Anche a quasi ottant’anni – di cui all’incirca cinquanta di carriera – una leggenda può ritrovarsi al centro di una situazione insolita. Sta capitando a Wim Wenders, che dal 4 gennaio 2024, in Italia, tornerà col suo ultimo Perfect Days, presentato in anteprima alla 76esima edizione del festival di Cannes. Storia di un uomo solitario, Hirayama, interpretato dal mito Kōji Yakusho. La pellicola è stata scelta dal Giappone come cavallo di battaglia per tentare di trovare un posto nella cinquina dei migliori film internazionali ai prossimi Oscar – anche se nel palmarès dei Golden Globes 2024 non è rientrato.
“Sono orgoglioso di rappresentare il Giappone. Ricordo quando i nostri produttori mi hanno chiamato e mi hanno detto: ‘Non ci crederai, ma la commissione giapponese ha nominato Perfect Days per la nostra partecipazione agli Oscar’. Ero scioccato. Come tedesco, mi sono reso conto della responsabilità. Però so perché lo hanno fatto, nonostante siano passati ottimi film giapponesi sia a Venezia che a Cannes. È per Koji Akusho. È un eroe in Giappone. Lì Perfect Days non viene percepito come un film di Wim Wenders, sono solo la spalla di Akusho”.
Nell’opera il protagonista è un inserviente che pulisce le toilette in giro per Tokyo, restituendo il panorama architettonico e il design ultra-moderno dei bagni della metropoli, che diventano le location principali del film. E mentre si attende il 23 gennaio 2024 per scoprire le scelte dell’Academy (di cui, tra i papabili, Wenders ha visto The Teacher’s Lounge, favorito tedesco, e La zona di interesse, titolo britannico), il regista e sceneggiatore fa un bilancio sull’andamento del cinema contemporaneo e le offerte sempre più irrequiete e schizofreniche del marcato: “È un linguaggio troppo complesso, troppo vasto”, spiega l’autore de Il cielo sopra Berlino.
“Sento che c’è una certa nostalgia verso un tipo di narrazione più classico. Il cinema di oggi è violento, ma non nelle tematiche, bensì nel modo in cui ti arriva addosso, con una velocità inaudita e un rumore altissimo”. Un’arte che ha preso svolte inaspettate dopo la pandemia, così come la vita di tutti i giorni: “Credevamo che, dopo il lockdown, avremmo vissuto in modo diverso. Invece siamo diventati ancora più avidi e frenetici. Il cinema, in questo, può aiutarci a riconsiderare come vivere. Un po’ più di calma e di serenità aiuterebbe tutti noi. Il cinema contemporaneo accelera, quando avremmo bisogno di radicare le nostre radici, di rallentare un po’. È questo che Perfect Days rappresenta”.
Il consiglio di Wim Wenders: torniamo a una vita più calma
La fiducia sul rinnovo di una vita più pacifica, di cui il protagonista Hirayama è un esempio “strano, forse utopico”, che va di pari passo con la ripopolazione delle sale notata da Wenders: “Dopo la pandemia i cinema erano vuoti. I risultati al botteghino non potevano che essere scarsi. Invece, ora, in paesi come la Francia, la Germania e gli Usa, i circuiti d’essai si stanno nuovamente riempiendo”.
Merito anche di titoli di qualità: “Anselm – documentario sull’artista Kiefer, uscito nel 2023 e diretto sempre da Wenders – sta andando bene nel mio paese. Anche a Parigi. Perfect Day è partito e ha avuto quasi 200.000 spettatori nelle prime due settimane, venendo proiettato per lo più in sale d’essai. È più di quanto mi aspettassi”. Stesso destino anche oltreoceano: “Vengo da dieci giorni in giro per l’America, e in ogni sala d’essai in cui andassi c’era il pienone”. Ma non bisogna sottovalutare anche la riproposta dei classici: “Sono andato a vedere uno dei miei film preferiti, Frank Costello faccia d’angelo con Alain Delon. Era mezzanotte, mi aspettavo di trovare massimo tre o quattro persone, invece c’era il pienone. Un giorno sono andato a vedere La valle dell’Eden di Elia Kazan, stesso successo. Le sale stanno tornando, grazie soprattutto ai giovani”.
