Priscilla, diretto da Sofia Coppola, è un film molto triste. La regista ha detto in conferenza stampa che la vera Priscilla Presley – che per inciso, del film, è produttrice – le ha detto dopo averlo visto: “Questa è la mia vita, hai fatto bene i compiti”. Se è vero, Priscilla Presley non è una persona da invidiare: è stata la moglie di Elvis e ha vissuto nel lusso e nel glamour più sfrenati che si possano immaginare, essendo Elvis negli anni ’60 il più famoso cantante del mondo e una star di Hollywood. Ma non era facile stargli accanto. E il film racconta solo questa parte della vita di Priscilla, basandosi sul libro Elvis and Me da lei scritto anni fa assieme a Sandra Harmon.
Non c’è vita al di fuori di Elvis
Anche pensando al titolo del libro, siamo sempre lì: Elvis, Elvis, Elvis. Sembra non ci sia vita al di fuori di Elvis. Il film si conclude (non è uno spoiler, è storia, è cronaca) con Priscilla che, stufa dei tradimenti e disperata per le condizioni di salute fisica e mentale del marito, lo molla, monta in macchina, esce da Graceland e se ne va. “I need a life of my own”, è la sua ultima battuta: voglio una vita mia. Ma questa vita non ci viene raccontata, chissà se è mai esistita. Mentre Priscilla guida verso la libertà, in colonna sonora irrompe una canzone che ci è sembrata un epitaffio: I Will Always Love You, ti amerò per sempre. Come a dire che a Elvis è impossibile dire addio. È una canzone resa famosa dal film Guardia del corpo nel 1992, ma non molti sanno (almeno in Italia) che risale al 1973 ed è stata scritta e incisa, la prima volta, dalla grande cantante country Dolly Parton: una specialista, come Patsy Cline (si sente anche lei, nel film), in canzoni su donne innamorate e maltrattate da uomini maschilisti e violenti.
Presley non c’è
La citazione di Dolly Parton ci dà lo spunto per dire che in Priscilla, il film, NON ci sono canzoni di Elvis Presley. Coppola & Presley (Priscilla) non sono riuscite a ottenerne i diritti, e questo la dice lunga su quanti problemi di coppia siano ancora irrisolti a 46 anni dalla morte del cantante. La colonna sonora fa quindi i salti mortali, ricorrendo a cover o a canzoni d’epoca, con qualche citazione maligna (durante una festa si sceglie un pezzo da suonare al juke-box, uno propone di ascoltare i Beatles ma Elvis sbotta: “Qui non si suonano i dischi di quegli scarafaggi, siamo in America!”).
Il film, come si diceva, parte dall’incontro fra i due in Germania, dove lui era militare e lei andava a scuola, figlia di un soldato americano. Elvis e “Cilla”, come la chiamava lui, si conobbero quando lei aveva solo 14 anni, e lui 24. I primi anni di frequentazione furono saltuari e problematici, perché inizialmente la famiglia di lei non vedeva di buon occhio la relazione. Conosciutisi nel 1959, si rividero solo nel 1962, quando Elvis la fece venire a Graceland e cominciò a vivere con lei – stando al film – senza toccarla o quasi, perché lei era il suo amore e la sua confidente, ma per “quella cosa” era necessario aspettare il momento giusto. Il film racconta un amore inizialmente casto, quasi toccante ma in qualche misura “innaturale”, come se Elvis l’avesse scelta per rimpiazzare la madre ideale che aveva perduto.
Priscilla, abusata e idealizzata
In ultima analisi, Priscilla è il ritratto di una ragazza (poi di una donna) al tempo stesso abusata e idealizzata, trattata come una regina ma sotto sotto considerata una schiava. E rimane, a visione terminata, un senso di disagio. Dal punto di vista della struttura è un bio-pic classico, espressione americana (da “biographic picture”) che indica i film che raccontano la vita di un personaggio reale. A questa Mostra ce ne sono forse fin troppi, da Ferrari a Maestro (su Leonard Bernstein), e nessuno eccezionale. Solitamente sono un sintomo di mancanza di idee. Ma certo, dopo tanti film su Elvis (compreso l’ultimo, notevole, di Baz Luhrmann) un film su Priscilla sembrava evidentemente doveroso.
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