Venezia 80: abbiamo visto (dieci) cose che voi umani non potete neanche immaginare

Il Lido, per una (sporca e scintillante) dozzina di giorni all'anno, diventa il centro del mondo. E in questo caleidoscopio pazzo vedi di tutto. Dal Maialido a Lino Banfi sul red carpet passando dai finti figli di Vip, abbiamo provato a isolare 10 tra episodi, personaggi, momenti a loro modo indimenticabili

Venezia 80, atto finale. È tempo di bilanci. Non facili da capire per chi non lo conosce, un Festival del Cinema come quello di Venezia è qualcosa di incomprensibile da fuori. Immaginate il più importante consesso annuale di artisti dell’era moderna di un settore, industriale e creativo, importantissimo sia per l’economia che per l’immaginario che veicola, che si incontra con il carnevale di Viareggio. E potrete capire in che frullatore assurdo e al contempo affascinante ci troviamo ogni anno per 12 giorni. Un po’ con ironia un po’ con stupore abbiamo voluto raccogliere le dieci cose più assurde che abbiamo visto quest’anno al Lido.

1 Neri Polanski. Dio non voglia. Il Sommo o chi per lui non accolga Roman Polanski tra le sue braccia a breve, gli faccia girare almeno un altro film. Luca Barbareschi ci ha detto che ci stanno già lavorando, si sbrighino mi raccomando. Perché altrimenti di una cinematografia straordinaria, che ha cambiato il nostro modo di guardare, pensare, amare il grande schermo, rimarrà come ultimo fotogramma, come ultima scena (ATTENZIONE SPOILER!) un cane che possiede sessualmente un pinguino. Doggy stile, ça va sans dire. Il suo Natale a Gstaad, pardon si chiama The Palace, ha altre trovate simili se non peggiori. Che generosità Roman che con un solo film rivaluta tre decenni di cinepanettoni. #aridatecicarnage

2 Maialido. La Pig’s house su Via Sandro Gallo è una di quelle apparizioni che ti fanno chiedere se non ti sei addormentato in sala e stai sognando un film di Quentin Dupieux. Secondo l’utente di TripAdvisor Zano59, evidentemente un (esigente, gli ha dato solo 3 su 5 come voto) appassionato “non potrà competere con il Museo del Maiale di Stoccarda, ma i ventimila pezzi raccolti da Renzo Battaglia e dedicati al nobile suino non sono da poco. Dipinti, sculture, ceramiche e manifesti raccolti in quaranta anni di ricerche”.

Sopra la porta d’ingresso un porco rosso: un modo per omaggiare Miyazaki e il Festival di Venezia? Chissà. Ci andremo: comunque costa meno che mangiarlo al Lido, il maiale (a proposito, quest’anno le spese per il cibo – crudo, cotto, gourmet o da asporto ma sempre mediocre – sono così aumentate, ovviamente solo durante il Festival, che quest’isolotto bruttarello che si crede Saint Tropez rischia di vedere molti di noi occupare i giardinetti tra il Palazzo del Casinò e Sala Giardino, e farne orti sociali). #OccupyLido, altro che il caro affitti a Milano.

Uno dei pezzi più pregiati del Museo Maialido

Uno dei pezzi più pregiati del Museo Maialido

3 Quelli che vanno a dire in giro di essere stati respinti in malo modo dall’ambitissimo party di The Hollywood Reporter Roma (a cui non erano stati naturalmente invitati). Che parlano di spinte. Li riconosci. E il tuo corpo si ricorda che quella stessa persona in uno scatto isterico ha piazzato una gomitata nel costato a chi scrive tanto che per un attimo lo ha fatto parlare come Farinelli (“Non cantare, Farinelli, c’è la morte nella tua voce!”). Meno male che ci siamo consolati con il momento Maledetta primavera, citazione (allora) inconsapevole (MINI SPOILER) del capolavoro Enea di Pietro Castellitto.

P.S.: Sofia Coppola è molto più bella dal vivo.

P.S.II: Scoop di Concita De Gregorio: Pierfrancesco Favino sarà John Fitzgerald Kennedy. Niente male, dopo aver fatto Spadolini.

P.S.III: nell’ordine, per entrare c’è chi si è finto figlio di Vip, regista di un’opera passata alla Settimana degli Autori (amico, o era la Sic o Le giornate, deciditi), una era la fidanzata di un ex ministro sposato da 20 anni, l’altra la protagonista di un film venduto in 20 paesi (lei non mentiva, aveva solo dimenticato di dire che fosse un porno). Complimenti alla classe di Nicola Giuliano, produttore premio Oscar, che vista la fila e pur essendo in lista, ha salutato affettuosamente e ha mentito con grazia con un “ripasso dopo” per non mettere in difficoltà i ragazzi della security, scavalcando il muro umano di arrampicatori festaioli. #leinosachisonoio

4 Miss di ogni risma, fascia, nomina, in passerella. Non solo sul red carpet. Anche per strada. Pure al bar non si tolgono corona, gioielli, diadema e fascia. E poi c’è Miss Sorriso. Che però non sorride. Ci dobbiamo fidare. #missmiacaramiss

5 I Funkoff che suonano Jannacci. E tanto altro. La banda più pazza del mondo anima il Lido che si prende troppo sul serio, sul Lungomare Marconi ballano tutti, pure Paolo Jannacci e la moglie. E le forze dell’ordine ai varchi, serie e compunte come se fossero a un posto di blocco in cerca di un assassino (che poi almeno servissero a fermare i film brutti) – non capiscono il momento e provano a interrompere un’emozione, fermandoli. Perquisendoli. Il sassofono gigante era incredulo, ma non smetteva di suonare. Poi fanno le barzellette sui carabinieri, ma non è che gli altri colleghi con altre divise brillino per genialità. Si sono rifatti sul red carpet, che hanno reso unico con la loro performance sulle note di Vengo anch’io. Secondo Enea, che il suo tappeto rosso ovviamente l’ha fatto accompagnare da Maledetta primavera. #torrettastyle

6 Rocìo Muñoz Morales. Bella come il sole, è la voce narrante del documentario ambientalista Time to Change ispirato dal fotografo Stefano Guindani, che le Generali hanno prodotto con Cannizzo produzione per la regia di Emanuele Imbucci, 54 minuti sull’agenda Onu e i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile in vista del 2030, e presentato nello splendido Palazzo del Procuratore di Piazza San Marco, completamente restaurato e recuperato.

Ma non sono i meriti estetici o etici quelli che l’hanno fatta assurgere all’attenzione di tutti, bensì un dribbling degno di Modric e Messi. Red Carpet, fan in delirio, vogliono selfie e autografi. Lei prova ad avvicinarsi, un nerboruto bodyguard la blocca sgarbatamente. Lei, attrice consumata, chiede scusa e va avanti. Lui si gira, lei con una finta di corpo accenna ad entrare in Sala Grande poi con un cambio di passo scarta dall’altra parte e con incedere felpato da Pantera Rosa, raggiunge gli ammiratori. Video virale, ma la sua faccia bambina di chi l’ha fatta grossa è più sexy di una copertina con sguardo provocante. #ochorocio

7 La sociedad de la neve. L’ultimo film di Bayona è un gore movie in cui si racconta il famigerato incidente aereo del volo 571 della Fuerza Aerea Uruguaya. Ottobre 1972, tragedia sulle Ande, il velivolo che trasportava una squadra di rugby spezza un’ala contro una montagna e precipita sulla cordigliera innevata, sopravvivono in 28. Verranno tratti in salvo in 16, due mesi dopo, in seguito a traversie terribili, una strutturazione sociale quasi marziale per sopravvivere e infine episodi di cannibalismo sui cadaveri di parte di loro rimasti vittime di una valanga circa 10 giorni dopo il disastro. È la terza volta che la storia viene portata sul grande schermo, dopo aver ispirato liberamente anche la splendida serie Yellowjackets. Sul tappeto rosso annunciati tre dei sopravvissuti, compreso uno dei due che andarono a chiedere a piedi aiuto fino in Cile.

