Se il cinema è un’arte che fa vivere le immagini, si potrebbe dire che il documentario Malqueridas le faccia ri-vivere. Lo mette in chiaro la regista Tana Gilbert fin dalla didascalia iniziale: se questo materiale non fosse stato raccolto, protetto e assemblato, le foto e i video che lo compongono non esisterebbero più. Sarebbero stati spazzati via, eliminati con un click.
Vincitrice della 38esima edizione della Settimana della Critica, l’opera della regista 31enne è un lavoro di assemblaggio e riuso di frame e sequenze video postate sulle bacheche Facebook di alcune detenute cilene. Video personali diventati pubblici, che hanno trovato il proprio spazio prima sui profili social delle donne, poi sul grande schermo.
L’ecosistema delle carceri femminili in Cile
Malqueridas è una finestra aperta sul sistema penitenziario del Cile. Nonostante sia vietato introdurre apparecchiature elettroniche e telefoni cellulari in carcere, le prigioniere li hanno usati “illegalmente” per riprendere la loro quotidianità: le ore di lavoro, le feste dei bambini che soffiano le candeline tra le quattro mura della prigione, ma anche la violenza esercitata dall’opprimente presenza dell’istituzione carceraria. L’ecosistema criminale, tra le sbarre, prospera liberamente.
Raccontando la storia di una trentina di donne, accompagnate dalla voce narrante dell’ex detenuta Karina, il lavoro di Gilbert è insieme opera di recupero e collage, affresco omogeneo e desolante di un mondo cui le protagoniste sembrano predestinate. Costrette a sottostare agli ordini criminali di famiglie o compagni aggressivi, le donne di Malqueridas hanno deviato.
Malqueridas: storie di madri, sorelle e figlie
Ma il lavoro di denuncia e (r)esistenza di Gilbert non chiude la porta alla speranza. Malqueridas non dimentica che le sue protagoniste, pur assuefatte alla brutalità e alla violenza, possono intraprendere un cammino diverso attraverso la fiducia e il sostegno reciproco. La solidarietà esiste, anche negli angoli più angusti e apparentemente privi di redenzione della prigione. Così come esistono la maternità, la sorellanza e persino l’amore, a volte inaspettato, che regala a personaggi così apparentemente lontani dalla nostra quotidianità un senso di tenerezza e vicinanza.
Il materiale video è in movimento o a camera fissa, spesso sgranato, prova critica autentica – emblema della sezione della Sic, dove ha trionfato – del cinema di domani. Quello che prova a incidere sulla società, a raccogliere la memoria e trasformarla in carburante per il futuro. Un futuro forse migliore, ma certamente diverso da quello che per queste donne – e i loro figli – sembrava un destino scontato.
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