Dopo aver visto Black Flies, potreste pensarci due volte a chiamare un’ambulanza. Il film è una cronaca spietata della vita dei paramedici di New York. Viene mostrata come un vera e propria guerra urbana, con Sean Penn e Tye Sheridan che salvano vite e perdono la testa in una Brooklyn infernale.
Il primo lungometraggio americano del regista frances Jean-Stéphane Sauvaire (Una preghiera prima dell’alba) è da infarto, nel senso letterale del termine. Ma è anche estremamente stilizzato. Prende spunto da Taxi Driver, Il braccio violento della legge e Al di là della vita, il film di Martin Scorsese che ritraeva la Grande Mela come un gigantesco pozzo di ferite aperte e vite spezzate.
Black Flies vince sui dettagli, ma non sui personaggi
Il film è stato presentato in anteprima al festival di Cannes, nel concorso principale, ma sembra più adatto alle proiezioni di mezzanotte del festival. Dà il meglio di sé quando si addentra nei dettagli crudi e minuziosi del lavoro dei paramedici che operano in quartieri difficili. Dà invece il peggio quando cerca di sostenere l’emozione con una trama scarna e personaggi piatti.
Raramente Penn è sembrato così rozzo e afflitto come in questo film, in cui interpreta un paramedico veterano di nome Gene Rutkovsky, a cui mancano solo uno o due divorzi per battere il record del defunto Larry King. Fa il turno di notte a Brownsville ed East New York – zone infestate dalla criminalità – e cerca di salvare tutti i feriti da arma da fuoco e le vittime di overdose che la sua ambulanza riesce a caricare. La sua visione del mondo però è più vicina a quella di Travis Bickle rispetto a quella di Florence Nightingale. “Non ce la fanno quasi mai”, dice senza mezzi termini fin dall’inizio. E il film finisce per dargli ragione più volte.
Ecco che arriva Ollie Cross (Sheridan), che sta a Ethan Hawke come Penn sta a Denzel Washington in questa versione cupa di Training Day, anche se Black Flies non ha la trama avvincente e la tensione continua di quel film. Cross, il proverbiale pesce fuor d’acqua nella grande metropoli, è un ragazzo del Colorado che è arrivato in città per sostenere il test d’ammissione a medicina, cominciando quindi la sua carriera nel settore sanitario.
Si arruola come paramedico per pagare l’affitto e chiaramente non sapeva a cosa andava in contro: la prima notte di lavoro perde un paziente, sotto la guida di Rutkvosky. E le cose non fanno che peggiorare.
Un thriller che si ripete, troppo
Tratto da I corpi neri, romanzo del 2008 di Shannon Burke, un’ex-autista di ambulanze che ha poi creato la serie Outer Banks, la storia originale era ambientata nella Harlem degli anni Novanta, aggiornata dagli sceneggiatori Ben Mac Brown e Ryan King alle zone più malfamate della Brooklyn odierna.
Sauvaire e David Ungaro (Donnybrook), direttore della fotografia, catturano un livello di grinta newyorkese che, con l’eccezione dei fratelli Safdie, si vede raramente sul grande o piccolo schermo al giorno d’oggi, costruendo uno sfondo vibrante e violento che ricorda i film degli anni Sessanta e Settanta.
Ci vuole però un po’ di tempo per arrivare a questo punto. E il film si dilunga e si ripete. Ciò che tiene relativamente vivo il nostro interesse sono tutte le scene viscerali e impressionanti di interventi paramedici. Sauvaire, il cui ultimo lungometraggio è stato un film di arti marziali tailandesi, riprende gli interventi medici come sequenze d’azione. Anche se al posto di coltelli e pistole utilizza forbici chirurgiche, bende, defibrillatori e laringoscopi.
Sia Penn che Sheridan calzano a pennello in questi momenti, e Black Flies funziona alla grande quando sembra vestire i panni di un semi documentario sui soccorritori.
Due paramedici poco interessanti
Il personaggio di Penn, devastato dalla guerra, alla fine ne ha avuto abbastanza. Cross, nel frattempo, non riesce a sostenere la sua relazione con la madre single (Raquel Nave) incontrata in precedenza in un nightclub, e la allontana in un violento incontro sessuale alimentato dal suo trauma lavorativo. Anche la sua preparazione all’esame non sta andando bene, tra i “pazzi” vicini che fanno troppo rumore e gli impediscono di concentrarsi a casa, e altri problemi al lavoro.
Il problema è che non ci importa mai abbastanza di Cross o di Rutkvosky per commuoverci per le loro strazianti cadute o per le loro potenziali resurrezioni.
Sembrano personaggi stock circondati da un mondo iper-reale, che Sauvaire rappresenta con molto più zelo rispetto alla vita interiore dei suoi due protagonisti. Il regista ha stile e non ha paura di usarlo, compensando, anche in modo eccessivo, la mancanza di un vero dramma. Alla fine, Black Flies lascia lo spettatore malconcio, ammaccato e sanguinante sul marciapiede, ma mai completamente affascinato.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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