Oscar 2024, si infiamma il dibattito per le regole sull’inclusione valide nella prossima edizione del premio cinematografico più famoso del mondo. E il primo grande problema si pone su quello che potremmo definire, d’ora in poi, il grande paradosso dell’Academy: “Come possiamo pretendere di sapere chi è gay, se chiederlo è illegale?”
Oscar 2024, le regole sull’inclusione
I dibattiti più feroci, spesso, nascono per caso. Lo scorso autunno un regista indipendente stava compilando un modulo online per presentare il suo film all’Oscar 2024, quando la sua attenzione è stata catturata da alcune questioni relative alla candidatura. Il questionario non solo chiedeva informazioni sull’etnia, il genere e gli orientamenti sessuali del suo cast e dei membri della troupe, ma faceva anche precise domande sulla loro salute – se fossero affetti da autismo, per esempio, o se soffrissero di dolori cronici o malattie mentali.
“Non so, magari qualcuno della mia troupe poteva anche essere neurodivergente”, ha detto il cineasta. Ma il punto è un altro. “Non spetta a me chiederglielo. Ha fatto il suo lavoro? Basta quello. E poi scusate, come faccio a sapere chi è gay se è illegale chiederlo?”
Le nomination agli Oscar 2024 e come arrivarci
Le domande sul modulo online sono parte dei nuovi standard di rappresentazione e inclusione voluti dall’Academy per l’idoneità all’Oscar (RAISE, Representation And Inclusion Standards for Oscar Eligibility), su cui l’organizzazione ha iniziato a lavorare nel 2021, e che saranno obbligatori a partire dal prossimo anno. L’obiettivo. naturalmente, sarebbe quello di favorire l’inclusività nel mondo del cinema. Ma alcuni produttori, che stanno cercando di aggiornarsi alle nuove regole, sostengono che il processo sia nel migliore dei casi macchinoso, e nel peggiore dei casi fortemente lesivo della privacy.
“L’intenzione è encomiabile. Ma io mi sentivo a disagio a fare alla troupe molte delle domande contenute sul modulo”, dice un altro produttore. “Non mi andava di chiedere ai miei attori quale fosse il loro orientamento sessuale. E poi perché dovevo andare a chiedere a una persona che lavora per me se è disabile? Se non lo ha reso pubblico, evidentemente, non vuole condividere l’informazione”.
Secondo un’altra fonte, nel giro degli studios, “noi possiamo anche fare lo sforzo. Ma la maggior parte delle domande che dovremmo fare sono illegali”.
La risposta sugli standard di inclusione
L’Academy sostiene di non aspettarsi che le società di produzione conoscano ogni più intimo dettaglio dei propri lavoratori. “Non tutti vorranno condividere certe informazioni”, dice il vicepresidente esecutivo dell’Academy Jeanell English. E nonostante tutto, afferma, i primi due anni del programma avrebbero segnato “una partecipazione straordinariamente alta. La maggior parte dei film che hanno presentato i moduli di candidatura hanno completato anche il RAISE”.
Molte produzioni avrebbero fornito persino più informazioni di quelle richieste. “A volte ci hanno detto che il processo li ha aiutati a riflettere sul loro lavoro”. Altri si sarebbero detti “orgogliosi di quello che stanno facendo”, altri ancora avrebbero ammesso di non aver raggiunto lo standard, “ma hanno capito cosa migliorare in futuro”.
Quando le nuove regole entreranno in vigore, l’anno prossimo, un film dovrà soddisfare due dei quattro standard di inclusione per essere considerato idoneo alla categoria del miglior film. Un’opera potrebbe soddisfare lo standard, per esempio, se uno dei suoi attori dovesse appartenere a un gruppo etnico sottorappresentato, o se avesse una trama centrata su donne, persone LGBTQ o con disabilità. Potrebbe anche soddisfare gli standard di “accesso e opportunità” offrendo uno stage retribuito, o formazione professionale, a persone appartenenti a gruppi sottorappresentati.
Alcune fonti, all’interno degli studios e tra i produttori indipendenti, che desiderano rimanere anonime per timore di schierarsi contro “il trend”, affermano tuttavia che gli standard siano “bizantini” nella forma e nel contenuto. Più di una persona ha riferito di non aver voluto rispondere alle domande sulla disabilità e sulla salute contenute nei moduli di quest’anno.
