Presentato fuori concorso della 80. Mostra del Cinema di Venezia, Enzo Jannacci – Vengo anch’io di Giorgio Verdelli, è un modo per rendere giustizia al più grande cantautore italiano, definizione data da Paolo Conte. Ci si emoziona a guardare film fatto di canzoni, esibizioni, materiali di repertorio scelti con cura e centellinati, montati con amore e linearità, lasciando la luce a Jannacci e non alla propria vanità di autore o testimone. Numerose le testimonianze all’interno dell’opera: da Diego Abatantuono a Vasco Rossi, a Roberto Vecchioni che parla su un tram evocando un altro grande simbolo di Milano.
“Conoscevo tutte le risposte di amici e sodali, ma il fatto che abbiano istituzionalizzato un pensiero comune su mio padre in un’opera che rimarrà nel tempo, che quella stima intima, quel grande affetto sia ora visibile a tutti mi ha fatto felice. Mi sono emozionato, soprattutto perché vederlo con il pubblico, sentendone l’affetto, lo slancio emotivo, dagli amici ma anche dagli sconosciuti, è stato sorprendente” ci ha confessato il figlio Paolo durante l’intervista negli studi di THR Roma al Lido.
Si somigliano, tanto. E si perde un attimo lo sguardo, come succedeva al papà, raccontando la strana mattina veneziana in cui il Lungomare, per volere della strana truppa di questo film, e non solo, si è riempita di musica, di Enzo, di gioia con i Funkoff, la banda più pazza del mondo. “Bello ballare papà con mia moglie per le strade del Lido”, sussurra quasi.
Ecco, il pudore milanese con cui tutti (anche i pochi non milanesi) parlano di Jannacci fa quasi sospettare che temano che lui da un momento all’altro possa uscire da un angolo e prenderli in giro o a pedate per eccesso di retorica. E allora nel film parlano ancora di più gli sguardi rubati. Quello di J-Ax – “un cantautore moderno che ha fatto parlare la strada”, dice Paolo Jannacci, “come ha fatto papà: lui ha usato il rap, ma libertà ed energia sono simili”, dopo aver cantato Veronica. Abbracciando il figlio del maestro a fine esecuzione, per una frazione di secondo il suo sguardo goliardico e da finto duro si scioglie nella commozione.
O Vasco Rossi, sorpreso per l’invito in tv quando stava attraversando un momento buio, mentre estasiato come solo un fan del Blasco sarebbe davanti a lui, ascolta Enzo decantare le sue lodi in un documento di repertorio eccezionale. E ancora un Gaber rock, scatenato, che canta lui, con lui, per lui. Una prova incredibile di talento e amicizia, entusiasmante e commovente. O Vasco, ancora, a cui si spezza la voce leggendo una lettera che gli ha scritto il maestro, di cui sa a memoria tutte le canzoni. E il modo in cui esulta il compassato Giorgio a fine esibizione, ti dice che Enzo ha dato a tutti qualcosa. E tutti si sentono e si sono sempre sentiti in debito.
Enzo Jannacci – Vengo anch’io, che nelle sale italiane, su ben 200 schermi, ci sarà dall’11 al 13 settembre – è anche questo, un atto di gratitudine, un tentativo di restituire l’immensità da cui si è stati investiti con gioiosa noncuranza.
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