C’è un coach americano, lontano chilometri da casa con un matrimonio alle spalle e il cuore spezzato, che prova a rimettere in piedi una squadra di calcio sgangherata, ma no, non è Ted Lasso: Chi segna vince di Taika Waititi è al tempo stesso qualcosa di più e qualcosa di meno.
Un’ode al fallimento e alla capacità di tornare in piedi secondo i propri tempi, senza andare a cercare necessariamente la parabola di una vittoria. Come nella vita vera, si potrebbe dire. Ma è qui la trappola, perché come in ogni film di Waititi – a cominciare da Jojo Rabbit – c’è sempre qualcosa “fuori posto”, un umorismo che rende tutto sopra le righe, tra il favolistico e il macchiettistico. E bisogna essere disposti ad accettarlo per godere davvero di ciò che racconta.
C’erano una volta le Samoa Americane e un allenatore olandese
È una storia vera, quella raccontata da Waititi in Chi segna vince, la storia di Thomas Rongen (interpretato da Michael Fassbender) e della nazionale delle Isole Samoa Americane, considerata la “peggiore del mondo” dopo una sconfitta 31 a 0 contro l’Australia nel 2001. Per dieci anni le Samoa Americane rimasero sul fondo della classifica internazionale, senza arrendersi ma anche senza segnare nemmeno un goal. Nel 2011 Rongen, esonerato dalla nazionale statunitense Under 20, accettò l’incarico nel lontanissimo arcipelago (in mezzo all’oceano Pacifico) come unica e ultima opzione di carriera. Non riuscì a portare la squadra ai Mondiali del 2014 – sarebbe stato un miracolo – ma dopo di lui la nazionale samoana non tornò più a essere l’ultima al mondo.
Tutto questo viene già raccontato in presa diretta, in realtà, nel documentario Next Goal Wins di Mike Brett e Steve Jamison, il cui titolo è identico all’originale del film di Taika Waititi, e a cui il regista neozelandese fa esplicito riferimento. Considera infatti la sua commedia sportiva come l’adattamento narrativo del documentario (usandone alcune scene nella sequenza dei titoli di coda).
Cosa ha voluto fare quindi Waititi, di discendenza maori, con una storia che era stata già scritta? Riscriverla a modo suo, dal punto di vista di chi vede arrivare un estraneo uomo bianco sulla propria isola e non si lascia intimidire né cambiare. Ma niente paura, Chi segna vince non è una lezione di storia. È più una lezione di vita.
Vincere o perdere, insieme
A dirlo subito è proprio il regista, in un bizzarro e significativo cameo che ritaglia per sé all’inizio e alla fine del film, quello del sacerdote della comunità samoana: nessun uomo è un’isola. O meglio, questo lo scriveva John Donne in una poesia. Waititi usa lo stesso concetto per far capire subito l’alienazione di Thomas Rongen, la sua estraneità, il suo bisogno di trovare una direzione e uno sfogo alla rabbia che porta dentro.
Rongen continua a fare tutto quello per cui è stato esonerato e spedito fin nel bel mezzo del Pacifico: urla, insulta, perde la calma e costruisce muri, perché il suo sguardo è diverso da quello della squadra.
Fatica ad accettare i ritmi della vita e persino della preghiera dei samoani, si scontra con le loro abitudini e con la loro cultura, compresa la presenza in squadra della giocatrice Jaiyah Saelua. Interpretata dall’attrice Kaimana, Saelua è stata la prima calciatrice transgender nella storia delle qualificazioni mondiali. Appartiene infatti al terzo genere samoano, “fa’afafine”. E il suo è un personaggio centrale e trainante della storia che Taika Waititi vuole raccontare: la componente umana e complessa, al di là del rettangolo di gioco e delle sue regole.
Gran parte del cambiamento di Rongen avviene attraverso lo scontro e poi l’incontro con Jaiyah e con un’intera squadra da cui l’allenatore apprende un nuovo modo di porsi nei confronti della vita: “Se non puoi vincere, perdi. Ma non farlo da solo”. Ciò che rende credibile la sua trasformazione, senza dubbio, è la scelta di un interprete “sottile” come Michael Fassbender, che nell’istante di un’espressione è capace di passare dalla commedia al dramma, dall’esplosione di rabbia al minimalismo, dalla risata alla lacrima. E la componente emotiva che racchiude in sé fin dall’inizio arriva come una sciabolata a sorpresa sul finale di Chi segna vince, proprio quando non la si aspetta più.
Anche chi non riesce affatto ad apprezzare l’umorismo di Taika Waititi, dovrà pur riconoscere a lui prima che a The Killer di David Fincher, il merito di aver finalmente riportato un grande interprete a casa, sul grande schermo, dopo diversi anni. Se ne sentiva la mancanza.
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