Se si dovesse tracciare una linea che unisce le ultime pellicole di Stefano Chiantini, classe ’74 e originario di Avezzano, è senz’altro la presenza di protagoniste forti che non si piegano alle intemperie della vita. In Naufragi (2021) Maria, interpretata da Micaela Ramazzotti, combatte con le unghie per tenere a galla la sua famiglia. Ne Il ritorno (2022) la Teresa della cantante Emma Marrone è finita in carcere dopo un evento tragico che l’ha tenuta lontana dalla sua famiglia per dieci anni.
In Una madre, film in anteprima in Alice nella città 2023 e con protagonista un’intransigente e volitiva Aurora Giovinazzo, la ragazza si trova a ricoprire il doppio ruolo di genitore. Sia nei confronti della sua, di madre (di nuovo Ramazzotti), incapace di badare a se stessa, sia verso il nipote della datrice di lavoro, la pescivendola Carla (Angela Finocchiaro). Una tempra, quella delle sue protagoniste, con cui forse Chiantini ha voluto sopperire a delle mancanze. Ma una cosa è certa: non si può insegnare a essere genitori.
Fin dalle prime scene la protagonista Deva è alle prese con il sangue. Come si racconta un’esperienza così delicata come l’aborto?
Cercando di non spingersi oltre. Da uomo mi rendo conto che è un argomento che non comprenderò mai davvero. Per questo mi sono fatto guidare dai discorsi di Aurora. L’intenzione era mostrare da subito il dolore, il disagio, la materia.
La prima volta che Deva vede il bambino è spaventata. Giovinazzo non lo dice mai a parole, lo mostra solo con gli occhi. Voleva un racconto in sottrazione?
Sì, mi piace esprimermi attraverso le immagini, non con le parole. È un modus operandi che mi porto dietro in ogni opera che faccio. Aurora, poi, è stata bravissima a empatizzare con la sceneggiatura, riuscendo a caricarla di significato anche lì dove i dialoghi erano al minimo. La fortuna è stata trovare un bambino così ricettivo. Era curioso del mondo che lo circondava, compresa Aurora. Girando cronologicamente ho visto nascere il loro rapporto, come per magia.
Dalla paura iniziale al tentativo di allattamento. Un’altra scena in cui si affidato alla sua attrice?
Era una sequenza chiave nell’economia di Una madre, rappresenta un gesto che la giovane tenta di compiere, ma che non riesce più a fare. Ho cercato di non renderla troppo eclatante, di inquadrare la protagonista di spalle, così da creare una sorta di distanza. Il contatto fisico è essenziale per il film e per Deva. È una ragazza che sta cercando ancora il suo posto nel mondo. Anche nella scena in cui cade con una bomboletta di gas in mano, la vediamo rialzarsi e caricarsi l’oggetto in braccio. Prende di petto tutto, è combattiva.
Vedeva questa combattività in Aurora Giovinazzo?
Non faccio provini, mi piace l’incontro a pelle. Mi sono reso conto subito che Aurora ha una forte consapevolezza di sé. Buca lo schermo, lo sa e lo sappiamo benissimo, ma è la sua potenza viscerale a muoverla nelle scene. È una cosa istintiva. La cosa incredibile è che a questa sua impetuosità si accompagna una razionalità che difficilmente ho trovato in altre persone. Nelle discussioni è difficile batterla, smonta ogni discorso punto per punto, è inattaccabile.
Se la forza di Aurora Giovinazzo le serviva per la sua Deva, perché Angela Finocchiaro nel ruolo drammatico di Carla?
Mi è sempre piaciuta Angela. E mi piace portare gli attori in territori in cui non è facile riconoscerli. Angela ha saputo esprimere una dolcezza che già intravedevo in lei, ma di cui mi ha dato prova definitiva nel film. Ha mantenuto un velo di ironia, ha cercato di trattenere la sua comicità istintiva, rivelando la drammaticità e la tenerezza del personaggio.
Una donna differente dalla madre di Micaela Ramazzotti.
Esatto. La madre di Deva è un personaggio stonato, sopra le righe.
Deva si ritrova madre, mentre il personaggio di Micaela Ramazzotti non riesce a trattarla come si dovrebbe fare con un figlio. È da questo che nasce l’impossibilità della ragazza nel chiedere aiuto?
Deva a un certo punto urla “Non mi servi”. Queste parole possono essere tradotte come: “mi devo bastare”. Non mi servi perché faccio tutto da sola. Devo fare tutto da sola. È per questo che ha abortito: non poteva tenersi un figlio avuto da un ragazzo che, probabilmente, voleva solo divertirsi. Ha altre priorità. Come un animale che, dopo essere stato aggredito, aggredisce a sua volta.
Lei è genitore?
Sono padre di una bambina di dieci anni. Con la madre ci siamo lasciati quando era ancora incinta. Ma non c’è nulla che farei diversamente nella mia vita. E posso dire che io e mia figlia abbiamo un bel rapporto.
Cosa le spaventa dell’essere genitore?
Mi spaventa l’incertezza del futuro, non sapere se mia figlia starà sempre bene o avrà bisogno di qualcosa che non potrò darle. Serve anche una sana dose di fortuna. Oggi ho un buon rapporto anche con i miei genitori, ma con mio padre ho avuto per anni un rapporto conflittuale. Non è mai stato una figura affettuosa, non mi ha mai fatto una carezza, era il tipico uomo abruzzese. Un padre-padrone che sembrava uscito da un libro di John Fante. A diciotto anni me ne sono andato da casa e questa distanza ci ha permesso di trovare un nostro equilibrio, che oggi ci permette di vivere soltanto il bello dello stare insieme.
Ha mai pensato a sua madre durante la scrittura del film?
I miei ultimi film hanno protagoniste donne estremamente forti. Ovviamente mi sono interrogato sulla relazione con mia madre. Lei è sempre stata una chioccia e forse non sono mai riuscito a perdonarle il rapporto con mio padre. I personaggi femminili che scrivo non hanno qualcosa di lei, ne sono l’esatto opposto. Sono combattivi. Lei non lo è mai stata.
Diventare genitori significa colmare a le nostre mancanze?
Essere genitori è difficilissimo. I figli dovrebbero provare a mettersi nei loro panni. Tutti si augurano di essere meglio dei propri genitori, ma ci si rende conto presto che non è così facile. Almeno non per Deva. Tutti possono fare delle scelte sbagliate. La forza è nel riuscire a recuperare.
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