Isabella Rossellini interrompe la tournée del suo spettacolo Darwin’s Smile per andare a Cannes, dove è tra le protagoniste del film La Chimera, l’attesissimo film di Alice Rohrwacher, reduce da una candidatura all’Oscar per Le pupille e tra le favorite per il palmarès.
Da qualche anno Isabella si è ritirata in campagna a poco più di un’ora da New York, dove ha fondato Mama Farm, una azienda agricola di successo attraverso la quale vende prodotti naturali e nella quale vive circondata dagli animali, un tipo di vita che ama sin da bambina. “È una delle tante cose che mi hanno fatto immediatamente sentire la vicinanza con Alice Rohrwacher, che è figlia di un apicoltore ed è nata e cresciuta in campagna. Poi l’istintiva simpatia, fondata sulla nostalgia per la cultura contadina, si è trasformata in grande ammirazione nel momento stesso in cui ho cominciato a lavorare con lei”.
Com’è iniziata la vostra collaborazione?
Attraverso la sorella Alba: il suo compagno, Saverio Costanzo, è uno dei pochi registi italiani che mi abbiano scritturato. Sapevo che Alba aveva una sorella regista e ho voluto vedere i suoi film: sono rimasta a bocca aperta per il suo talento.
Cosa ti ha colpito maggiormente?
Come riesca essere personale rimanendo comunque nel solco dei grandi maestri italiani. Nel suo cinema riconosci la lezione neorealista e gli elementi onirici alla Fellini, ma c’è anche una dimensione totalmente sua, assolutamente originale: ha fatto, giustamente, un passo in più.
C’è anche una dimensione spirituale nei suoi film…
Sì, è evidente anche nella Chimera: in superficie è una storia di tombaroli, ma poi ti rendi conto che c’è qualcosa di molto più profondo. Quando ho letto la sceneggiatura, molto bella, le ho detto che mi aveva colpito la presenza, anzi la persistenza, delle anime che sono state derubate, concludendo che secondo me si trattava di un film sulla morte. Lei mi ha corretto: “No Isabella, è un film sull’aldilà”. Poi, girando, ho capito che era proprio così, e che ad Alice interessava quanto contino nella nostra vita coloro che ci hanno preceduti.
Cosa ti ha colpito nel modo in cui lavora?
Innanzitutto la sua notevole padronanza, che nasce dalle idee chiare, e non attenua mai la sua dimensione poetica. Nel film interpreto una signora molto eccentrica che si chiama Flora, e in molte scene ci sono intorno a me altre donne, quasi il coro di un’orchestra. Nella sceneggiatura ho trovato una pagina nella quale parlo insieme a cinque persone: ecco, mi ero preparata a una lavorazione di almeno due giorni, e invece Alice è riuscita a realizzarla in mezza giornata, con un controllo assoluto e la capacità di far recitare ognuno come se fosse, appunto, lo strumento di un’orchestra. Faceva accavallare le voci, poi le faceva alternare nel modo in cui un direttore dice al violino o al basso di intervenire o suonare più forte. Mi ha spiegato che questa capacità, che innanzitutto proviene dal suo talento, l’ha sviluppata studiando alla scuola di arte drammatica e oggi riesce a esaltarla insieme alla sua fida collaboratrice Tatiana.
C’è qualche altro regista italiano con cui vorresti lavorare?
È un momento di grande ricchezza del nostro cinema e ci sono molti registi di ottimo livello. Ma se dovessi scegliere, direi Paolo Sorrentino.
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