“Quando le ho viste, onestamente, mi sono irritato”, ha detto uno di loro. “Pareva il modulo delle tasse. Con i colleghi ci guardavamo chiedendoci: e ora che ci facciamo con questa roba?”.
Inclusione e rappresentazione: i numeri
L’introduzione degli standard RAISE è parte di “Aperture 2025”, una serie di politiche di inclusione approvate dall’Academy nel 2020: tra esse anche la formazione annuale obbligatoria sui pregiudizi “involontari” per il personale dell’Academy e la definizione del numero fisso di 10 candidati al miglior film, a partire dal 2021.
“Aperture 2025” persegue gli obiettivi che l’organizzazione si è prefissata, e in parte ha raggiunto, anche grazie al movimento di opinione del 2016 #OscarsSoWhite. Oggi il 34% dei membri dell’Academy si identifica come donna, rispetto al 25% nel 2015, e il 19% proviene da gruppi etnici sottorappresentati, rispetto all’8% del 2015.
L’Academy non è l’unica a porre ai candidati quel genere di domande. Gli standard di diversità dei moduli RAISE sono modellati su quelli che il British Film Institute utilizza per determinare l’ammissibilità di specifici finanziamenti nel Regno Unito e di alcune categorie dei BAFTA. Anche gli Independent Spirit Awards hanno introdotto simili quesiti nel processo di presentazione dei film.
La maggior parte degli studios ormai raccoglie dati sulla diversità e l’inclusione tra i propri dipendenti e nelle produzioni interne. Ma ottenere quelle stesse informazioni per i film acquisiti dopo essere stati realizzati è più complicato. E per i produttori indipendenti il processo di presentazione alle grandi premiazioni può farsi molto complesso. Un produttore ha detto di aver dovuto lavorare su fogli di calcolo creati appositamente per raccogliere le percentuali desiderate dell’Academy, perché insoddisfatto del sistema di calcolo proposto dal sito degli Oscar (l’Academy dice che online è possibile calcolare automaticamente le percentuali, ma per gli utenti il sistema non sarebbe intuitivo).
Facilitare il processo
L’Academy sostiene di essersi servita di nuove risorse per facilitare il processo, indirizzando le società di produzione a siti come “Free the Work” e “Staff Me Up”, che dispongono di database in cui le troupe si autoidentificano come provenienti da gruppi sottorappresentati. L’organizzazione ha inoltre introdotto la possibilità di inserire alcune informazioni in forma anonima, per rispondere alle critiche sulla privacy: se una produzione desidera comunicare la disabilità di un attore, ad esempio, ora può farlo senza dire esplicitamente di chi si tratti.
L’Academy dice di controllare molto attentamente i questionari. “Se alcune informazioni non ci convincono, possiamo rivolgerci alla produzione per capire quale metodologia abbiano utilizzato”, dice English.
Gli standard, da A a D
Per l’Academy la maggior parte dei film proposti ha raggiunto la soglia, con lo Standard A (inclusione e rappresentazione “sullo schermo”) soddisfatto dalla maggioranza dei candidati, in particolare per quanto riguarda le donne. Lo standard B (leadership creativa e capi dipartimento) e lo standard C (accesso al settore) sono invece le aree in cui le produzioni avevano meno probabilità di soddisfare i requisiti, a causa dello stop agli stage e ai corsi di formazione imposto dalla pandemia. Secondo diverse fonti lo standard D (marketing, pubblicità, distribuzione) sarebbe facilmente raggiungibile: le donne e le persone LGBTQ tendono ad essere ben rappresentate in questi campi. “Finora – dice una fonte – non c’è stato un nostro film che non l’abbia soddisfatto.”
Tutto ciò mette in discussione lo scopo degli standard. Se sono così facili da soddisfare, serviranno veramente ad ampliare il numero delle persone che hanno accesso ai film? Per English la risposta è affermativa. “Hanno già avuto un grande impatto. Il 2024 sarà il primo anno in cui entrano in vigore. Speriamo che incoraggino più persone possibili a lavorare sui film e a concorrere ai premi”.
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