I film d’horror sono ambientati di notte, i film di cannibali sono ambientati di giorno, ma questo non ha impedito che Ultimo mondo cannibale – restaurato dagli studi di Augustus Color per Midnight Factory e Minerva Pictures – venisse proiettato ieri al Lido a mezzanotte, l’orario che la Mostra del Cinema ha dedicato in passato a film come REC o Nightmare. Eppure il regista Ruggero Deodato – scomparso lo scorso dicembre e omaggiato a Venezia nella sezione Classici – non ha mai amato i film di paura, perché sentiva che i suoi non fossero tali. Di Cannibal Holocaust – il secondo film della trilogia antropofaga, aperta proprio da Ultimo mondo cannibale – diceva: “Mi fanno ridere quelli che lo definiscono film horror. Non è horror!”. Se uno provasse ad indovinare il genere giusto, non ce la farebbe mai: secondo Deodato, Cannibal Holocaust era un film “neorealistico”.
Viene in mente il regista di thriller nel Sol dell’avvenire di Nanni Moretti, che urla “questo è il mio ultimo film neorealista”. Ma Deodato lo conosceva davvero Rossellini, era stato il suo assistente sul set del Generale della Rovere. E Ultimo mondo cannibale condivide davvero una fascinazione profonda per il reale: né etnografico né sociale, a Deodato interessa il vero perverso, quello che nessun altro ha mostrato, che nessuno mostrerebbe, quello per cui hanno inventato le proiezioni di mezzanotte. E così il film mette in scena lo sventramento di un alligatore ancora vivo, avvenuto davvero sul set, uno spettacolo ripugnante.
“È magnifico che un film come questo trovi spazio nella sezione Classici di Venezia. Questo film non è esattamente uno di quelli che mia madre definirebbe classici”, spiega Nicolas Winding Refn, il cinefilo regista di Drive e The Neon Demon, che ha introdotto il film al pubblico. Non una presentazione entusiasmante – Refn ci tiene a specificare, due volte, che il film non è il suo, lui lo sta solo introducendo – ma il regista danese aveva dato il meglio nella masterclass mattutina. Di Deodato, Refn invidia “la libertà visiva con cui riusciva a esprimersi, forse senza neanche capire cosa stava creando”. Il cinema contemporaneo, invece, “è prudente, ma la creatività è meglio espressa quando si è imprudenti”. I limiti delle immagini vanno esplorati su altri schermi: “Oggi Cannibal Holocaust sarebbe un TikTok”, sostiene.
E in effetti Deodato, nonostante il soprannome di Monsieur Cannibal, desiderava che il suo cinema appartenesse al quotidiano. Quando i suoi film hanno cominciato a circolare ai grandi festival, Deodato ha trovato il suo pubblico, “un pubblico vero, non quelli coi piercing, coi tatuaggi, con le mollette sugli occhi”.
In realtà, per guardare Ultimo mondo cannibale delle mollette sugli occhi potrebbero venire utili, se preposte a tenerli aperti forzatamente, in stile Arancia meccanica. L’impulso è quello di chiuderli, gli occhi, e non perché è mezzanotte: Ultimo mondo cannibale mostra continuamente uccisioni di uomini e di animali, banchetti umani, cancrene, neonati dati in pasto agli alligatori.
“È un pezzo da museo” dice Refn. “Dentro ci puoi trovare visioni del futuro, brutalità e violenza ma anche poesia, avventura, intelligenza e grande musica”. Gli animali sembrano ballare, in Ultimo mondo cannibale: i pipistrelli e le iguane si dimenano cercando di liberarsi dalla stretta dei cobra, una danse macabre ipnotica.
Erano gli anni Settanta, ma il gusto per le immagini era avanguardistico. Ad essere nato vecchio era tutto il resto: in una sequenza assurda, il protagonista Robert, inselvatichito dalla foresta, stupra l’indigena che si è portato via scappando dai cannibali. Il giorno dopo, quella le prepara la colazione, apparecchiando una grande foglia con bacche, gamberi e insetti.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma