Gli androidi sognano pecore elettriche, i robot sognano cani con la faccia di Buster Keaton. Altro che intelligenze artificiali: il primo film d’animazione dello spagnolo Pablo Berger (Blancanieves, Abracadabra), presentato fuori concorso a Cannes, è una malinconica storia d’amicizia che più umana non si può, anche se a viverla sono un robot, appunto, e un cane.
Basato molto liberamente sulla graphic novel dell’americana Sara Varon, Robot Dreams – distribuito in Italia da I Wonder Pictures – si ambienta in una stropicciata New York anni Ottanta, dove lo stesso regista ha trascorso parte della sua vita: “Dieci anni in tutto: io e mia moglie ce ne siamo andati dopo l’11 settembre – racconta – Questo film è la mia lettera d’amore per la città che abbiamo amato. Quella con le Torri Gemelle”.
Cane, il protagonista antropomorfo del film, vive in un piccolo appartamento a Manatthan, dove trascorre serate solitarie ciondolando tra la tv e il microonde. Un giorno, per vincere la solitudine, decide di acquistare per corrispondenza un robot da compagnia, Amica 2000, che si rivela immediatamente – dopo un assemblaggio di pezzi in stile IKEA – l’amico che ha sempre desiderato: curioso, gentile, spiritoso, complice. L’idillio tra i due, però, è destinato a interrompersi, quando un guasto meccanico impedisce a Robot di muoversi dalla spiaggia su cui, insieme a Cane, aveva trascorso l’ultimo giorno della stagione balneare. Il suo corpo è troppo pesante per essere trasportato e il lido sta chiudendo: i due amici devono rassegnarsi. Potranno rivedersi solo fra un anno.
La nostalgia dei momenti felici, inizialmente insopportabile, col tempo per Cane si fa meno urgente: quando una storia finisce – d’amore, d’amicizia, non importa – l’istinto è quello di andare avanti, se possibile, e ricominciare. Se Cane e Robot si rivedranno, e cosa faranno quando accadrà, è il tormentone destinato a sciogliersi negli ultimi minuti della storia, punteggiata dai coloratissimi sogni del robot immobilizzato (“Dentro c’è di tutto, da David Lynch ai musical hollywoodiani”) e dalla quotidianità grigia di Cane, in cerca di un nuovo partner.
Intorno a loro un mondo antropomorfo calato in contesti estremamente realistici – onesto come l’universo di BoJack Horseman, ma senza il nichilismo del suo autore, Raphael Bob-Waksberg – in cui i protagonisti si esprimono esclusivamente attraverso gli occhi e il volto: in quasi due ore di film, come nella graphic novel che ispira il film, non c’è alcun dialogo. “Amo il cinema muto, rivoluzionario, innovativo, sperimentatore di linguaggi. Buster Keaton, Harold Lloyd e Charlie Chaplin sono stati i miei riferimenti principali. So di aver realizzato un film impegnativo, che richiede l’attenzione dello spettatore. Ma è il bello del cinema, ridotto all’osso: scrivere per immagini”. Ma Robot Dreams – che a Cannes potrebbe iniziare il suo percorso per gli Oscar – non è un film muto: la colonna sonora è ricchissima, con September di Earth, Wind & Fire a giocare un ruolo emotivamente e linguisticamente importante per tutta la vicenda: “La musica per me è fondamentale. Dà voce ai personaggi e stimola l’emozione. In fondo, Robot Dreams è un musical. Un musical sull’importanza, e la fragilità, dell’amicizia”.
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