Miracolo Dogman: ci voleva una muta di cani randagi per restituire Luc Besson al grande cinema

Nelle sale italiane dal 5 ottobre, il nuovo film del regista francese è un ritorno alle origini, in cui chi è indifeso diventa letale, per riscatto e necessità. Un'opera che sa essere kitsch e commovente allo stesso tempo, senza mai perdere la tenerezza. E un Caleb Landry Jones che già ipoteca la Coppa Volpi

Luc Besson è un regista finito. Prima della proiezione veneziana è la frase più dolce rivolta a quel regista geniale e produttore coraggioso.

In Sala Grande lo scetticismo è grande. Eppure, nessuno dimentichi che la sua EuropaCorp ha fatto soldi a palate con i suoi Minimei e con film trash-kitsch con il record di inseguimenti automobilistici metropolitani, con una sede in piena banlieue e una media di impiego, al suo interno, di un paio di centinaia di donne e uomini salvati da destini più grami.

Ma siamo in una Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, e quello che conta non è la filantropia imprenditoriale (o viceversa) di un uomo che ha cambiato l’immaginario dei film d’azione di tutto il mondo, partendo dall’Europa, ma lo stato attuale delle cose. Pazienza se è una delle poche cose buone che ci hanno lasciato gli anni Novanta. Il buon Luc dal pur controverso Lucy, quindi una decina d’anni, ha fatto poco e niente degno di nota per chi ha più di 18 anni. E prima, bisogna risalire addirittura a Il quinto elemento (1997).

Una delle scene più iconiche di Dogman di Luc Besson

Una delle scene più iconiche di Dogman di Luc Besson

Ora immaginate un critico cinematografico costretto dalla propria coordinatrice a svegliarsi all’alba per vedere un film interpretato da un ottimo attore finora poco fortunato (ma comunque premiato a Cannes) come Caleb Landry Jones. E 70 cani, animali domestici che chi scrive stima profondamente, sia chiaro, ma senza provare il fanatismo che altri rivendicano. Si inforca la bicicletta, abbaiando un’imprecazione, e si va, pensando di spedirle un mazzo di fiori per migliorare le assegnazioni delle recensioni.

Dogman

Commento breve Hai capito il miglior amico dell'uomo
Data di uscita: 05/10/2023
Cast: Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Christopher Denham, Marisa Berenson, Clemens Shick, Bianca Melgar, Corinne Delacour, Grace Palma, Emeric Bernard-Jones,
Regista: Luc Besson
Sceneggiatori: Luc Besson
Durata: 114 minuti

E poi. E poi inizia un’opera bizzarra e potentissima, che ha le stimmate del Besson migliore, quello che ci permette di scorgere la forza, totale e invincibile, dietro un’apparenza indifesa, placida e fragile: Anne Parillaud, minuta e spaurita che diventa Nikita; una preadolescente Natalie Portman che trova la fama in Leon (che nome cazzuto, scusate, è un riflesso pavloviano); un’arma in forma di donna che è purezza e innocenza letale (Il quinto elemento e smettete di immaginare Milla Jovovich nel costume-fasciatura bianco di Leloo), un angelo caduto per altruismo (Angel-A); una giovane indolente che diventa una intelligentissima e devastante supereroina (Lucy).

Qui, però, non abbiamo donne, bambine, cherubine. Abbiamo dei cani. “Esseri viventi – come dice il protagonista, uno straordinario Caleb Landry Jones da Coppa Volpi – che hanno tutti i pregi degli uomini senza averne i vizi. Hanno un solo difetto, si fidano degli uomini”.

Dogman, la trama

L’impianto è semplicissimo: Jojo T. Gibbs interroga un uomo trovato in un furgone pieno di cani randagi, vestito da Marilyn Monroe e con diverse ferite. Nessuno sa cosa farne, neanche in che settore del carcere metterlo. Lei è la più giovane e la più brava e anche in piena notte le danno i casi più difficili. E si ritrova in una chiacchierata in cui il presunto cattivo, un po’ con lo stile de I soliti sospetti e un po’ con quello de Il silenzio degli innocenti, si disvela. Senza però mai perdere la tenerezza: il film, continuo flashback, è un viaggio nell’orrore di chi ha cercato l’amore con dedizione e tenacia, trovandolo solo diventando il capo di un branco di disperati, emarginati come lui.

Dopo averlo ostinatamente perduto, con purezza e dolore, dalla madre picchiata e pavida fino all’attrice che lavorava nella casa famiglia e che lo adotta, con la sua bellezza quasi da fumetto e il suo amore per Shakespeare. Doug conserva una dignità totale e commovente in qualsiasi gabbia la vita lo metta, che sia una che condivide con i cani o una sedia a rotelle, un amore impossibile o una cella vera, Doug sa cos’è giusto e cos’è sbagliato e lo persegue senza moralismi, che sia la redistribuzione della ricchezza o una sana, inevitabile vendetta, per finire all’autodifesa. Doug sa riconoscere il dolore, perché lo ha forgiato, senza avvelenarlo, ed ecco perché cerca un finale che sia degno di lui, che non sia una sconfitta ma una scelta (tipico bessoniano, che prima o poi una biografia su San Sebastiano dovrà farla per liberarsi dai suoi fantasmi, che Giovanna D’Arco non è bastata).

Il poster di Dogman, in uscita nelle sale italiane il 5 ottobre 2023

Il poster di Dogman, in uscita nelle sale italiane il 5 ottobre 2023

Dogman, la recensione

Luc Besson ritrova in Dogman il gusto del racconto survoltato, disseminato di sfide alla credulità – la sceneggiatura degli ultimi 20 minuti è volutamente un optional, è una favola da moderni Grimm in fondo, la verosimiglianza lasciamola al resto del racconto – e di buoni sentimenti insanguinati, di emarginati che si riconoscono e si amano di un sentimento puro – il club di drag, un bellissimo film nel film -, di identità che puoi trovare nell’arte e nella bellezza, anche quando sei stato sfidato dalla vita a essere soffocato dall’orrore.

Besson si lascia finalmente e di nuovo andare a quel cuore che pulsava nei suoi primi film di cinema e talento, di melodramma e follia, così che in quest’opera ti trovi a piangere mentre il protagonista canta in uno sfacciato e stupendo playback Edith Piaf, semplicemente la più grande. Alla musica di repertorio, perfetta (Sweet Dreams sulla ricerca di lavoro ci dice tutto sulla nostra società senza dire una parola), si aggiunge il lavoro sopraffino di Èric Serra con la colonna sonora, con ogni scena e personaggio punteggiati da note cesellate e invadenti il giusto. Dogman è una prova d’orchestra balcanica, perfetta nelle sue armonie tra tutti i reparti – costumi e fotografia su tutti – ma senza paura di vivere e rappresentare l’eccesso.

Dogman è kitsch e commovente come quel Caleb Landry Jones che ti lacera quando veste, nei suoi travestimenti giocosi e necessari, la maschera più difficile: se stesso. E quando la toglie, di fronte a chi è ferito come lui e desidera salvarlo. O almeno ascoltarlo. Dogman è il cinema di Besson che si riprende il suo spazio, dopo averlo perso per 20 anni, è la voglia di eccedere ed eccellere senza la scusa e la paura di mostrarsi in tutto il proprio talento. Perché misura e sottrazione, a volte, sono solo un alibi.

Una sola avvertenza: alla fine del film vi diranno che siete romantici, sdolcinati, di bocca buona. Andatene orgogliosi e riponete il fazzoletto nel taschino. Cantando Lili Marlene.