Mon Crime – La colpevole sono io, la recensione: femminilità e crimine

Un'attrice squattrinata, un processo usato come palcoscenico, un gesto efferato per una commedia che esplora il femminile, l'opportunità, il successo e la macchina mediatica che il fascino del crimine può creare

Con ventidue film all’attivo, François Ozon è l’autore più eclettico del panorama europeo. Se il suo stile risulta sempre ben definito, con un occhio attento alle politiche femminili, le loro rappresentazioni e su un gusto spiccatamente francese che lo ha reso una delle punte della sua filmografia nazionale, all’atto pratico l’autore realizza opere sempre differenti. Inedite a ogni cambio di scena, di tono, di intenzioni. Ozon non limita mai la propria cinematografia, ma la trasporta in mondi e spazi diversi, come capita per l’ennesima volta con Mon Crime – La colpevole sono io. Commedia sofisticata con protagoniste Nadia Tereszkiewicz e Rebecca Marder, a cui va aggiungendosi leziosa una Isabelle Huppert che vuole giocare con la sua stessa immagine. Nella vita reale tra le più grandi attrici europee contemporanee, mentre nel film nel ruolo di una Norma Desmond molto più leggera. 

Dall’America alla Francia

Un adattamento la cui opera originale giunge da lontano, dagli anni Trenta, periodo nel quale la pièce era stata originariamente scritta da Georges Berr e Louis Verneuil. Per Mon Crime, però, quella con Ozon non è la prima capatina al cinema. Lo scritto teatrale datato 1934 ha avuto la sua prima rappresentazione filmica nel 1937 per la regia di Wesley Ruggles, e nel 1946 per mano di John Berry.

Due versioni americane di un’operazione di satira e gioco delle parti, che con la commedia di Ozon torna alle proprie radici inserendo il racconto nella capitale francese, assumendo quel gusto frivolo e frizzante di cui il cinema – in particolar modo parigino – sa permearsi, utilizzandolo come veicolo di ironia e divertimento.

La femminilità secondo François Ozon

Se dunque Ozon continua imperterrito a trasformarsi a ogni pellicola, dopo il più recente dramma sui preti e la pedofilia di Grazie a Dio, l’amore giovanile di Été 85, il dramma familiare È andato tutto bene e la rivisitazione del remake Peter von Kant, con Mon Crime sembra tornare indietro nel tempo per riesplorare un classico della sua carriera.

Ovvero quell’8 donne e un mistero del 2002, che crea un ponte diretto con il film del 2023 nella sua indagine della femminilità, del suo rapporto col crimine e di come, attraverso le azioni violente, anche le donne possono rivendicare la propria voce. Sia nel circolo chiuso di una villa di campagna degli anni Cinquanta, che per le strade della società cittadina anni Trenta.

Una scena di Mon Crime - La colpevole sono io

Una scena di Mon Crime – La colpevole sono io

Innocenza e spettacolo in Mon Crime – La colpevole sono io

È così che Mon Crime instaura un discorso molto ampio che scorre su più binari, distinti e paralleli: con gli stilemi della comicità e dell’assurdo, quelli deliziosamente teatrali, l’opera investiga la mancanza di parità, di uguaglianza e di rispetto della condizione femminile. Le donne devono ingegnarsi in qualsiasi maniera per guadagnarsi il proprio posto nel mondo: anche mentendo e assumendosi colpe che non hanno.

Attraverso la confessione falsa della protagonista Madeleine di Tereszkiewicz si genera il paradosso per cui un’assassina (per legittima difesa) acquista più potere e popolarità di quanto riesca a fare da innocente. Una sequenza in cui la giovane si ritrova ad affidare il proprio fato alle mani di una platea solo maschile, provando un piacere sornione nel vederli abboccare alla sua falsa confessione. La messa in scena per eccellenza che avviene all’interno di un tribunale. Lei, Madeleine, che finalmente può declamare il proprio monologo. Loro, uno stuolo di giurati uomini, che credono di sapere tutto, mentre la donna li sta mettendo nel sacco.

Brio, teatro e volubilità

L’aspirazione da attrice della giovane la spingerà a usare il processo come palcoscenico per mostrare a tutti il proprio talento senza nascondere la vulnerabilità cui è esposta ogni donna. Anzi, trasformando quel disagio perché giochi, per una volta, a proprio favore. Un mostrarsi ben più sveglia e brillante, lei come le sue comprimarie, di quanto un pubblico soprattutto maschile potesse pensare.

Se è una giuria di uomini a decidere le sorti della protagonista di Mon Crime – La colpevole sono io, sono François Ozon insieme al collaboratore Philippe Piazzo a tratteggiarne il destino al cinema, cercando di restituire, a lei e alle sue compagne, quella rivalsa che stavano aspettando. Un ulteriore tassello nella visione femminile di un autore che stavolta sceglie la leggerezza, il brio, la volubilità. Non il suo lavoro più raffinato, ma in ogni caso coerente nell’affresco della sua filmografia.