Il tornare al cinema potrebbe ricominciare a far parte di una routine che Wenders racconta nel suo film, concetto che domina le giornate del personaggio di Hirayama, non assumendo necessariamente un connotato negativo: “Il protagonista ha uno schema molto rigido. Non pensa mai che la sua sia un’esistenza noiosa, pur vivendo tutti i giorni nello stesso modo, perché sa riempirli ogni volta di un senso nuovo. È capace di vivere qui e adesso. Purtroppo, quando si tratta di routine, riesco a rispettarla solamente quando giro un film”.
Un personaggio votato al “bene comune”, sentimento autentico in un paese come il Giappone, in cui Wim Wenders ha guidato e si è fatto guidare da Kōji Yakusho: “Lo avevo visto in Vuoi ballare? – Shall We Dance? e poi, piano piano, ho scoperto tutti i suoi film. È uno dei più grandi attori del pianeta. Ha un cuore enorme e c’è sempre qualcosa che mi attrae nei suoi lavori. Quando ha saputo che volevo fare un film insieme ha detto: “Se Wim lo fa, allora ci sono”. Così ho scritto il personaggio pensando a lui. Pur non potendo parlare tra di noi, visto che non conosce l’inglese, ci siamo adoperati con un traduttore. Ma mentre si gira non sempre ci si può fermare per tradurre, così abbiamo imparato a comunicare con un i gesti o con il corpo, riuscendo ad aggiustare le scene senza dover per forza parlare. In questo modo è diventato a tutti gli effetti Hirayama”.
I sogni e le canzoni di Perfect Days
Nessuna prova, solo diciassette giorni di ripresa e uno stile quasi documentario, con scene “da sogno” pensate e montate col contributo della moglie Donata Wenders: “Col co-sceneggiatore Takuma Takasaki abbiamo pensato che sarebbe stato bello mostrare il protagonista leggere il suo libro, metterlo via e addormentarsi, iniziando a perdersi nei sogni, ricostruiti tramite pezzetti della giornata appena trascorsa. C’erano volti, strade, e quel tipico luccichio che si ha negli occhi dopo aver guardato il sole. Volevo che il sogno fosse una sorta di Komorebi, termine con cui i giapponesi descrivono il gioco di luce che attraversa le foglie e si riflette sul soffitto o il pavimento. È una parola bellissima. Non avendo avuto molto tempo ho affidato il compito a Donata, già fotografa di scena, che è stata a capo di una piccola troupe, la nostra squadra dei sogni, che ha iniziato a riprendere luoghi e movimenti in maniera indipendente”.
Se ogni notte Hirayama sogna, ogni mattina si dirige al lavoro con una meravigliosa soundtrack: “Il personaggio è come un monaco zen. Ha un vecchio furgoncino, quindi per noi ascoltava delle vecchie cassette. Non volevo imporre i miei gusti musicali a un protagonista giapponese, così ho chiesto a Takuma: ‘Va bene se inserisco una canzone che ascolterei io?’. E mi ha risposto: ‘Negli anni settanta, quando eravamo giovani, ascoltavamo esattamente la stessa musica: Velvet Underground, Patti Smith e Rolling Stones. Quindi non preoccuparti, non stai imponendo i tuoi gusti a Hirayama’. Perciò la musica è diventata sempre più personale, come stessi realizzando un mix tape, che è quasi l’equivalente di una storia costruita seguendo l’ordine delle canzoni e che, in questo caso, potrebbe essere quella della mia vita”.
Sarà per questo che, per parlare del suo rapporto con Tokyo e il Giappone dopo l’esperienza di Perfect Days, Wenders torna indietro nel tempo: “Sono stato a Tokyo la prima volta nella prima metà degli anni settanta. Nonostante arrivassi da un posto così lontano, mi sono sentito stranamente a casa. Un luogo con in sé una modernità fantascientifica fatta di grattacieli, autostrade in mezzo alla città, aree commerciali, ma che appena giri l’angolo ti mette di fronte a uno antico villaggio. Questo mi è sempre piaciuto. Si capisce però che, dopo la battuta d’arresto economica avuta negli anni novanta, si sta ancora riprendendo. Non c’è più molto di fantascientifico. Adesso, se si cerca il futuro, bisogna guardare alla Cina”.
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