Gli accreditati di Venezia 80 prendano appunti. I taxi e le lance qui costano così tanto, che nei prossimi anni potremmo raggiungere il Lido solo a nuoto e percorrerlo solo a piedi per ore, visto che il costo delle case è così alto che alcuni hanno affittato dei monolocali a Chioggia. Sul vitto e la sopravvivenza, che dire? Solo mangiandosi tra di loro gli accreditati potranno davvero ammortizzare i costi di una trasferta che costa quanto un viaggio alle Seychelles in cui però hai i confort di una baracca a Villa Fiorito a Buenos Aires. Se sei fortunato. #isoladeifamosi

8 Zerocalcare, Omar Rashid, un loro amico davanti a uno zozzone di via Sandro Gallo con panini che avevano un loro carisma deciso. C’era più cinema e visione e rigore in quelle chiacchiere notturne che nei simposi critici, dell’industry e nei circa 400 premi collaterali consegnati a Venezia (hanno sostanzialmente premiato un accreditato ogni 25, è più facile prendere un riconoscimento a Venezia che vincere 50 euro al Gratta e Vinci). Zero, peraltro, ha pure preso 10 nelle pagelle di un quotidiano, ora chi glielo va a dire a Secco e Cinghiale. Poi a Roma, Michele, ricominciamo a discutere di Comandante. Se sei sopravvissuto a quel panino, ma uno stomaco forgiato dalle merendine chimiche anni ’80 può mangiare ovunque e qualunque cosa. Lo vogliamo nella giuria del concorso internazionale il prossimo anno! #zeroingiuria

9 La Ferrari sul red carpet. Non Isabella, la macchina. Il Tappeto Rosso con la Testarossa. Per Michael Mann hanno voluto fare le cose in grande, ma con il problema dei parcheggi al Lido, l’invidia non era tanto per l’auto di lusso, quanto per il fatto che il fortunato proprietario l’abbia potuta metter lì senza prendere multe salate (qui gli ausiliari del traffico sono degli X-Men, non li vedi mai ma escono dalle ombre, colpiscono, e tornano invisibili).

Intendiamoci, qui a Venezia 80 abbiamo visto anche cose più estreme: per il remake de I magnifici 7 con Denzel Washington e Chris Pratt, film di chiusura di Venezia 73, calcarono l’ambita passerella due cavalli. Giusto sette anni fa. E sì, lasciarono traccia di sé proprio come immaginate. Un presagio sul valore del film, forse severo ma sicuramente giusto. Cavalli di razza, ma con le loro esigenze. Peraltro quest’anno, soprattutto nei primi giorni, sono stati bloccati diversi purosangue del mondo del cinema a cui è stato impedito di fare il tappeto rosso. Perché qui la security potrebbe fare anche colpi di Stato, se volesse. #cavallopazzo

10 Smutniak in un metrosexual Valentino, Gioli in Giorgio Armani Privé e soprattutto Jessica Chastain in un Gucci dorato che ha illuminato a giorno la penultima notte di Venezia 80 sono da podio di stile, sensualità ed eleganza. Inquietante la versione cigno argentato di Isabelle Huppert (Balenciaga) oltre a mantelli di piume più lunghi del tappeto rosso stesso o maniche a barboncino che avrebbero potuto nascondere pure il cagnolino inquietante di Ron Moss.

Il migliore di tutti, però, Lino Banfi, venuto praticamente in tuta. Clamoroso Michele Bravi con rimmel argento sulle palpebre e giacca a nudo. Improbabile Lazza con tinta silver e camicia con fantasia che prevedeva pinze, chiavi inglesi et similia, ottima per un testimonial di Brico, meno per il più grande talento della musica italiana attuale. #fashionismi

Bonustrack: l’eroe che non ti aspetti

L’eroe del festival, Antonio Monterosso di Trenitalia. Con garbo da aristocratico e abilità da hacker ha saputo piegare al suo volere il bizantino sistema di cambio biglietto della sua azienda (pare che l’upgrade sia sempre possibile, il downgrade solo quando gli aggrada). Il Johnny Mnemonic della cyberspazio ferroviario ha consentito a un padre di riabbracciare prima la famiglia che lo ha dato per disperso al Lido e che già stava facendo dichiarazione di morte presunta. #votaAntonio