Memory di Michel Franco è un film sulla memoria senza che questo fosse in programma. Come tutto il cinema di Franco, che allena lo spettatore all’inaspettato, anche il film in concorso all’edizione 80 della Mostra del Cinema di Venezia non è da meno. “Il processo di scrittura è stato sorprendente”, conferma l’autore, per la terza volta al Lido, dopo Nuevo Orden (2020) e Sundown (2021). “Non mi piace fare film furbi, in cui nei primi cinque minuti già tutto si sa, cerco di fare il contrario”. E ci riesce, nonostante spesso non piaccia ai produttori. In questo caso il produttore è lui: “Il denaro non è al primo posto tra quello che serve per fare un film”.
La memoria è un tema che “ossessiona” il regista. “Il passato è un chiodo fisso e la mia più grande paura è perdere i ricordi, è così che mi sono ritrovato alla fine di questo film”. Sobrie, crude e senza compromessi, sono così le sceneggiature di Franco, che non vuole chiamarle “storie” perché “sono uno strumento per creare cinema, sono idee, scene o immagini”. Con Memory voleva dare vita a due persone che non riescono, o non vogliono, adeguarsi alle aspettative. Il motivo per cui non ce la fanno spesso è radicato nei loro ricordi. Ma il loro vivere ai margini rappresenta una via di fuga dalle ombre di prima, una possibilità di costruire una vita nel presente.
Memory, il cast e l’istinto
I protagonisti di Memory, girato in inglese, sono Jessica Chastain e Peter Sarsgaard nei panni di due persone che si incontrano dopo molti anni durante una riunione tra ex compagni di liceo. L’occasione apre le porte del loro passato e di tutto il loro irrisolto. Ma riescono ad affrontarlo se pure con molto dolore, insieme, e questa unione dà al film un – ancora una volta – inaspettato ottimismo.
“Gli attori fanno la maggior parte del lavoro”, dice Franco, per questo l’unica cosa che un regista può fare è “dare la parte alla persona giusta”, seguire l’istinto e sperare di non essersi sbagliato. Lui, inoltre, detesta i casting. “L’istinto è l’unica bussola, odio i casting, è un processo estenuante e mi sono accorto che un attore può essere perfetto al provino ma non nella parte”. Chastain e Sarsgaard li descrive come attori di grande talento, capaci di immaginare le scene senza bisogno di spiegazioni, “non abbiamo fatto molti secondi take”. Anche col cast di supporto l’istinto ci ha visto giusto con Merritt Wever, Josh Charles, Jessica Harper e la scoperta di Elsie Fisher.
“La maggior parte delle scene è avvenuta sul volto degli attori, è quello che amo di più di lavorare con attori di grande talento”. Franco ha parlato a lungo col direttore della fotografia Yves Cape. “Dopo aver parlato con lui, sul set non c’era più bisogno di dire nulla, è stato magico”. Il regista ha anche apprezzato che Chastain gli ripetesse: “Difendo lo sceneggiatore dal regista”, perché sempre in nome dell’inaspettato Franco è stato tentato più volte di modificare la resa delle scene.
Il cinema dell’inaspettato
Per Franco i grandi film funzionano quando sono inaspettati, quando la scrittura, in un costante dialogo con l’intimo, arriva in luoghi sconosciuti. “Credo che scrivere sia scoprire, innanzitutto sé stessi”, spiega, “io scrivo sempre, lavoro a tempo pieno, ho sempre sceneggiature iniziate e le lascio riposare, anche tre o quattro anni”. Il motivo per cui secondo lui scrivendo “si può anche impazzire” è proprio la “continua ricerca all’interno di noi stessi”.
All’inizio il film sembra prendere una piega diversa dallo svolgimento, Franco ammette che quella era la sua prima intenzione. Lo spettatore attento se ne accorgerà. Ma poi, grazie all’aiuto della sorella, ha cambiato la rotta. “Io non voglio rassicurare il pubblico come nella maggior parte dei film, mediocri, di Hollywood di oggi, ognuno ha il pubblico che si merita”. Il pubblico non deve sapere che cosa sta per accadere, “non deve avere ragione, è una sfida”. La sfida che ha colto Franco con Memory: “Non un film in cui tutto va di male in peggio”.
Dove non ci sono scenografie
La scelta di girare Memory a New York è stata dettata dal gusto del regista. “Qualsiasi grande città sarebbe andata bene, tranne Los Angeles, dove tutti si muovono in auto e non c’è la metropolitana”. Per Franco inoltre New York e Los Angeles sono le due città in cui si riuniscono i migliori attori del mondo, non solo americani. Quindi non c’erano dubbi. E poi Chastain e Sarsgaard vivono lì. “Giro in ordine cronologico, ho bisogno che tutti gli attori siano sempre disponibili, nel caso in cui cambiassi idea e volessi girare qualcosa di diverso”.
Franco sa che non è una pratica comune girare in ordine cronologico ma per lui non farlo sarebbe una follia. “Sono molto fortunato a non aver frequentato una scuola di cinema, perché credo che lì ti trasformino in un idiota. Alla scuola di cinema ti ucciderebbero se dicessi di voler girare in ordine cronologico. E ai produttori non piace perché pensano che sia più costoso”, dice. “Ma non è vero: prendo solo location in cui posso tornare e non ci sono scenografie. Le case in Memory sono così come le abbiamo trovate. Quindi è facile. Si entra, si gira e si esce. Non c’è bisogno di risistemare tutto o di avere un designer di produzione che vuole un Oscar”.
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