“Psychokiller, Qu’est-ce que c’est?” cantavano i Talking Heads, ed è la stessa domanda che alla fine di quasi due ore di The Killer ti poni. Perché che David Fincher sia un maestro del thriller e del cinema tutto, capace di costruire inquadrature perfette, di incastonare i suoi protagonisti dentro un apparato visivo e di scrittura inappuntabile, è noto. Ma, come già in Zodiac, l’altra faccia della medaglia è che questa perfezione possa risultare fredda, disarmante nel suo essere certosina, incapace di stordirti come pure sa fare metà della sua cinematografia.
Come se l’ossessione formale si mangiasse il contenuto, cannibalizzandolo e liofilizzando le emozioni quando, invece, la grandezza di quest’autore è sempre stata quella di comprimerle, a volte ridimensionarle per poi farle emergere in tutta la loro violenza. Oppure di metterle in scena con l’abilità di un domatore di leoni senza gabbia, capace con il solo talento di tenerle a bada, lasciandole al contempo libere.
The Killer, la trama
Tratto dalla graphic novel di Alexis “Matz” Nolent – che dalla sua aveva le matite di Jacamon, capace di costruire un paesaggio emotivo e materiale cupo e asettico, ma allo stesso tempo vibrante – The Killer è un film che racconta una storia semplice. Quella di un sicario professionista che non ha nulla di eroico, affascinante, carismatico: è un impiegato della morte, un solerte esecutore che di sé dice “non sono un genio, ma non ho paura di annoiarmi”.
Non ha mai sbagliato perché fa tutto minuziosamente, cura ogni dettaglio, impara dai suoi errori, non lascia nulla al caso. Ma nell’incarico che vediamo noi, dopo che per 15 minuti ci ha pedantemente esposto il manuale del killer perfetto, fa un errore ridicolo (intendiamoci, non che sappiamo come si uccida una persona, ma dopo averci insegnato a vivere, anzi a uccidere, con una tracotanza finto modesta insopportabile, quello sbaglio è inspiegabile).
The Killer
Cast: Michael Fassbender, Charles Parnell, Arliss Howard, Sophie Charlotte, Gabriel Polanco, Kerry O' Malley, Emiliano Pernia, Sala Baker e Tilda Swinton
Regista: David Fincher
Sceneggiatori: Andrew Kevin Walker
Durata: 118 minuti
Quella missione fallita crea un effetto domino contro di lui. Per salvare il suo piccolo mondo dominicano, dovrà risalire ai suoi mandanti. Noi lo seguiamo in sei capitoli, più l’epilogo, con cui cerca e trova tutti i tasselli di quell’incarico e quindi anche della sua vita che, prima, per fare al meglio il suo lavoro, ignorava consapevolmente. Lo affronta come una pratica burocratica, fingendo totale indifferenza all’aspetto personale. Ovviamente, non è così, quel viaggio è in primis e soprattutto un percorso dentro se stesso. Per scoprire, come cantavano i ragazzi delle ragazze nel Pippo Chennedy Show, nel brano seminale Terra Terra, lui è “il vuoto che c’è dentro di te. Se mi accosti l’orecchio alla bocca senti solo il mare. E basta!”.
La recensione del film di David Fincher
The Killer è uno di quei film che sanno come circuirti. Ne esci ammirato, dalla coerenza stilistica e dalla perfezione narrativa e di ritmo. Senti l’istinto di applaudirlo, di considerarlo bello, di promuoverlo. E a ragione, perché da Fincher si va sempre a lezione di cinema.
Però, è un compito calligrafico e durante la sedimentazione dell’opera, nelle successive ore, ti risulta incredibilmente evidente. Cominci a perdere molto del racconto e ti rimane la cura del particolare, dei movimenti lenti e cesellati come il tono della voce di Michael Fassbender, anch’egli una macchina infallibile, il nitore della regia, la fotografia ineccepibile. Una reiterazione di qualità fine a se stessa, un’esposizione di linguaggio cinematografico d’alto livello, ma che risulta quasi muscolare rispetto a quanto è esile il resto. Ti sfugge il senso della parabola di questo sicario, con quel finale da cartolina che sembra figlio di un altro regista, l’incapacità di protagonista e cineasta di provare a penetrare la mente di un assassino senza scrupoli morali o anche solo di annichilirci con la consapevolezza del vuoto che lo abita, riempito dall’ossessione di fare un buon lavoro, decisamente meglio esposta da Anthony Bruno (e interpretato perfettamente da Michael Shannon) in The Iceman. Almeno lui non si beava delle sue presunte qualità.
Quel killer che appare cinico in alcuni momenti e in altri empatico, pur dicendo e pensando il contrario, ha un’incoerenza che cozza con la linearità di immagini e concetti, reiterati senza sosta. La burocrazia dell’assassinio diventa così un esercizio di stile che non fa paura, non travolge, non suscita un piano di riflessione ulteriore. Ti permette solo di ammirare la raffinatezza tecnica ed estetica del suo autore, la performance come al solito sontuosa (sia pur compiaciuta) del mattatore che ne è al centro, lasciandoti il rimpianto al momento dell’incontro con L’Esperta, interpretata da Tilda Swinton, che invece ci mostra come il film sarebbe potuto essere.
Anche lei lucida e burocratica, quelle contraddizioni le mostra a tavola, capace di dare la morte ma anche di gustarsi la vita, senza perdere in cinismo. La sua tridimensionalità, espressa perfettamente in un gelato prima desiderato e poi rifiutato o in una barzelletta irresistibile sia pur telefonata (che strappa una risata anche al nostro omicida seriale sfinge) raccontata con ironica glacialità, incarna tutte le opportunità perse da un film che, intendiamoci, supera abbondantemente la sufficienza.
E che probabilmente risulta il prodotto di qualità perfetto per Netflix, il classico lungometraggio che fa sospettare al non cinefilo di capirne di cinema, al patito di action popolari di aver trascorso due ore in compagnia di un ottimo cinema d’autore. E al cineasta probabilmente consente un ottimo allenamento defatigante, grazie a un’opera minore della propria cinematografia, di scarico dopo il colossale, in tutti i sensi, Mank.
Eccolo, forse, il miglior pregio di questo film: farci sentire più intelligenti, raffinati, arguti.
Stimolare in un colpo solo la vanità dello spettatore e dell’autore.
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