diretta questa sera alle 21 su Rai1.
Durante una pausa delle prove l’attrice milanese, 33 anni, ha raccontato a THR Roma come stia affrontando l’appuntamento più importante per il cinema italiano: “Voglio essere preparata sulla scaletta. Carlo ed io proveremo ad essere dinamici e a evitare lungaggini”. Fervono in queste ultime ore anche i preparativi per trovare il look più adatto: un outfit che farà certamente discutere, nel bene o nel male. “Il giudizio sul look ci sarà, inevitabilmente. Ma io sono tranquilla. Non perché sia sicura di me e del mio aspetto, non lo sono mai stata. Ma perché non è qualcosa su cui abbia mai fatto affidamento. Sono più interessata all’opinione del pubblico sul mio modo di parlare, sul tono della voce, sul senso delle parole”.
Come si sta preparando, dunque?
In realtà sono molto tranquilla. Non sarò io la protagonista di questo evento, ma il cinema, i candidati e i premiati. Io avrò solo il compito di accompagnare Carlo Conti e presentare gli ospiti in sala.
Come si trova a lavorare con Conti?
È molto simpatico. Mi ha chiesto lui di affiancarlo: è stata una bellissima sorpresa ricevere la sua telefonata. Girando il promo della serata mi sono accorta che abbiamo molto in comune, al di là delle comuni origini (la madre di Gioli è toscana, come Conti, ndr).
Ha accettato subito la proposta?
Certo. Il contesto è bellissimo. E poi è una serata dedicata alla grande passione che nutriamo per questo lavoro.
Avrebbe comunque seguito i David in tv?
Sì, anche solo per tenermi aggiornata o conoscere i nomi di acconciatori, truccatori, direttori della fotografia di cui scoprire il lavoro. Troppo spesso ci si interessa solo dei colleghi attori o registi.
Che look adotterà per l’occasione?
Ho la fortuna di avere persone che mi aiutano nella scelta degli abiti, dell’acconciatura e del trucco. Se dipendesse da me sarebbe un disastro: non mi so truccare, sono sempre vestita sportiva. È un sollievo sapere che c’è un team di angeli custodi che mi aiuta. Mi fido di loro.
Un’anticipazione sull’outfit?
Posso dire che ci saranno due cambi di abito, dallo scuro al lucente. Uno di Armani e l’altro di Michael Kors.
I David in Italia sono il riconoscimento più importante. Lei ha vinto tanti premi, ma non questo. Come si sentirà quando una sua collega ritirerà la statuetta?
Sarò emozionata per lei, empatizzerò. Quando mi è capitato di fare un provino, ed essere scartata in favore di una collega, magari una conoscente, non ho mai provato quella sensazione di fastidio che vivevo da ragazza, quando ero universitaria o facevo sport agonistico. In quei casi mi concentravo di più sulle performance degli altri: avevo un atteggiamento forse un po’ più competitivo.
Nemmeno un po’ di sana invidia?
Non provo invidia sul lavoro. Sarà perché ho cominciato per caso e senza un fortissimo desiderio di iniziare: questo lavoro, bellissimo, è come se l’avessi incrociato così, per strada.
Le è andata anche bene, no?
Si, di fatto non ho mai smesso di lavorare. Non posso chiedere di più. Poi tutta la questione dei premi è un “di più”: se arriveranno bene, ma se non accadrà sarò felicissima lo stesso. Ho una vita, al di là del lavoro, talmente piena di cose belle che non ho proprio lo spazio per provare invidia.
Qual è il film candidato che le è piaciuto di più?
Non so se lo posso dire ma ho una passione per Le otto montagne, non solo per come è girato, ma per come viene raccontata la montagna. Io praticamente sono per metà montanara, con i miei fratelli siamo cresciuti in mezzo ai monti. Non era facile raccontarla con tanta precisione. Quei due registi (Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, ndr) sono andati oltre: hanno una sensibilità e uno sguardo sulla vita superiori alla media.
Quindi una scelta emotiva e sentimentale?
Si, sentimenti ed emozioni contano molto per me. A livello stilistico è un film fatto benissimo: la fotografia, gli attori, i dialoghi. Un film che spicca.
Se si dovesse attribuire un David per quale film sarebbe?
Sicuramente il mio primo film, Il capitale umano di Paolo Virzì. Non avevo mai recitato in vita mia, per me era tutto nuovo. Portammo a casa un bel risultato, vincendo tra l’altro un sacco di David (7 su 19 candidature, ndr).
A chi dedicherebbe un monologo stasera?
Se potessi, spenderei pochi minuti perché la serata è ricca di cose da fare. Manderei un messaggio ai giovani, alle nuove generazioni. Vorrei dire loro che noi adulti abbiamo una grande fame della loro creatività, delle loro idee. Quindi li vorrei invitare a esprimersi senza paura, a raccontarci il loro sguardo sul mondo, a decifrare un po’ il senso della vita di adesso, loro che hanno capacità che a noi mancano, nuovi linguaggi, nuovi modelli.
Ha lavorato con Alessandro D’Alatri, scomparso di recente, nel film del 2017 The Startup. Che ricordo ha di lui?
Bellissimo. Se ne avrò lo spazio, stasera lo ricorderò. A lui farebbe piacere: quello era il suo mondo, la sua grande passione. Ogni tanto ci sentivamo, avevamo amicizie in comune. Lo ricordo come un uomo sempre sorridente. Una persona piacevole, curiosa di lavorare con i giovani. Ma non “faceva” il giovane. Ci sono tanti adulti con la sindrome di Peter Pan: lui era un adulto con occhi e orecchie puntati sui ragazzi, voleva capirli. Ho bellissimi ricordi anche dei suoi grandi occhi azzurri.
Il suo ultimo lavoro per la televisione è Fernanda, il biopic sulla prima donna a dirigere la pinacoteca di Brera. Come si è preparata?
È stato fondamentale l’aiuto del regista Maurizio Zaccaro. Mi ha fornito molti riferimenti su Fernanda Wittgens, biografie e testimonianze dirette. Abbiamo fatto un lavoro di costruzione del personaggio un po’ più romanzato, cercando di tenerci agganciati alla realtà dell’epoca.
Cinema e tv. Il teatro non le interessa?
Mi incuriosisce e so che, quando riuscirò a ritagliarmi del tempo, lo farò. Ma bisogna studiare e dovrei partire da zero. Lo immagino come un’esperienza speciale, catartica. Mi obbligherebbe a usare di più il corpo, la voce. Potrei sfogarmi, mettermi alla prova con un altro tipo di recitazione.
Prossimi impegni?
Ho girato due film che usciranno al cinema, entrambi in montaggio. Uno è Cattiva coscienza di Davide Minnella, con Francesco Scianna e Filippo Scicchitano. Un film che parla del nostro mondo, quello in cui viviamo, e contemporaneamente del mondo delle nostre coscienze, che ci guidano nelle scelte quotidiane. Un bel trip, insomma. L’altro è Runner di Nicola Barbara, con Francesco Montanari. Un action movie girato in Calabria: mi sono divertita a fare risse, giocare con le pistole, correre sui cornicioni. E poi inizieranno le riprese di Doc – Nelle tue mani.
Niente vacanze?
Un paio di settimane ad agosto, ma non mi potrò abbronzare e quindi devo scegliere bene. Io e il mio ragazzo siamo appassionati di immersioni: sceglieremo un posto per farle. E poi la montagna.
Il luogo del cuore per le immersioni?
Le Filippine, dove ho fatto le prime immersioni: tutti i brevetti li ho presi all’estero. Tra il Borneo e le Filippine ci sono isole solo per i diver: ci si va solo per immergersi. Ho visto cose incredibili, flora e fauna da rimanere a bocca aperta.
Un sogno nel cassetto?
Un progetto come Yellowstone (la serie western creata da Taylor Sheridan, ndr). Avendo una grande passione per i cavalli, sarebbe un progetto cui darei tutta me stessa pur di partecipare. Potrei anche diventare competitiva.
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